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Se l’Italia non ha il paracadute

Nella crisi del 2012-2013 erano i vari paesi europei a rischio contagio in caso di peggioramento della situazione. Da qui gli interventi della Bce. Oggi, la situazione è diversa. E il potere contrattuale del nostro governo potrebbe essere molto limitato.

I timori sul debito italiano

In un libro del 2009 gli economisti Carmen Reinarth e Kenneth Rogoff ripercorrono otto secoli di storia finanziaria e mostrano come i governi usino spesso l’arma del default per ridurre il proprio debito pubblico. In particolare, gli autori spiegano che sono pochissimi i paesi che sono riusciti, attraverso faticosa disciplina fiscale, ad abbassare livelli di debito pubblico assai elevati. Molto più comune ricorrere al default o alla monetizzazione del debito.

A partire dall’insediamento del governo Conte, appoggiato da forze euroscettiche, gli investitori hanno iniziato a temere che l’Italia possa seguire la stessa strada scelta da tanti prima di lei per ridurre l’enorme debito pubblico. Dal momento che la moneta unica impedisce la monetizzazione, gli investitori hanno cominciato a pensare che l’Italia possa uscire dall’euro e ridenominare il debito pubblico in una valuta meno pregiata.

L’aumento del famigerato spread, che misura il costo aggiuntivo di finanziamento del debito italiano rispetto a quello tedesco, dipende proprio da questo timore.

I mercati finanziari offrono agli investitori la possibilità di acquistare un’assicurazione contro il rischio di default dell’Italia. Pagando un premio semestrale, i credit default swaps (Cds) restituiscono ai sottoscrittori il valore nominale assicurato in caso di fallimento del nostro paese, proprio come una polizza assicurativa per un’auto ne restituisce il valore in caso di furto. Più alto il rischio percepito, più alto il premio del Cds, così come è più costoso assicurare un’auto parcheggiata di notte all’aperto, magari in una città in cui i furti sono frequenti. E, infatti, come lo spread, a partire dall’insediamento del governo Conte anche il premio sui Cds sul debito pubblico italiano è salito (figura 1).

Figura 1 – Cds spread: Italia (linea blu) e Germania (linea rossa)

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Il rischio contagio

Ma come misurare il rischio di ridenominazione del debito italiano? I mercati finanziari offrono alcune possibilità. Ad esempio, è possibile guardare al diverso costo di contratti Cds che contengano, o meno, esplicito riferimento alla ridenominazione del debito come evento che costituisce default. In alternativa, è possibile considerare il diverso costo di contratti Cds che, in caso di default, restituiscono il valore assicurato in dollari invece che euro. L’ipotesi è che, nel malaugurato evento di una ridenominazione del debito italiano, gli investitori metterebbero in serio dubbio la sopravvivenza stessa dell’euro, causandone un crollo rispetto alla valuta Usa. Questo spiega perché, a partire dall’insediamento dell’attuale governo, è progressivamente aumentato il premio che gli investitori sono disposti pagare pur di ricevere dollari in caso di default dell’Italia. La differenza, chiamata quanto-Cds, è rappresentata nella figura 2 (tanto minore il valore, tanto maggiore il costo relativo della protezione in dollari) e ammonta ora a circa 40 punti base (0,4 per cento).

Figura 2 – Quanto-Cds: Italia (linea blu) e Germania (linea rossa)

In una mia recente ricerca studio il contagio da rischio di ridenominazione tra paesi dell’area euro utilizzando proprio i quanto-Cds. I risultati confermano che il rischio era elevato tra i paesi della periferia durante la crisi del 2012-2013. In particolare, Italia, Spagna, Irlanda e Belgio erano i paesi che allo stesso tempo rischiavano di più sia di “infettare” sia di essere “infettati” dagli altri stati periferici. Il fatto che il numero di paesi a rischio fosse elevato aiuta a spiegare gli interventi straordinari della Banca centrale europea. Tuttavia, l’analisi sul periodo più recente, dopo l’annuncio del programma Omt (Outright Monetary Tansactions) da parte della Bce, indica che l’Italia e la Spagna sono i soli paesi particolarmente vulnerabili.

Questi risultati suggeriscono che il potere contrattuale del nostro governo nei confronti di Bce e partner europei, in caso la situazione precipiti, potrebbe essere molto più limitato.

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Il Punto

  1. Aldo Di Fabrizio

    Gli studi di Reinhart e Rogoff mostravano la relazione tra debito e crescita. Un paese che ha un debito sopra la soglia del 90% del PIL non riuscirà a sostenere il debito con la crescita. Questo risultato importante che studiai durante il mio dottorato di ricerca è stato attaccato da 3 economisti sui seguenti punti: 1. escludendo alcuni paesi si crea ridondanza statistica ed è falsato il risultato; 2. non è dimostrata la causalità tra debito e crescita; e ciò vale in particolare per le soglie. Il metodo utilizzato se non ricordo male è quello di eraly warning system con dati panel. Successivamente i due autori hanno pubblicato un paper robusto che rivede la soglia ma conferma la cusalità ed il segno della relazione. Tralasciando il problema del contagio che esiste (anche qui c’è querelle tra economisti che parlano di contagio ed economisti che parlano di interdipendenza) la mia domanda è la seguente: prof. Borri la relazione causale tra crescita e debito è confermata? Ed a quale soglia se la risposta è affermativa? Quali paper si possono leggere in merito e quali tecniche utilizzano? Il suo articolo, prof. Borri, è molto interessante e riapre la discussione a temi molto importanti

    • Nicola Borri

      E’ difficile stabilire una soglia precisa e una relazione di causalita’ in quanto esiste debito “buono”, che finanzia investimenti per la crescita, e debito “cattivo”, che finanzia invece politiche con diversi obiettivi. L’analisi empirica ci puo’ dire cosa accade “in media” per un insieme di paesi. Oltre al paper di Reinhart e Rogoff che lei cita, le consiglio “Public debt and economic growth: is there a causal effect?”, di Ugo Panizza e Andrea Presbitero. Gli autori confermano la relazione negativa tra debito e crescita, ma non trovano conferma del nesso causale.

      • Aldo Di Fabrizio

        Grazie per la risposta Prof. Borri. In base a tale studio si può’ concludere quindi che esiste correlazione negativa ma che non c’è ancora prova piena della causalità?

  2. Savino

    L’ Italia segua le indicazioni della Commissione ed, eventualmente, della troika, sulle riforme da consegnare ai nostri figli e nipoti. Di Maio e Salvini abbandonino la politica assieme al recidivo Savona e a tutti gli azzecacarbugli dei loro staff economici che propagandano prosperità da un punto di partenza davvero delicato in cui ci troviamo, di cui la “gente” deve cominciare davvero a rendersi conto, poichè è già troppo tardi.

  3. Savino

    Un Governo che, di fronte alla bocciatura della propria politica economica, continui a dire “me ne frego”, oppure “noi noin arretriamo di un millimetro” deve solo dimettersi poichè non rappresenta gli interessi oggettivi dell’Italia.

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