Il mercato azionario non sembra aver accolto con particolare entusiasmo i risultati dello stress test bancario. Forse perché non c’è più un minimo da superare e gli scenari della simulazione erano ottimisti. A dicembre però arriveranno dati più completi.
Come “leggere” gli stress test
Il mercato azionario non sembra aver accolto con particolare baldanza i risultati dello stress test bancario pubblicati dall’European Banking Authority la sera del 2 novembre. Dobbiamo dedurne che l’intero esercizio è inutile? Non credo. Prova ne sia che gli analisti di Goldman Sachs hanno atteso di conoscerne i risultati prima di assegnare al comparto creditizio del nostro paese un giudizio negativo (che certamente ha avuto un ruolo nell’andamento delle quotazioni). È vero tuttavia che l’esercizio richiede di essere interpretato correttamente e, in qualche misura, ripensato.
I commenti immediati, secondo i quali “tutte le banche italiane avevano superato la prova” (oltre a ricordare certe analisi elettorali in cui tutti i partiti si dichiarano vincitori) omettevano un banale dato di fatto: sono ormai quattro anni che non è possibile “superare” gli stress test, semplicemente perché l’Eba non mette più l’asticella. Non esiste, cioè, un risultato minimo da conseguire per ottenere il “bollino blu” delle autorità. Sarà perché, come dicono i maligni, queste ultime preferiscono non rischiare la faccia rilasciando certificati medici in un sanatorio. Ma non solo: il superamento della logica binaria (“pass” o “fail”) è stato pensato anche per indurre il pubblico a leggere con attenzione i risultati, per comprendere debolezze e rischi dei singoli istituti senza cadere in semplificazioni. È istruttivo, ad esempio, guardare all’ammontare di capitale che le banche italiane “bruciano” nel cosiddetto “scenario avverso” (una simulazione svolta in condizioni macroeconomiche deteriorate): si va dal 2,2 per cento degli attivi a rischio per Intesa Sanpaolo al 4,5 per cento per Banco BPM (il cui titolo ha difatti perduto oltre il 2 per cento alla riapertura del mercato), con un dato medio nazionale comunque leggermente migliore del risultato europeo.
Troppo blando o troppo severo?
Quando lo stress test 2018 venne lanciato, nello scorso gennaio, lo scenario avverso fu definito “il più severo di sempre”: appariva infatti più ampio che in passato lo scostamento tra quello macroeconomico “di base” (ritenuto più probabile nelle previsioni della Commissione europea) e la sua variante sfavorevole. Con il senno del poi (ma qualche dubbio c’era anche allora), sappiamo che il divario era dovuto più all’ottimismo del primo che alla durezza della seconda. Accade così che alcuni parametri del “worst case” siano ora fin troppo benigni per risultare credibili. È il caso dello spread tra i rendimenti a lungo termine dell’Italia e della Germania, che nello scenario avverso 2020 potrebbe raggiungere – tenetevi forte – i 250 punti base (cioè circa cinquanta in meno del livello raggiunto nelle scorse settimane). Non c’è da stupirsi se i mercati non sembrano considerare decisivi gli esiti del test.
Le banche, per parte loro, obiettano che, se lo scenario macroeconomico può sembrare blando, la metodologia seguita è immotivatamente punitiva. I limiti dell’approccio seguito dall’Eba sono noti e cambiare strada non è banale. Si spera tuttavia che, nel prossimo esercizio, sia possibile rimuovere almeno il cosiddetto “bilancio statico”, che impone alle banche di mantenere invariati per tre anni attivo e passivo, incluse le poste che originano perdite anziché guadagni.
Trasparenza a metà
Un punto di forza degli stress test europei è, tradizionalmente, la trasparenza: l’Eba diffonde, per ogni banca, circa 50 mila numeri di dettaglio che consentono agli analisti di lavorare su una base informativa capillare e uniforme (“costruendo i propri stress test” se le ipotesi adottate dalle autorità non li soddisfano). Quest’anno però, più che al cristallo, la trasparenza degli stress test fa pensare alla lingerie: vedo e non vedo.
Per cominciare, mancano i dati delle banche di competenza delle autorità nazionali o della Banca centrale europea: questo significa, tra l’altro, che il mercato non può conoscere gli esiti di alcune banche di dimensioni medio-grandi e, nel dubbio, vende. Ancora: manca il dettaglio delle esposizioni sovrane articolate per paese, scadenza e portafoglio contabile, che avrebbe consentito di simulare l’effetto di ulteriori impennate dello spread.
Su entrambi i punti, l’Eba conta di intervenire a breve. A dicembre verranno pubblicati i dati dettagliati di 130 grandi gruppi bancari della UE (contro i 48 resi noti il 2 novembre), completi di esposizioni sovrane. Non si tratterà di una simulazione, ma dei valori reali, aggiornati peraltro fino allo scorso giugno. Una scelta utile e rassicurante, che riconferma l’impegno dell’Autorità bancaria europea e del suo presidente per un confronto limpido e leale con gli investitori.
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Henri Schmit
L’autore fa bene distinguere fra criteri formali (indispensabili ma “stupidi”), e giudizi sostanziali. Il notiziario diffuso all’indomani della pubblicazione dei risultati degli stress test EBA da DW (deutsche welle, ottimo per sintesi del punto di vista tedesco sugli eventi) non era da tifoseria come quella della stampa italiana. Evidenziava i problemi di due banche britanniche e di due italiane, in particolare Barclay’s e BPM; rilevava anche lo “statuto” diverso (per dimensione e valenza sistemica) riconosciuto a colossi come BNP Pb e DBk, entrambe “to big to fail”. Per l’Italia il test sarebbe già da aggiornare, come rileva l’autore, perché ipotizza uno spread di 250 per il 2020, che potrebbe essere solo il terzo anno dell’attuale legislatura. I contadini sanno che quando le cose si mettono male il peggio spesso deve ancora arrivare.
gerardo coppola
http://www.economiaefinanzaverde.it/2018/11/07/leba-le-banche-ita
Buonasera prof. Resti. Se le interessa abbiamo applicato la metodologia BCE ai dati del campione Eba. I risultati per le 4 italiane non sembrano cosi brillanti in definitiva.