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Plagio accademico, una pessima abitudine italiana

In Italia chi copia articoli scientifici per ottenere titoli di studio o vincere concorsi non subisce grandi conseguenze. E infatti da noi il plagio è più diffuso che altrove. Potrebbero servire organismi indipendenti in grado di far rispettare le regole.

Ministri scoperti a copiare

Negli ultimi mesi diversi casi di plagio accademico hanno scosso la politica spagnola: la stampa ha sollevato dubbi su come il presidente del governo e il leader del principale partito di opposizione hanno ottenuto i loro titoli accademici, mentre la presidente della comunità di Madrid e la ministra della Salute si sono dimesse dopo essere state accusate di aver copiato le loro tesi di master. Qualche anno fa, in Germania, ebbero simile sorte sia la ministra dell’Istruzione sia quello della Difesa.

Ogni episodio ha una storia a sé e spesso il diavolo è nei dettagli (e nelle differenze fra un caso e l’altro). Ma accuse analoghe, che in Italia hanno riguardato la ministra della Pubblica amministrazione e il presidente della Commissione bilancio della Camera (e in passato altri politici e professori universitari), non hanno avuto conseguenze né politiche né accademiche. Come si spiega la differenza rispetto a Spagna e Germania?

Non sembra essere una questione di leggi, che in Italia sono piuttosto severe. In più, alcune università hanno codici di condotta che condannano anche forme di plagio relativamente lievi. Le regole formali non sempre sono rispettate e applicate. Una prima spiegazione chiama in causa il ruolo dei media italiani che, con poche eccezioni (fra cui lavoce.info), non si sono comportati come quelli spagnoli e tedeschi. Una seconda spiegazione è invece legata all’alta tolleranza della comunità accademica nei confronti del plagio che, secondo la redazione di Noisefromamerika, rasenta l’omertà. Più in generale, quando sono in molti a infrangere le regole, i costi di farlo si abbassano: se così fan tutti (o molti), gli anticorpi hanno più difficoltà a entrare in azione. Per esempio, nei casi ricordati sopra, le istituzioni che per prime avrebbero dovuto chiarire le vicende non sono state particolarmente solerti. Imt Lucca ha prima minimizzato e poi archiviato il caso grazie alla relazione di una società privata che ha addirittura sostenuto che per gli economisti copiare è quasi normale. L’università del Molise ha invece annunciato, più di un anno fa, verifiche interne il cui esito è ancora ignoto, a parte un documento ufficiale nel quale una commissione di concorso dichiara di essersi concentrata su pubblicazioni diverse da quella incriminata.

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Tabella 1

Quanto è diffuso il plagio?

Ma il plagio accademico e le altre frodi scientifiche sono davvero più diffusi in Italia di quanto non siano altrove? Per rispondere, ho utilizzato una recente base dati che identifica gli articoli ritirati (retracted) da riviste scientifiche a causa di errori o vere e proprie frodi scientifiche. Come tutti gli indicatori che misurano azioni che tendono a rimanere nascose, i dati non riflettono solo la pervasività del fenomeno, ma anche la severità delle sanzioni e la frequenza delle denunce. Nel caso delle pubblicazioni ritirate però il problema è meno grave dato che gli standard utilizzati sono internazionali.

Nel periodo 1997-2017, tenendo conto del totale delle pubblicazioni, gli articoli ritirati con autori italiani sono leggermente più numerosi di quelli con autori statunitensi e più del doppio rispetto a quelli con autori francesi. Una parte importante delle differenze è dovuta proprio alla frequenza dei plagi. Quando si considerano i soli articoli ritirati perché copiati, la distanza si allarga notevolmente. I plagi italiani, sempre controllando per il numero delle pubblicazioni, sono quasi il triplo di quelli spagnoli e quasi cinque volte quelli tedeschi.

Per certi versi, il plagio è una frode meno grave rispetto alla falsificazione e alla fabbricazione di dati e immagini, pratiche nelle quali i ricercatori italiani (per fortuna) non sembrano primeggiare. Dopo tutto, chi copia lo fa spesso perché non sa scrivere in inglese o non conosce le regole della comunità accademica e, di solito, non diffonde risultati scientifici falsi. Ma rappresenta comunque un tradimento della fiducia della comunità accademica, che sulla titolarità delle pubblicazioni basa le proprie valutazioni e gli avanzamenti di carriera.

Cosa si può fare per ridurre il tasso di furto di parole e idee ed evitare che inquini le valutazioni accademiche? L’uso dei nuovi software antiplagio può potenzialmente ridurre il problema, ma almeno finora, non sembra in grado di eliminarlo completamente. Un primo passo è quello di dotarsi di organismi indipendenti che applichino le regole esistenti. Il Cnr per esempio ha una Commissione per l’etica della ricerca autorizzata a raccogliere segnalazioni e verificare eventuali comportamenti fraudolenti. Le università e l’Anvur potrebbero seguire il suo esempio.

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11 commenti

  1. Henri Schmit

    Il plagiato è probabilmente fomentato dal valore formale dei CV che invece di avere sostanza devono essere lunghi. Il triste caso del CV utilizzato a fini carrieristici dall’attuale presidente del consiglio è emblematico; gli altri casi “ministeriali” o di esponenti politici di rilievo confermano la stessa triste realtà fatta di trucchi formali e di protezione corporativistica. Ma è quella la logica che governa il paese, o almeno quella parte pubblica del paese. Conta poi come l’opinione pubblica reagisce davanti ai presunti abusi (plagiati, finzioni, bugie, inganni): altrove persone pubbliche sono state costrette a dimettersi rapidamente; nel paese dove la giustizia formale, “garantista” si dice, dei tribunali ha sostituito la sanzione politica e il verdetto dell’opinione pubblica (cinica, compromessa, collusa) incapace di far valere i valori ufficialmente condivisi. Dovremmo avere rispetto per chi è bravo (con o senza tanti diplomi), ma per questo bisogna saper giudicare il merito, invece di accontentarsi di valutare sulla lunghezza del CV.

    • Mauro

      Grazie per il suo commento. Effettivamente un problema importante riguarda le asimmetrie informative nelle valutazioni accademiche (soprattutto quelle di bassa qualità). Per certi versi, anche il caso delle riviste predatorie è un sintomo dello stesso problema:
      https://www.lavoce.info/archives/44664/riviste-predatorie-un-pericolo-per-la-scienza/

      Importante comunque distinguere fra casi diversi: un conto è gonfiare il CV con esperienze vagamente millantate, un altro è copiare altri articoli e utilizzarli per ottenere titoli di studio o vincere concorsi.

    • Mauro Sylos Labini

      Grazie per il suo commento. Effettivamente anche valutazioni con forti asimmetrie informative (o fatte male) possono favorire la diffusione del plagio, che in questo non è dissimile dal fenomeno delle riviste predatorie:
      https://www.lavoce.info/archives/44664/riviste-predatorie-un-pericolo-per-la-scienza/

      Comunque è importante distinguere fra chi vanta esperienze vaghe e vagamente millantate e chi invece si appropria di idee e parole altrui.

      • Henri Schmit

        Ho forse allargato troppo il tema che era il plagiato nella ricerca accademica, ma mi ha colpito la percentuale italiana nella tabella del suo interessante articolo. Non penso (e spero di non sbagliare) che gli Italiani siano tre volte più plagiatori degli altri, ma piuttosto che diano tre volte più importanza a pezzi formali che spesso nessuno legge. Ad aggravare però il giudizio è la mia tesi non dimostrata che l’opinione pubblica italiana in genere non è abbastanza severa con chi bara.

  2. Savino

    Non affidate i vostri figli in mano ai baroni, classica categoria che ha rovinato l’Italia. Speculare sulla cultura per portare a casa il lusso dei privilegi per sè e per la propria famiglia è gravissimo. I concorsi fasulli e taroccati nella ricerca sono la causa della fuga di tanti giovani dal nostro Paese e, ieri, questo fenomeno ha anche causato un suicidio. Ai nostri giovani disperati questi professori dell’ignoranza contrappongono il gesto dell’ombrello.

  3. Paolo Balduzzi

    Credo sia rilevante capire il luogo del plagio, ai fini della comprensione del fenomeno, più che la nazionalità degli autori. Un americano, per dire, che plagia lavorando in una università italiana conferma che l’Italia è un luogo dove il plagio è “tollerato”; se i 330 autori italiani il cui paper è stato ritirato lavorano all’estero, la situazione cambia totalmente, a mio avviso

    • Mauro Sylos Labini

      Grazie per la sua giusta osservazione. Ho scritto “autori italiani” per essere sintetico. La base dati assegna la nazionalità del plagio in base alla nazionalità della università (o della istituzione) presso la quale gli autori lavorano.

  4. bob

    dal Paese del nepotismo muffa cosa vi aspettavate? Dal paese del dott,ing, comm…
    Qualcuno qui parla di CV il 90% del popolino non sa neanche cosa siano. Il

  5. micheledisaverio

    Grazie per l’analisi articolata e per il Suo commento. Alcune considerazioni:
    https://it.wikisource.org/wiki/Piano_di_rinascita_democratica_della_Loggia_P2
    L’abolizione del valore legale dei titoli di studio rientra nei piani pluriennali e di eversione democratica previsti da parte della Massoneria nel recente passato.

    Casi eclatanti di plagio e (ad arte) gonfiati non devono diventare il pretesto per decisioni che poco o nulla hanno a che vedere con il bene comune e con l’interesse collettivo.

    Esistono delle valide alternative per arginare il fenomeno dei plagi accademici:
    1) introdurre il FILTRO della revisione paritaria, escludendo dalle valutazioni di merito le pubblicazioni non peer-reviewed : con un sistema di accreditamento pubblico dei certificatori privati (le riviste valutate in ambito accademico), simile alle certificazioni tecniche di qualità dell’industria, e con i sw antiplagio moderni dovrebbero essere identificati i casi di violazione delle regole.
    2) reclutamento (per concorsi o chiamata diretta) comunque svolto esclusivamente per TITOLI ED ESAMI, tale che le nomine e gli avanzamenti di carriera tengano conto non soltanto di pubblicazioni potenzialmente plagiate, ma di una verifica scritta e puntuale delle competenze acquisite. Tale tipologia di esame presenta una minore possibilità di violare le regole.

    • bob

      lei sta parlando ad un Paese dove si fa “carriera” per anzianità ..il distacco dal mondo reale non è abissale e antropologico..

  6. Cristiano paolini

    Sembra rispecchiare la mancanza di cultura delle regole diffusa in Italia. Se a partire dalle piccole cose l’onestà non è un valore centrale, il lassismo nel rispettare le regole si traspone ad ambiti sempre più alti. In questo quadro essere permissivi in questo senso permette a tutti di sentirsi meno in colpa per le proprie mancanze. Si riscontra anche nel vedere che personaggi riconosciuti come frodatori o disonesti in maniera più o meno grave continuano o dopo poco riprendono la loro autorevolezza come se tutti si fossero dimenticati delle loro azioni. Dovremmo imparare che chi sbaglia deve affrontare le conseguenze delle proprie azioni, che non vuol dire ostracismo senza pietà, semplicemente una misurata forma di richiesta di riguadagnarsi la fiducia perduta con un duro lavoro, anche per premiare chi si è sempre dimostrato onesto.

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