Riformare la prescrizione attraverso un emendamento può essere rischioso. Si tratta infatti di un istituto di garanzia e la sua modifica richiede adeguate valutazioni tecnico-giuridiche. In più ancora non conosciamo gli effetti della riforma del 2017.
Una misura di garanzia
Una recente iniziativa parlamentare, nell’ambito del disegno di legge “spazzacorrotti”, ha riportato in primo piano nel dibattito politico-mediatico la prescrizione del reato. Si tratta di istituto tra i più tormentati, anche per la sua connessione con la dimensione processuale ed è già stato in parte modificato nel 2017 con la riforma Orlando.
L’estinzione dell’illecito collegata al decorso del tempo è espressione di fondamentali garanzie, per evitare accanimenti sanzionatori quando non sussista (in conseguenza di una più o meno ampia distanza cronologica dal fatto) l’interesse della collettività a reprimere un comportamento con la più aspra conseguenza punitiva (la pena), che risulterebbe a quel punto priva della funzione rieducativa assegnatale dall’articolo 27 della Costituzione.
A ciò si aggiungono considerazioni processuali, che pongono in risalto sia la difficoltà di formare le prove di quanto accaduto molto tempo prima, con ripercussioni negative sull’esercizio del diritto di difesa, sia il rischio di dilatare all’infinito l’accertamento e rendere l’imputato un eterno giudicabile, in violazione della garanzia costituzionale del “giusto processo” e della sua ragionevole durata (articolo 111 della Costituzione).
La natura “bi-fronte” (sostanziale e processuale) della prescrizione penale rappresenta una peculiarità dell’ordinamento italiano, che in ciò si differenzia sensibilmente da quasi tutti i sistemi stranieri, nei quali la prescrizione vale soltanto come regola di procedura penale e determina uno sbarramento solo per le indagini e i processi (entro termini, però, molto contenuti) senza estinguere la pretesa punitiva dello stato.
Le ragioni di insoddisfazione rispetto alla disciplina italiana da parte di una vasta fascia dell’opinione pubblica, oltre che di non pochi operatori del diritto, erano dovute essenzialmente alla circostanza che, prima della riforma Orlando, il meccanismo di estinzione del reato rimaneva insensibile nella sua durata massima alle dinamiche di accertamento: il suo decorso, infatti, non era sospeso nel passaggio da una fase processuale all’altra, così da agevolare il maturarsi della prescrizione anche in appello o in Cassazione (benché le statistiche indichino che i processi ‘muoiono’ per lo più in primo grado). In altre parole, poiché il termine prescrizionale non è di regola sospeso durante il processo, può ad esempio accadere che dopo una sentenza di condanna in primo grado il reato si prescriva nei successivi gradi di giudizio con conseguente proscioglimento dell’imputato.
Secondo i detrattori di questo assetto normativo, ammettere l’estinzione del reato durante il processo comporta uno spreco di risorse (tutta l’attività svolta fino ad allora viene vanificata) e alimenta l’impunità a beneficio di chi riesce ad allungare i tempi attraverso tecniche difensive dilatorie (da “Azzeccagarbugli”, per riprendere un’infelice espressione dell’attuale guardasigilli).
A tali preoccupazioni si ribatte, tuttavia, che una prescrizione congelata più o meno precocemente (al momento dell’esercizio dell’azione penale o dopo la sentenza di primo grado) trasformerebbe l’imputato in “ostaggio”, senza alcuna certezza sulla tempistica del processo e con il risultato di irrogare una pena a eccessiva distanza dal fatto-reato.
Proprio queste finalità hanno indotto la Corte costituzionale a intervenire vigorosamente quando la Corte di giustizia UE aveva ritenuto le norme italiane in materia di prescrizione penale inidonee a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione. Con riguardo al grave fenomeno delle c.d. frodi carosello (in materia di IVA) i giudici di Lussemburgo rilevavano invero che la disciplina italiana della prescrizione conduceva di fatto all’impunità degli autori di gravi illeciti, perché non era quasi mai possibile concludere i processi prima che i reati fossero estinti. La Corte di giustizia aveva dunque affermato che era doveroso per i giudici italiani disapplicare la normativa interna sulla prescrizione anche in via retroattiva, ogni qual volta fosse in gioco la tutela degli interessi finanziari dell’Unione. La Consulta in quell’occasione si è schierata senza mezzi termini a tutela delle garanzie dell’imputato, inducendo la Corte europea a tornare sui propri passi e disinnescare il conflitto.
La riforma del 2017
Il legislatore nazionale, dopo un prolungato dibattito politico (e dottrinale, anche in apposite commissioni di studio), con il varo della riforma Orlando, ha allungato i termini prescrizionali e, per arginare il fenomeno dell’estinzione dei reati nei gradi di giudizio successivi al primo, ha previsto criteri più stringenti di ammissibilità delle impugnazioni (se l’appello o il ricorso per cassazione sono inammissibili la prescrizione non può infatti essere dichiarata). Ancor più rilevante è poi la previsione introdotta dalla riforma Orlando per la quale, nei soli casi di condanna, la prescrizione è sospesa per diciotto mesi dopo la sentenza di primo grado e ulteriori diciotto mesi dopo quella d’appello.
Si tratta evidentemente di un compromesso, più o meno equilibrato, che cerca di conciliare due esigenze contrapposte: la tutela dell’individuo e l’effettività della pena. Le ricadute del mutamento normativo non si possono ancora valutare, in quanto ne è preclusa l’applicazione ai fatti pregressi e ai processi in corso: la prescrizione appartiene infatti alla categoria delle norme penali sostanziali, che non possono in alcun caso essere applicate retroattivamente, come impone l’art. 25 della Costituzione.
L’emendamento ora proposto al Ddl “spazzacorrotti” prevede invece la definitiva sospensione (cessazione) del corso della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, indipendentemente dal suo esito, ed è propagandato come panacea di tutti i mali della giustizia penale. Si omette però di ricordare che una simile previsione sarebbe, come detto, inapplicabile in via retroattiva e produrrebbe effetti tangibili non prima di un decennio dalla sua entrata in vigore, che dovrebbe essere posticipata al 2020 per affiancarla a un’altra riforma “epocale” della giustizia penale, stando alle ultime voci.
Al di là di prese di posizione ideologiche, gli strumenti del populismo di lotta o di governo non sono indicati per disciplinare istituti come la prescrizione penale, che si riverbera non poco sui diritti fondamentali e richiede adeguate ponderazioni tecnico-giuridiche, senza trascurare l’incidenza (ancora non misurabile) della riforma del 2017. Occorrerebbe dunque attendere di poter valutare con attenzione gli effetti di quest’ultimo intervento normativo prima di apportare ulteriori modifiche. Rimane inteso che solo una complessiva e sistematica revisione del processo penale può essere in grado di ridurne i tempi senza sacrificare le garanzie dell’imputato.
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Savino
L’Italia non ha problemi sul processo penale, mentre ha grossissimi problemi sulla procedura civile. O si dice che la prescrizione (istituto incomprensibile nel resto del mondo) non esiste più (anche a prescindere dal primo grado di giudizio) e si semplifica per accorciare i tempi dei processi e non dar spazio ai cavilli, garantendo più personale per questo, oppure è altrettanto incomprensibile ed arzigogolato, nonchè ulteriormente iniquo questo rinvio al 2020 per i processi che abbiano superato il primo grado di giudizio. Avvocati e magistrati non possono, peraltro, continuarci a marciare sopra.
Vincenzo Bafunno
Ma se è vero come è vero che per circa l’80% dei procedimenti la prescrizione scatta prima che il giudizio di primo grado intervenga, che senso ha questa polemica?
Perché si vuol distruggere un istituto giuridico di antica civiltà non essendo capaci di rendere il processo penale più efficiente ed efficace? e perché come al solito ci si concentra sul processo penale quando in realtà bisognerebbe concentrarsi sulla riduzione dei tempi biblici della giustizia civile?
Michele
Morale della favola: 1) la prescrizione come prevista in italia non c’è in nessun altro paese, rappresenta “una peculiarità dell’ordinamento italiano” ed inoltre “conduce di fatto all’impunità degli autori di gravi illeciti”. 2) La riforma M5S produrrà effetti non prima di un decennio, ma nell’articolo si suggerisce di aspettare di capire gli effetti della riforma del 2017 per la quale occorrerà aspettare un altro decennio. Grande argomentazione: gli effetti si vedranno nel lungo periodo, cosi non si inizia mai e gli effetti non si vedranno mai…chi la rimanda la scampa…L’Italia si conferma il paese del bengodi per i delinquenti, specialmente se arricchiti e colletti bianchi.
Lantan
Come già rilevato da altri, solo in Italia la prescrizione continua a decorrere mentre l’accertamento processuale è in corso. Negli altri paesi civili la prescrizione si interrompe o all’avvio dell’azione giudiziaria o, al massimo, alla sentenza di primo grado. In Inghilterra praticamente neanche esiste! A dir la verità, c’è un paese nel mondo che ha una regolamentazione della prescrizione come l’Italia: è la Grecia. Sarà un segno?
Del resto come già affermato da Gian Luigi Gatta su penalecontemporaneo.it, chi obietta che col blocco della prescrizione i processi si allunghino all’infinito, si basa sulla convinzione profondamente errata, che la prescrizione del reato sia funzionale alla ragionevole durata del processo. Per dirla ancora con le parole di Gatta: “È patologico l’utilizzo della prescrizione come un farmaco emergenziale per curare la lentezza del processo (un farmaco che peraltro presenta, tra le controindicazioni, il possibile aumento del numero delle impugnazioni e delle strategie difensive volte a cercare di far maturare la prescrizione, allungando i tempi del processo)”.
Dal mio punto di vista, non solo è giusto il decreto Spazzacorrotti, ma fisserei l’inizio della prescrizione non alla data della commissione del reato ma alla data della sua scoperta. Diverse tipologie di reati – quelli ambientali, per esempio – vengono commessi oggi ma il pm li scopre dopo dieci anni, quando le vittime cominciano ad ammalarsi di tumore…ed il reato è ormai prescritto!