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Riforma della prescrizione: un punto di partenza sbagliato

Non è certo dalla riforma della prescrizione che si deve partire se si vuole ricondurre il funzionamento della giustizia italiana ai paradigmi delle garanzie e dell’efficienza. Occorre rimuovere le cause dell’endemica lentezza del processo penale.

Prescrizione e processo penale: un rapporto tormentato

Esistono da sempre, nel diritto, istituti concettualmente problematici che, di tanto in tanto, sembrano riemergere dal letargo per divenire terreno di scontro ideologico. È quanto accade con la prescrizione del reato, modificata dalla legge 3 gennaio 2019, n. 3, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2020: su un fronte, la magistratura ha espresso soddisfazione per una riforma, a suo dire, in grado di individuare un punto di equilibrio tra le “garanzie” dell’imputato e l’“efficacia” del processo; sull’altro, l’Unione delle Camere penali italiane ha manifestato il proprio dissenso contro il rischio di “giudizio senza fine” di kafkiana memoria, in evidente contrasto con la garanzia della ragionevole durata del processo.

È istituto decisamente ambiguo quello della prescrizione: risponde all’esigenza di non punire fatti risalenti nel tempo e coperti ormai dall’oblio, salvo poi operare proprio quando lo stato, attraverso il processo, mette in scena la rievocazione e, dunque, la reminiscenza di quegli stessi fatti. Il dibattito si fa poi particolarmente intenso non appena l’attenzione si sposta sulla possibile intersezione tra la prescrizione e il processo penale. L’argomento è senz’altro complesso, variegati sono i temi, molteplici le implicazioni che ne conseguono: soluzioni semplici, a costo zero, non pare ve ne siano.

La legge n. 3/2019: le attese “tradite” 

Ampliando i propri orizzonti ben oltre la materia della corruzione e nel dichiarato obiettivo di ridurre l’eccessivo numero dei procedimenti penali estinti per prescrizione nei gradi di giudizio successivi al primo, la legge 3 gennaio 2019, n. 3 (meglio nota come spazzacorrotti) ha introdotto il blocco del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado, indipendente dall’esito, sia esso condanna o assoluzione. Una riforma tanto semplice quanto dirompente: una volta intervenuta la pronuncia del giudice, la prescrizione del reato non potrà più maturare in grado di appello o nelle more del giudizio di Cassazione.

Nella discussione in Parlamento, la mediazione politica ha reso possibile l’approvazione della riforma solo “ora per allora”, sul presupposto, cioè, che la sua entrata in vigore fosse differita al 1° gennaio 2020, in modo tale da poter approvare nel frattempo una revisione di sistema del processo penale in grado di garantirne la ragionevole durata, pur dopo il blocco della prescrizione successivo alla sentenza di primo grado.

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Il nuovo anno è alle porte e dell’attesa riforma del processo penale non vi è traccia. Fermo dunque il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, a sistema giudiziario invariato, il rischio che i gradi di giudizio successivi al primo durino all’infinito e che gli imputati (anche gli assolti in primo grado) diventino eterni giudicabili è davvero troppo alto per sottovalutarlo. Potrà anche essere improprio, in astratto, assegnare alla prescrizione la funzione di assicurare tempi ragionevoli al processo, perché altre e diverse sono le ragioni che stanno alla base dell’istituto. Tuttavia, non si può negare che, per come è disciplinato ora il nostro sistema processuale penale, l’istituto ricopre un ruolo determinante per garantire la ragionevole durata del processo: indirettamente sollecita una giustizia più rapida, nel senso di favorire una selezione delle cause da trattare con priorità; altrimenti, assume in via di fatto il ruolo di argine garantistico a una estensione temporale indefinita della vicenda processuale.

Le proposte alternative

Fonti ufficiali del Partito democratico, in questi giorni, hanno fatto circolare la notizia di due controproposte legislative presentate al ministro della Giustizia.

Con la prima proposta resta immutata la vigente disciplina della prescrizione, apportandovi solo lievi correttivi. L’attuale regolamentazione dell’istituto, dovuta alle modifiche introdotte dalla riforma Orlando del 2017, prevede che il termine di prescrizione, decorrente dalla data del commesso reato, rimanga automaticamente sospeso, a partire dalla scadenza del termine previsto per il deposito della sentenza di condanna, sino alla pronuncia della sentenza che definisce il successivo grado di giudizio, sia in appello che in cassazione, ma limitatamente alle sole ipotesi di condanna e, comunque, per un periodo di tempo non superiore, in ciascuna fase, a 18 mesi. La nuova proposta legislativa si sostanzia in un ulteriore allungamento del periodo di sospensione, portandolo dagli attuali 18 mesi sino a due o tre anni, così da ampliare ancora i margini di tempo concessi all’autorità giudiziaria per pervenire all’accertamento definitivo dei fatti, dei suoi autori e delle correlate responsabilità.

Di matrice più marcatamente progressista è, invece, la seconda proposta: una “soluzione dualista” che consiste nella netta separazione tra il piano di operatività sostanziale e quello processuale dell’istituto. In sostanza, si propone di individuare un primo termine di prescrizione sostanziale, cosiddetta “prescrizione del reato”, decorrente dalla data del fatto all’avvio del procedimento penale. A partire da questo momento, il termine di prescrizione del reato sarebbe definitivamente interrotto e, in suo luogo, decorrerebbe un distinto termine di prescrizione processuale, la “prescrizione del processo”, funzionale a stabilire il tempo di durata massima dell’accertamento giudiziario. Com’è agevole intuire, mentre la “prescrizione del reato” continuerebbe a salvaguardare gli interessi sostanziali tradizionalmente posti alla base dell’istituto, la “prescrizione del processo” sarebbe dichiaratamente intesa a tutelare tanto l’interesse del singolo a non essere sottoposto per un periodo eccessivamente lungo al processo penale, quanto l’interesse statale a garantire, comunque, una risposta punitiva al reato.

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Tra i tanti dubbi, una certezza e una proposta

Cosa dobbiamo attenderci, quindi, nelle poche settimane che ci separano dal nuovo anno? Se davvero si vuole (ma si vuole?) ricondurre il funzionamento della giustizia italiana ai paradigmi delle garanzie e dell’efficienza richiesti anche dall’Europa non è certo dalla riforma della prescrizione che si deve partire, ma da un’altra prospettiva: occorre individuare e rimuovere, finalmente, le cause strutturali che determinano l’endemica lentezza del processo penale. Basterebbe procedere a poche, ma incisive, modifiche della legge processuale penale (ad esempio in materia di nullità, di notificazioni e di impugnazioni) volte ad accorciare i tempi di concreto svolgimento dei processi. Contemporaneamente, non è possibile pensare a una riforma complessiva del processo penale senza dotare il sistema giudiziario delle risorse umane, materiali e organizzative che rappresentano le condizioni imprescindibili per l’effettiva attuazione del principio costituzionale del giusto processo. Su questi aspetti, non su altri, dovrebbe esercitarsi, senza indebite frettolosità, la pacata riflessione di un Parlamento che non voglia perdere di vista (se non pagando costi altissimi sul terreno della giustizia) la necessità di un equilibrato rapporto tra termini di prescrizione del reato e tempi di reale durata dei processi penali.

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  1. Antonio Rossi

    Sarebbe interessante sapere (anche attraverso un’analisi quantitativa) se/quanto la disciplina attuale della prescrizione (ante 2020): 1) disincentivi il ricorso ai riti alternativi, così ingolfando le aule dei tribunali di dibattimenti incardinati solo al fine di fruire della prescrizione stessa; 2) alimenti l’ingiustizia sociale, con un processo “veloce” riservato ai soli imputati che non possono permettersi il costo del dibattimento (e al netto dei problemi di efficienza della difesa d’ufficio).

  2. Michele

    Va bene tutto, ma nel frattempo lasciamo che entri in vigore la riforma della prescrizione già legge. Riforma fin troppo lassista visto che riguarderà reati commessi dopo il 1 gennaio 2020. Ben altro servirebbe per far fronte ad una emergenza di illegalità dei colletti bianchi in Italia.

  3. Giuseppe GB Cattaneo

    Il problema vero è l’esistenza di tre gradi di giudizio, una vera e propria assurdità logica che porta spesso a delle conclusioni giuridicamente contrastanti che negano il principio che la verità è una. Nessuno può essere processato tre volte per lo stesso reato.

    • Persio Flacco

      Assolutamente d’accordo. Eppure su questo argomento c’è un silenzio tombale. E Bonafede non fa eccezione.

  4. Lantan

    La riforma della prescrizione contenuta nello “spazzacorrotti” era necessaria per eliminare un assurdo giuridico: in Italia la prescrizione continuava a decorrere mentre l’accertamento processuale era in corso o anche quando, addirittura, è stata già emessa una sentenza di primo grado. Non si può rispondere all’esigenza dei tempi rapidi per lo svolgimento dei processi fulminando i processi con la prescrizione; altrimenti si semina discredito e sfiducia nella giustizia e in chi vi opera: giudici ed avvocati. E si alimenta la voglia di “giustizia fai da te”. Prima che la modifica della prescrizione prevista nello “spazzacorrotti” produca i suoi effetti ci vorranno anni: in questo intervallo il legislatore ha tutto il tempo di adottare quei provvedimenti – alcuni già elencati da Lonati – per sveltire/snellire la macchina giudiziaria. Bisogna però sottolineare un aspetto che Lonati “dimentica” di citare: nei paesi che hanno il processo “accusatorio” (che è stato introdotto in Italia con la modifica dell’art. 113 Cost) “riveste un’importanza fondamentale il fattore tempo. La riproduzione dei fatti deve pertanto avvenire con una memoria recente. Perciò il sistema accusatorio richiede che solo una piccola percentuale dei processi venga celebrata in udienza dove si deve rappresentare la vicenda. Così, infatti, solo il 5-10% dei processi americani giunge al dibattimento.” In conclusione: per avere dei processi giusti in tempi ragionevoli c’è una sola strada: farne pochi.

  5. Luca Amoruso

    La riforma della norma sulla prescrizione,
    che, da molti giorni a questa parte, sta “riattizzando l’eterno focolaio della giustizia”, sia all’interno della maggioranza di Governo, che nelle stesse aule giudiziarie, e che vede esprimersi i vari schieramenti politici, circa quello che essa apporterà o meno all’iter giuridico.
    Tra tanti dubbi, c’è quello secondo il quale sarà, ad esempio, capace o meno di rinnovare la disciplina e se, da un punto di vista procedurale, coglierà l’obiettivo di velocizzare i processi e garantire la certezza del giudizio e dell’eventuale pena apportando nuova linfa al sistema giustizia.
    Aldilà di qualsivoglia riforma, sia essa sulla prescrizione o su quello civile, tra i primi requisiti di cui ha necessariamente bisogno, certamente si impone il continuo ricambio ed apporto di personale amministrativo, donne e uomini, che gli consenta e gli garantisca di mantenere costantemente un livello di efficienza sufficiente, sotto il profilo della ‘performance’ negli uffici giudiziari tutti, e che al momento è gravemente insufficiente.
    La nostra graduatoria, costituita da ben 838 idonei assistenti giudiziari, nell’immediato disponibili, tutti finanziati ma “bloccati”, probabilmente a causa di una saturazione risultante in pianta organica ma non nella realtà lavorativa.
    La soluzione che noi offriamo, è quella​ di assumere in soprannumero tutte le unità di assistenti giudiziari a beneficio di tutti gli uffici giudiziari che versano in condizioni precarie

  6. Persio Flacco

    Concordo con Giuseppe GB Cattaneo: la “normalità” non può essere un processo articolato su tre gradi di giudizio (per chi è abbiente).
    La normalità dovrebbe essere un solo grado di giudizio, sentenza definitiva ed eventuale accoglimento del ricorso in Appello sulla base di elementi probatori solidi.
    In altri termini, dopo la sentenza di primo grado è il condannato che deve dimostrare di essere innocente.
    La vera riforma sarebbe quella che modifica gli articoli 593 c.p.p e 348-bis c.p.c in modo da condizionare l’impugnazione della sentenza alla effettiva e comprovabile esibizione di elementi validi per l’accoglimento dell’istanza.

    In questo modo il processo durerebbe1-2 anni e la macchina della Giustizia sarebbe alleggerita della metà del suo carico, liberando quindi risorse per recuperare l’enorme arretrato che ha; i procedimenti, con le risorse liberate, sarebbero più veloci e accurati, e finalmente i cittadini tornerebbero ad avere fiducia nella Giustizia.

  7. Alfredo

    Ho sempre considerato un processo che si estingue per prescrizione una sconfitta per la Giustizia oltrechè uno spreco di pubblico denaro (visto che imbastire una causa ha un suo costo, spesso rilevante, in termini di dispiegamento di risorse umane e non solo). Chi come me ha frequentato le aule di giustizia per qualche anno sa bene come questo istituto costituisca ormai una consolidata strategia difensiva di chi ha tutto l’interesse a far trascorrere il tempo per garantire l’impunità al proprio assistito, spesso attraverso cavillosità e tattiche dilatorie verso cui gli organi giudicanti ben poco possono. Credo che la persona che si sappia “innocente” abbia tutto l’interesse a dimostrarsi tale in giudizio, anche a distanza di tempo. E poi se la prescrizione così come da noi concepita trova scarso impiego nei paesi giuridicamente più evoluti un motivo dovrà esserci. In ultimi non vedo contraddizione nella legge in oggetto con le proposte avanzate dall’autore: rendere più celere il giudizio attraverso taluni accorgimenti processuali nonchè con l’impiego di personale più numeroso non può che contribuire ulteriormente a garantire quella certezza del diritto (della pena) che troppe volte abbiamo percepito latitante.

  8. Henri Schmit

    A caldo mi sono astenuto di intervenire in un dibattito in cui “tutti hanno un’opinione ma pochi capiscono di che cosa si tratta”. Quando trent’anni fa (formato alle università francesi) sono arrivato in Italia quello che più mi ha colpito negativamente è stato il regime cisalpino della prescrizione penale. Fa parte dello slogan del garantismo, che altrove, dove francamente si è più garantiti, non ho mai sentito pronunciare. Condivido l’analisi esperta dell’articolo che insiste sulla distinzione fra prescrizione del reato (di cui bisogna determinare il termine a quo; penso ai reati di abuso sessuale contro minori) e prescrizione del processo, un istituto che francamente mi lascia perplesso (cf. commento Alfredo). L’autore evidenzia come causa della durata eccessiva dei processi il regime (tutto italicamente formalistico) delle nullità, delle notificazioni e delle impugnazioni. Delle riforme drastiche in questo campo hanno alleggerito e accelerato il processo penale in Francia circa 50 anni fa. Il punto delicato è di rinunciare ad alcune forme (di garanzia) permettendo di correggere se sostanzialmente i diritti della difesa sono comunque tutelati (informazione, tempi utili). La lobby dei penalisti non accetterà mai che le tutele formali possano essere superate da tutele (“solo”) sostanziali. Dissentire dalla categoria di appartenenza è un merito non da poco: l’autore infatti non solo insegna, ma esercita e difende pure.

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