Nel mirino del disegno di legge Pillon c’è soprattutto la disciplina dell’affido condiviso. Ma le soluzioni proposte sono scollegate dal contesto socio-economico italiano. E rischiano di cancellare le più recenti evoluzioni del nostro diritto di famiglia.
Gli obiettivi del disegno di legge
Alla pubblicazione del disegno di legge 735, in tema di “affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” hanno fatto seguito critiche e proteste, culminate nella manifestazione del 10 novembre 2018, che ha interessato oltre 50 città italiane.
Nella relazione illustrativa al Ddl si indica, tra l’altro, come finalità quella di garantire l’“equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari” e quella di assicurare il “mantenimento in forma diretta senza automatismi”. I due obiettivi vengono perseguiti mediante norme che impongono di riconoscere al minore il diritto di “trascorrere con i propri genitori tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori” e che si spingono a stabilire la soglia minima di dodici giorni al mese presso ciascuno dei genitori. Per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali, i genitori sono tenuti al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, secondo capitoli di spesa predefiniti.
In definitiva, si propone di eliminare l’assegno periodico da corrispondere per il mantenimento dei figli al genitore con minori disponibilità economiche, che il giudice sarebbe tenuto a prevedere soltanto “ove strettamente necessario”, “in via residuale” e comunque “per un tempo determinato”. Infine, il minore dovrebbe avere un doppio domicilio e si eliminerebbe l’istituto – definito “monstrum” nella relazione illustrativa – dell’assegnazione della casa familiare.
Su questi aspetti, le proteste più accese provengono da associazioni per i diritti delle donne, le quali chiedono l’immediato ritiro del Ddl. Il motivo si evince dai dati dell’Istat: nel 2015 la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre era pari al 94 per cento del totale, mentre nel 69 per cento dei casi la casa coniugale è stata assegnata alle madri con almeno un figlio. Sussiste dunque il timore che le norme contenute nel disegno di legge possano assumere una portata sanzionatoria nei confronti delle madri. D’altra parte, il nuovo testo normativo è mosso dall’esigenza di evitare che la separazione surrettiziamente escluda uno dei genitori dalle sue responsabilità nei confronti dei figli, se non per quanto riguarda il contributo economico al mantenimento, all’educazione e all’istruzione. In ciò, si avverte l’esigenza di ridurre la distanza tra l’Italia e altri stati stranieri in cui un’effettiva co-genitorialità dei genitori separati è una realtà affermata.
La disciplina dell’affido condiviso
In questo quadro, occorre riflettere sulle ragioni per cui nel nostro paese sono in misura largamente preponderante le madri a prendersi cura dei minori utilizzando somme trasmesse loro dai padri. Il senatore Simone Pillon punta il dito contro la disciplina sull’affido condiviso introdotta con la legge 54 del 2006, affermando che “si è rivelata un fallimento”. Tuttavia, le regole vigenti individuano come soluzione principale l’affidamento condiviso e solo in mancanza di accordo tra i genitori, attribuiscono al giudice il compito di stabilire le condizioni relative alla frequentazione e al mantenimento, tenendo conto del diritto del minore a un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori. Riprendendo soluzioni accreditate in alcuni ordinamenti stranieri, le norme non si esprimono contro il mantenimento diretto dei genitori e la frequentazione paritaria dei figli.
Ne consegue che la disciplina del 2006 non può essere identificata come la fonte del “male” che il Ddl Pillon intende sconfiggere. I dati sopra indicati sono il frutto dell’applicazione pratica delle norme sull’affidamento condiviso e rispecchiano la realtà sociale del nostro paese. Nel tentativo di imporre una linea specifica di gestione della crisi familiare, il testo del disegno di legge si pone in contrasto con le interpretazioni della magistratura e con la prassi degli accordi che intervengono in sede di separazione. Non stupisce pertanto la dura reazione di Gabriella Luccioli, già presidente della I sezione della Corte di Cassazione, la quale in una intervista rilasciata al Sole-24Ore il 25 ottobre 2018 ha affermato che “del Ddl Pillon non si salva nulla, va cancellato”.
Per non risultare del tutto arbitrarie, le “correzioni” di consolidati indirizzi giurisprudenziali a opera del legislatore dovrebbero avvenire sulla base di un’attenta analisi dei motivi che hanno indotto gli specialisti della materia ad accogliere determinate soluzioni. L’analisi sembra qui mancare, soprattutto perché non è stato considerato che la diseguaglianza tra uomini e donne nel mercato del lavoro è notevolmente più alta in Italia che nel resto dell’Europa, sia per quanto riguarda il tasso di occupazione, che la retribuzione. Tenuto anche conto dell’incidenza dei congedi parentali, di cui le donne si avvalgono nella misura dell’80 per cento sul totale (dati Inps), la maternità determina forti penalizzazioni in termini di reddito e di carriera. E l’età avanzata in cui si concepiscono i figli può determinare la fuoriuscita definitiva delle donne dal mondo del lavoro.
Questi aspetti risultano oggi prioritari e un intervento sul diritto di famiglia, che non ne tenga conto, rischia soltanto di accentuare le difficoltà. L’assenza di tutele potrebbe perfino ripercuotersi negativamente sulla scelta di fare figli, in aperto contrasto con le politiche del governo concernenti la natalità, anch’esse fortemente criticate da parte degli addetti ai lavori.
In conclusione, il Ddl Pillon appare scollegato dal contesto socio-economico e vorrebbe imporre una linea in materie molto delicate, che riguardano la vita privata, in cui normalmente lo stato non entra. Sorprende il richiamo della relazione illustrativa alla frase di Arturo Carlo Jemolo, secondo cui la famiglia è un’isola che il diritto può soltanto lambire. Rispetto all’isola che il celebre giurista aveva in mente negli anni Quaranta, le norme del Ddl, nel dettare orari di visita e modalità del mantenimento, rappresentano uno tsunami che rischia di annientare le più recenti evoluzioni del nostro diritto di famiglia.
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Savino
Il minore, così, diventa un pacco postale. Fermiamoci a ragionare sulle conseguenze di queste scelte. Gli operatori del diritto, in particolare, la devono smettere di specularci sopra. Gli avvocati hanno esagerato sui cavilli per le liti familiari, oltrepassando ogni decente limite deontologico e morale.
Giuseppe
Si il ddl ha delle criticità ma che dire della situazione attuale in cui nei tribunali ci sono già i moduli prestampati in cui stante la pratica del copia e incolla a volte restano i nomi dei casi precedenti? Dove il “collocatario” (neologismo che non esiste nella legge in vigore) è sempre la madre. Dove il mantenimento diretto non viene concesso nemmeno quando richiesto e facilmente applicabile? E che l’ ITALIA E’ IL PAESA PIU’ SANZIONATO DALLA CORTE EUROPEA dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 8 sul rispetto della vita familiare, che siamo uno dei primi Paesi europei per tasso di perdita genitoriale post separativa, quando si è evidenziato che abbiamo il più basso tasso in Europa di affido esclusivo paterno nonché di affido paritetico. Viene in mente una citazione di Kennedy. “chi non permette una rivoluzione pacifica rende inevitabile una rivoluzione violenta”
Gabriele
Concordo pienamente con il sig. Giuseppe e vi porto la mia ESEMPLARE situazione personale.
Io e la mia ex compagna, con lo stesso impiego, stesso orario di lavoro, stesso reddito e stesso patrimonio immobiliare, abbiamo una figlia e l’Affido condiviso prevede che io debba versare 400 euro al mese (+ altre innumerevoli spese) nonostante la bambina passi circa 12 giorni con me ogni mese e nonostante io avessi voluto fortemente 15 giorni al mese (50%).
Qualche eminente studioso, avvocato, professore “in cravatta” (come diceva il sig. “Bob” in un precedente commento), SAPREBBE SPIEGARE LA RATIO di una tale soluzione?
L’unica soluzione EQUA e MODERNA è dare uno standard per tutti coloro che lo vogliono, dopo di che spetterebbe al giudice valutare casi difformi dallo standard. Ma è chiaro che, e lo dico in aperta polemica, in questo modo verrebbe meno le necessità di “mediazione” dei Legali, Pedagoghi, Psicologi, ecc. ecc.
bob
Qualche eminente studioso, avvocato, professore “in cravatta” (come diceva il sig. “Bob” in un precedente commento),”
inutile cercarli non esistono più da 40 anni..li abbiamo sostituiti con chi è stato stravaccato al Bar per un vita per poi farlo ministro delle riforme. Il male parte da lontano e la Storia vuole il suo tempo e in un Paese come questo spesso la Storia deve fare i conti con la perdita di memoria, la furbizia, il tiriamo a campare. Il problema da Lei posto è solo una procedura le indicazioni che la politica dovrebbe dare sono altra cosa
tiziana canal
Articolo interessante che coglie efficacemente il “cuore” della questione: la famiglia e la genitorialità sono un argomento, una faccenda, privata o pubblica? Il decreto Pillon pare orientato verso quest’ultima opzione. Ciò che sorprende è che se questo può anche avere un senso in Paesi in cui lo Stato interviene su questioni private come la famiglia, consentendo a uomini e donne di scegliere come esercitare la propria genitorialità – accedendo a congedi, orari flessibili, servizi di welfare, etc. – e consentendo al contempo a uomini e donne il pieno accesso alla vita economica, in un Paese in cui Il tasso d’occupazione femminile è fra i più bassi d’Europa e il congedo di paternità resta, ad oggi, un provvedimento simbolico il decreto Pillon non può che destare nel migliore dei casi perplessità, nel peggiore indignazione….
bob
cara signora al posto dei professori abbiamo messo i bidelli, al posto delle cravatte volgari camice stravaccate , a posto del sapere accademico ciarlatani da bar dello sport…cosa si aspettava??
Giorgio Flavio
Secondo me non avete letto bene il DDL Pillon. Soprattutto sul mantenimento diretto le condizioni di reddito diverse è esplicito che vadano prese in considerazione. Semplicemente, se da padre che ha un reddito (ipotizziamo) doppio rispetto alla mamma devo pagare i due terzi delle spese (sempre per hp) non dovrò più versarli alla madre e fidarmi che lei li spenda per il bimbo, ma li verserò direttamente all’asilo, alla palestra, acquisterò i vestiti ecc. Non si elimina la diversa contribuzione, si elimina il versamento dell’assegno all’altro coniuge. E dove sarebbe il problema?
Sull’affido condiviso, prendere i dati degli affidi “condivisi” sulla carta senza approfondire chi sia il collocatario e chi il “visitatore” (vi rendete conto? Non sono il babbo, sono il visitatore di mio figlio, mi viene da piangere) denota grande disonestà.
I figli sono pacchi postali adesso, quando vengono presi ogni giovedì ed un week end ogni due. Fatevi i conti dei trasferimenti, rispetto a passare due settimane con ciascun genitori, i passaggi sono meno.
Trovo Pillon (il senatore) un retrogrado, ma il suo disegno di legge potrebbe finalmente rendere giustizia a padri torturati, usati solo come bancomat e ridotti a elemosinare ai “collocatari” il contatto coi propri figli.
Clmg20-élite
Credo abbiate illustrato il tema in maniera chiara ed esauriente. Tuttavia il decreto accende un aspro dibattito morale nel quale si scontrano la parità dei genitori e l’effettivo vantaggio dei figli nei riguardi di questa situazione. Nella legge quest’ultimo pare trascurato, poiché uno sballottamento tra genitori, che non guarda alla stabilità di un minore il quale nel crescere dovrebbe possedere certezze non confusione e dubbi, potrebbe rappresentare il sorgere di conflitti e dispute difficilmente conciliabili in futuro.