Rifiuti zero è un obiettivo impossibile da realizzare. Lo dimostrano i paesi più virtuosi. E lo afferma lo stesso pacchetto per l’economia circolare della Ue. Degli inceneritori dunque non si può fare a meno. Da discutere è semmai il modello di governance.
Né fallimento né residuo del passato
Il discorso pubblico in tema di rifiuti in Italia avrebbe deliziato il dottor Sigmund Freud. Ad ogni emergenza si ricomincia a parlarne in modo isterico e compulsivo. Poi l’emergenza in qualche modo rientra, e il tema ritorna nell’inconscio, non risolto ma rimosso. Destinato quindi a riproporsi, tale e quale, alla prossima occasione. Anche stavolta, con gli stessi argomenti e toni che si sarebbero potuti usare 30 anni fa.
Sugli inceneritori si possono dire tante cose, ma certamente non quello che ha affermato il ministro Luigi Di Maio: se nella filiera dei rifiuti c’è qualcosa che attira la camorra come le mosche al miele, non si tratta certo dei grandi impianti che bruciano rifiuti e producono energia. Non è un caso che a pilotare le rivolte contro l’impianto di Acerra ci fosse proprio la criminalità organizzata.
C’è molta più infiltrazione malavitosa nelle miriadi di aziende e aziendine che prosperano sul ciclo del recupero dei materiali, per il semplice motivo che è molto più facile imbrogliare le carte miscelando, manipolando, trattando i materiali, che non gestendo grandi impianti controllati 24 ore su 24.
I leader dell’incenerimento in Italia sono aziende come A2A, Hera, Iren: multiutility pubbliche, quotate in borsa. Anni luce dalla camorra, fino a prova contraria.
Gli inceneritori possono non piacere. Tuttavia, ci andrei piano prima di sostenere, come fa il presidente della Camera Roberto Fico, che “rappresentano il passato”; o come sostiene il ministro Sergio Costa, che “quando arriva l’inceneritore, il ciclo dei rifiuti è fallito”. Forse confondono gli impianti a norma con i roghi abusivi e i capannoni di “stoccaggio provvisorio” che continuamente prendono fuoco?
Gli inceneritori hanno certo un impatto sul territorio, ma né più né meno di tanti impianti industriali di altro tipo. Se sono inseriti bene possono addirittura migliorare la qualità dell’ambiente, sostituendo fonti di generazione del calore più inquinanti.
Rifiuti zero non è realizzabile
L’esperienza dei paesi europei più virtuosi è unanime (figura 1): “rifiuti zero” è un sogno impossibile da realizzare (nelle condizioni attuali), mentre “discarica zero” si può fare, anzi c’è chi già lo sta facendo. Olanda, Danimarca, Svezia, Germania riciclano circa metà-due terzi e bruciano circa un terzo-metà dei loro rifiuti. Col solo riciclo non si va lontano, e chi millanta di farlo, come San Francisco, in realtà imbroglia.
A Copenhagen, città che punta a diventare entro il 2025 la prima metropoli “carbon neutral” al mondo, sta per entrare in funzione un colossale impianto inserito in una collina artificiale, dove l’energia prodotta sarà utilizzata, tra l’altro, per innevare una pista da sci. A Stoccolma è stato realizzato un nuovo quartiere iper-ecologico che genera tutta l’energia che gli serve da un inceneritore: è diventato uno dei posti più cool della città. Perché invece in Italia è tabù anche il solo parlarne?
Paradosso dei paradossi, contro gli inceneritori si invoca “l’economia circolare”. Chi avesse voglia di leggersi il “pacchetto sull’economia circolare”, che l’UE ha varato quest’estate nel silenzio dei media italiani, vi scoprirà obiettivi molto ambiziosi: minimo 65 per cento di riciclo dei rifiuti urbani (con tassi molto maggiori per specifici flussi come gli imballaggi) e massimo 10 per cento di rifiuti in discarica. Sono obiettivi che richiedono senz’altro un potenziamento consistente degli sforzi verso il riciclo, che però da solo non basta. Resta un 25 per cento almeno di materiali che non verranno riciclati e che neppure potranno andare in discarica.
Secondo la stessa UE, l’incenerimento avrà un ruolo “residuale”, ma questo non significa “marginale”, né tanto meno “zero”.
Un recente studio condotto per l’Agenzia europea dell’ambiente quantifica il fabbisogno di impianti a livello nazionale nei vari paesi UE, calibrato sul rifiuto che residuerebbe una volta realizzato l’obiettivo del 65 per cento. Per l’Italia viene stimato un deficit, ipotizzando il parco impiantistico attuale. Occorre però tenere presente che molti impianti ora in esercizio presto arriveranno a fine vita. E occorre tenere presente anche tutti i flussi di ritorno che agli inceneritori giungono dal circuito dei rifiuti speciali: materiali destinati al recupero ma scartati per varie ragioni.
Gli impianti servono, magari non uno per provincia, come spara l’altro dei due Dioscuri. Numeri più realistici li aveva calcolati il decreto “sblocca Italia”. Ma più che il numero, conta il modello di governance: proprietà e gestione integrata con i servizi di raccolta (modello emiliano e lombardo) oppure “essential facility” indipendente da chi ha l’affidamento dei servizi a livello municipale? Vincolati al territorio o liberi di cedere la capacità al miglior offerente? Concorrenza nel mercato o regolazione? Sono solo alcuni dei temi su cui sarà chiamata a cimentarsi l’Autorità di regolazione.
Figura 1 – Gestione dei rifiuti urbani in Europa e in alcuni paesi Oecd
Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat e Oecd.
La figura ha sull’asse orizzontale la % dei rifiuti incenerita con recupero di energia, e su quello verticale la % recuperata come materia (incluso il compost e le altre forme di recupero secondario, per esempio gli inerti nelle massicciate stradali). Il numero tra parentesi indica la % che va in discarica. L’insieme verde contiene tutti i paesi che hanno già raggiunto e superato l’obiettivo del “circular economy package” (<10% in discarica).
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Sergio Ascari
Aggiungerei solo che la minor disponibilità ad importare semilavorati di riciclo di bassa qualità (eufemismo?) da parte della Cina e di altre economie emergenti porterà inevitabilmente ad aggravi di costo nella filiera del riciclo, specie della plastica, che finiranno per ripercuotersi sull’economia dei rifiuti. Se va bene ci si sposterà verso la termovalorizzazione, se va male andrà a favore di discariche ed illegalità varie.
A distanza di 25 anni dall’epoca in cui mi occupavo professionalmente di rifiuti, constato che sia il riciclaggio che la termovalorizzazione, nonostante il conflitto esasperato come sempre dalla mentalità politico-giornalistica,hanno progredito entrambi, e notevolmente, anche in Italia. Invece mi pare che poco si sia fatto sul terreno della prevenzione, anche nel resto d’Europa. Gli imballaggi, anche multimateriali e perciò oggettivamente di difficile riciclo, imperversano e aumentano, salvo rari episodi probabilmente a fini d’immagine. Non vedo chiare indicazioni al consumatore su come smaltirli correttamente. L’ecolabeling ha fatto progressi ben maggiori in altri settori, direi. Ciò produce littering, e quindi dà forza politica ai sostenitori del riciclo.
Infine, dissento dall’autore sulle piste da sci, che uno scialpinista non dovrebbe mai sostenere.
Antonio Massarutto
Sono uno sci-alpinista laico. Meglio le piste sui tetti degli impianti che sventrare le montagne, anyway. Concordo con te che sul fronte della prevenzione c’è moltissimo da fare, ma mi sembra che anche tu sia d’accordo che, nel mentre, non ci sono molte alternative a un sistema integrato che ricicla quanto può, e destina il resto alla produzione di energia. Anche perché molte forme di “riciclo” in realtà sono solo apparentemente tali. Ora che il giochino di spedire in Asia montagne di materiali pseudoriciclabili non funziona più, iniziamo ad accorgercene anche noi.
francesco
“Non è un caso che a pilotare le rivolte contro l’impianto di Acerra ci fosse proprio la criminalità organizzata”
mi sembra un’affermazione grave, senza elementi a supporto.
Antonio Massarutto
Forse pilotare è eccessivo. Sobillare (e goderne in silenzio i frutti) è più appropriato. Mi sembra che tutto questo sia storia. Il quotidiano Il Mattino, non io, all’epoca ha sostenuto con forza questa tesi. Il che non vuol dire che tutta la gente che protestava fosse in malafede, ovviamente (c’era perfino il vescovo). Ma che le proteste favoriscano, oggettivamente, chi campa di gestione illegale è innegabile.
bob
L’ illegalità è direttamente proporzionale al frazionamento assurdo dei poteri politici. In un Paese “frazionato” come il nostro con 7-8 livelli di potere dallo Stato all’ ultima circoscrizione, diventare referente politico è molto semplice. Proprio in periferia, più che al centro, che opera la ” mafietta” perchè più facile la gestione. Rendiamoci conto dell’attuale livello politico della ” classe dirigente”..in parte figli del peggio ’68 …dall’altra di barbari incivili ( barbaro /cittadino romano)
Claudio
Non ha preso in considerazione i costi esterni sulla salute della popolazione causati dalle micropolveri (costi sanitari, perdita di mesi di vita per ciascun abitante, impatti sul settore agricolo e dell’allevamento, vedi Brescia, ecc.), problema che ancora non si è in grado di risolvere. Non ha considerato la possibilità da parte dell’UE di attivare politiche per la riduzione della plastica a favore di materiali compostabili (eco-plastiche) e di riduzione degli imballaggi, che ridurrebbe alla fonte la quantità di rifiuti. Insegnando a Udine avrà ben presente la pessima situazione di Trieste, dove un inceneritore molto sovradimensionato (e con recupero energetico assai modesto) deprime fortemente la raccolta differenziata. Anche la sua teoria sugli inceneritori utili per tenere la criminalità organizzata fuori dal settore rifiuti mi pare faccia acqua, vista l’intervista di pochi giorni fa del Presidente della Commissione anti-mafia Morra, a proposito delle mire del clan Mallardo sulla costruzione dell’inceneritore di rifiuti a Giugliano.
Anna Mancini
Ha una fonte per le problematiche legate alle micropolveri e salute? Nei paesi che hanno inceneritori anche nel mezzo dei centri abitati non sembra esserci evidenza nei dati e nelle statistiche di ciò che dice.
Inoltre distinguerei la costruzione del termovalorizzatore (che attira la criminalità organizzata come tutti i grandi appalti di costruzione) e il suo funzionamento (che è tutt’altra cosa e a cui si riferisce chiaramente l’articolo)
Antonio Massarutto
Ho preso in considerazione tutto quel che lei dice. I costi esterni degli impianti costruiti con le attuali tecnologie e rispettosi degli attuali standard sono bassissimi. Inferiori a quelli delle emissioni che vengono risparmiate da altre fonti. Il FVG ha uno dei tassi di raccolta differenziata più alti d’Italia (che poi a Trieste città sia più basso ci sta, come in tutte le città che hanno simili tessuti urbani). Riguardo alla teoria che fa acqua, mi sembra che diversi esperti di crimine la condividano (vedi ad esempio Raffaele Cantone). La prevenzione è fondamentale, le ecoplastiche sono fondamentali, il riciclo anche. Ma non bastano. E se non ne prendiamo atto, poi non stupiamoci dei roghi.
Claudio
A Coriano, Forlì, sono stati condotti degli studi che mostrano un incidenza maggiore di alcuni tumori, soprattutto femminili, nel raggio dei camini dei due inceneritori (ci fu anche un processo concluso con assoluzioni). Studi recenti a Monfalcone (GO) ma riferiti a una centrale a carbone. ISDEE, medici per l’ambiente, ha scritto molto sull’argomento https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/23/diritto-alla-salute-quali-verita-dietro-gli-inceneritori-di-nuova-generazione/2988622/ Insisto che bisogna agire alla fonte, riducendo e semplificando gli imballaggi, migliorare la raccolta differenziata (e con la progressiva introduzione del porta a porta la qualità migliora molto), poi lavorare su nuovi materiali e a quel punto il residuo non riciclabile sarà molto basso e tranquillamente trattabile negli inceneritori esistenti. Costruirne ancora di nuovi (e relative discariche speciali per le ceneri?) mi pare assurdo, anche tenendo conto che saranno pronti tra 10 anni, quando se si fanno le politiche attive di cui sopra saranno già inutili. Quando vado a Vienna, attorno all’inceneritore di Hundertwasser vedo sempre i muri coperti dai volantini dei comitati di protesta, solo noi in Italia lo citiamo come grande esempio di innocuità dell’incenerimento! Capisco che La Voce.Info si occupa (in maniera eccellente) di economia, ma magari in questo caso, dopo l’economista, potrebbe dar voce a un medico esperto..
F.Mario Parini
Solo pochi materiali sono riciclabili al 100% tranne le partite contaminate; parlo di acciaio, vetro ed alluminio .Il resto dei prodotti riciclabili dopo un certo numero di riusi(carta,plastiche,legno) non è più utilizzabile. In ogni processo industriale esistono gli scarti più o meno riutilizzabili e per la filiera del riciclo abbiamo lo stesso problema. Certe affermazioni sono pronunciate da inesperti; In Italia la raccolta differenziata non ha ancora raggiunto sia l’organizzazione capillare sia la qualità. Abbiamo ancora molta strada da percorrere; separazione del vetro in funzione del colore, dei pannolini, pannoloni, dei tappi di sughero , delle plastiche pregiate, dei fondi di caffè. delle cicche delle sigarette,ecc Poi ogni comune divide il materiale in modo differente in funzione del conferimento, non esistono regole uniformi e, soprattutto, manca il senso civico