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Serve davvero mettere gli evasori in manette?*

A un reato pecuniario come l’evasione si adattano meglio le sanzioni pecuniarie del carcere. Le indagini penali vanno riservate solo ai casi più eclatanti. E per questo sono necessarie le soglie. D’altra parte, si comportano così tutti i grandi paesi.

Il nodo dell’obbligo dell’azione penale

Per valutare potenzialità e limiti delle “manette agli evasori” conviene partire dal punto più alto del nostro ordinamento giuridico: la Costituzione, che, all’articolo 112, stabilisce l’obbligo dell’azione penale.

Le costituzioni dei principali paesi europei (Francia, Spagna, Germania) non contengono un articolo analogo, al massimo lo derivano da altre disposizioni (Spagna e Germania). A livello di codici di procedura penale, solo la Spagna prevede l’obbligo (articolo 100, Ley de Enjuiciamiento Criminal). In Francia è previsto il suo esatto opposto, la facoltatività dell’azione penale (articolo 40-1, Code de procédure pénale). In Germania è invece previsto l’obbligo (articolo 152, Strafprozeßordnung), ma temperato dal principio di opportunità (articolo 153 e seguenti), con cui il pubblico ministero rinuncia all’azione penale in caso, tra l’altro, di lievità del reato o di modalità alternative di esecuzione della pena.

Simili restrizioni appaiono ragionevoli. L’obbligo dell’azione penale, motivato dall’eguaglianza dei cittadini, presuppone infatti che la magistratura sia in grado di perseguire tutti i reati, il che è però poco realistico e rischia di produrre effetti alquanto diversi, secondo il meccanismo di mito e paradosso descritto da Einaudi proprio con riferimento alla giustizia tributaria.

A un’esigenza di temperamento risponde la scelta italiana di introdurre in campo tributario soglie quantitative, come in Spagna (120 mila euro) – altro paese dove vige l’obbligo dell’azione penale. Soglie che continuano ad avere senso, in termini di certezza, anche in presenza delle regole sulla non punibilità introdotte nel nostro ordinamento nel 2015 (art. 131-bis del Codice penale). Soglie che sono sempre esistite nel nostro paese, almeno nel recente passato. Anche il decreto-legge 429 del 1982, la famosa legge “manette agli evasori” (che in realtà era prima di tutto un condono tombale), prevedeva alcune soglie: assolute, come i 25 o i 100 milioni di lire (di imponibile) per l’omessa dichiarazione, equivalenti a circa 45 mila euro e 180 mila euro; o percentuali, come il 2 per cento per gli omessi corrispettivi. Ciò nonostante, l’applicazione di quella legge fece arrivare alla sola procura di Milano 60 mila denunce per il solo mancato versamento delle ritenute, reato per il quale non erano previste soglie.

Statistiche a confronto

Posta l’opportunità di limiti quantitativi per evitare simili situazioni di “ingorgo”, ci si può chiedere – legittimamente – se i limiti attuali non siano troppo generosi. A giudicare dai dati degli altri paesi non lo sono.

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Nel 2016, ultimo anno di applicazione dei vecchi limiti, l’Italia è risultata uno dei paesi più severi d’Europa: secondo i dati Istat, i condannati con sentenza irrevocabile per reati tributari sono stati 4.026. Sono oltre il doppio di quanto registrato in Germania (1.767 sentenze; fonte: Monatsberichte, novembre 2017, del ministero delle Finanze) e quasi otto volte le condanne in Francia (560; fonte: Les condamnations 2016 del ministero della Giustizia). Per la Spagna, l’unico riferimento possibile sono le denunce presentate dall’amministrazione fiscale, che risultano essere state 226 (fonte: Memoria 2016 dell’Agencia tributaria); divario comunque incolmabile anche da condanne per indagini autonome della magistratura. Anche dal confronto con gli Stati Uniti usciamo, per così dire, vincenti: l’Irs ha ottenuto nel 2016 la condanna di 1.134 evasori, meno di un terzo rispetto all’Italia. I dati di tutti questi paesi riferiti agli anni precedenti confermano il nostro record.

Si potrebbe obiettare che la deterrenza non dipende dal numero di condanne ma dalla severità delle pene e dalla loro effettività. In altre parole, da quanti evasori finiscono davvero in carcere e per quanto tempo.

Anche in questo caso il confronto con altri paesi non mostra differenze significative. Le pene previste dalle leggi di Francia, Spagna e Germania non sono particolarmente più elevate: la pena ordinaria è ovunque di 5 anni, con punte di 7 in Francia (se commesso in associazione) e di 10 in Germania (per casi di particolare gravità), contro il massimo di 6 anni previsto in Italia (art. 2 del decreto 74/2000). Forse è anche il caso di smentire una volta per tutte il mito delle pene carcerarie Usa: il Crimes and Criminal Procedure Code e l’Internal Revenue Code prevedono in tutto sette fattispecie punite con pene fino a 1, 3 e 5 anni; le notizie di pene superiori derivano dal fatto che negli Usa si applica il cumulo materiale, cioè la somma matematica delle pene. E comunque si tratta di casi veramente rari.

Per quanto riguarda il numero di carcerati, le statistiche nazionali contribuiscono a fare un po’ di chiarezza, ma solo per gli altri paesi. Quelle italiane (come quelle spagnole) non consentono di individuare i detenuti per evasione fiscale; solo la relazione della Guardia di finanza indica il numero degli arrestati: 99 nel 2016. In Germania all’inizio del 2017 vi erano 225 carcerati per violazioni dell’articolo 370 della legge generale tributaria (Strafvollzug, Fachserie 10, Reihe 4.1 dell’Ufficio statistico federale). In Francia a fine 2016 delle 560 condanne viste sopra, solo 105 hanno comportato la carcerazione vera e propria. Quanto agli Usa, secondo il sito del Bureau of Justice le prigioni americane nel 2014 ospitavano 359 condannati per evasione fiscale.

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Quanto sono poi lunghe le condanne inflitte? Non molto, in media: in Germania la risposta a un’interrogazione parlamentare ha quantificato in 1 anno e 2 mesi il dato per il 2010-2013; le statistiche citate sopra permettono di stimare la pena media in 1 anno e 3 mesi per la Francia e in circa 2 anni per gli Usa; solo due sono i casi di pene superiori ai 10 anni e quattordici tra 5 e 10 anni, il 5 per cento scarso dei carcerati.

In conclusione, non c’è evidenza che i paesi esaminati facciano affidamento sulle norme penali per la lotta all’evasione fiscale: i procedimenti penali sono meno che in Italia, le pene sono sostanzialmente allineate e le condanne severe verosimilmente poche. Quindi, sembra difficile identificare un possibile rapporto fra esse e il livello di evasione fiscale. La funzione di tali norme sembra, quindi, più che altro emblematica, di ammonimento.

Il carcere può forse avere una funzione effettiva in questo campo mettendo in condizione di non nuocere chi aiuta a commettere ripetutamente ed estensivamente il reato di evasione, vale a dire i consulenti disonesti. E se proprio si vuole, simbolicamente, colpire qualche contribuente, appare ragionevole concentrare l’attività dei giudici sui casi rilevanti, per perseguire i quali soglie consistenti sono non solo opportune, ma anche necessarie. In tutti gli altri casi, a un reato pecuniario come l’evasione si adattano perfettamente le sanzioni pecuniarie, il colpire gli evasori nel patrimonio, se è vero, come diceva Machiavelli, che “li uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio”.

* Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono l’istituzione di appartenenza dell’autore.

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  1. Savino

    Il carcere ci vuole, ma lo debbono chiedere governanti e legislatori credibili. Ci sarebbe da fare la guerra fiscale ed, invece, i gialloverdi hanno dapprima portato avanti la pace fiscale, per poi (forse) rimangiarsela.

  2. Massimo Romano

    Credo che occorra tenere conto anche di alcune peculiarità italiane: a) la forte propensione alla trasgressione, come dimostra il livello di evasione, che in Italia è di molto superiore a quello degli altri paesi sviluppati; b) la scarsa effettività dell sistema sanzionatorio amministrativo, che si traduce nell’irrogazione di sanzioni molto spesso virtuali anche per l’inefficacia del sistema di riscossione coattiva. A ciò si aggiunga la possibilità di ravvedimento, ormai anche dopo l’inizio delle indagini, con aggravi marginali. In definitiva le procedure e i metodi di accertamento adottati in Italia rendono l’evasione particolarmente remunerativa.

  3. Giuseppe GB Cattaneo

    Il carcere come punizione per i reati pecuniari è un’assurdità. Ovviamente non mi riferisco solo all’evasione fiscale, ma a tutte le violazioni di legge che avvengono senza uso di violenza. Se si accetta che il contrappasso di una violazione pecuniaria (di qualsiasi tipo) sia della stessa natura del reato, logica vuole che la sanzione pecuniaria non sia la stessa per chi è ricco e per chi lo è meno, come oggi accade in Italia. In alcuni paesi (Svizzera e Finlandia) la sanzione pecuniaria proporzionale alla ricchezza posseduta è già in uso. Ma c’è un particolare che merita di essere considerato. Le sanzioni pecuniarie proporzionali alla ricchezza per essere correttamente applicate dovrebbero distribuirsi lungo tutta l’esistenza in modo che la sanzione sia proporzionale alla ricchezza complessivamente posseduta e non alla ricchezza posseduta al momento del reato o della condanna.

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