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Come risolvere il dilemma dei compiti a casa

Compiti a casa sì o no? Secondo gli studi e le indagini internazionali hanno vantaggi e svantaggi. Ma le soluzioni alternative ci sono e spetta ai responsabili delle politiche educative decidere. Certo non è un tema da affrontare con una circolare.

Le ragioni degli insegnanti

Con le vacanze di Natale torna la polemica sui compiti a casa. Vissuti solitamente come una iattura dagli studenti e come motivo di stress dai genitori, a volte catturano anche l’attenzione dei responsabili delle politiche educative. L’ultimo è il ministro Bussetti che ha annunciato una circolare in merito, ma prima di lui già il ministro Profumo si era detto contrario a eccessivi carichi di lavoro a casa per gli studenti. I docenti, però, continuano in larga parte a fare affidamento sui compiti a casa, confidando che gli studenti svolgano una quota di studio in autonomia.

Una delle ragioni è che, nella ricerca del metodo di studio per sé più congeniale, ogni studente deve imparare ad alternare il lavoro condiviso svolto in classe con momenti di apprendimento autonomo. I compiti a casa favoriscono questa seconda pratica. Da tempo, la ricerca ha poi messo in evidenza come le interruzioni (più o meno lunghe) delle attività scolastiche comportino un decadimento dei livelli di apprendimento (learning decay/skills deterioration). Alcuni studi quantificano quello dopo le vacanze estive in media nell’equivalente di un mese di scuola. L’arretramento non colpisce allo stesso modo tutti gli studenti e ogni tipo di competenza: cresce al crescere del grado scolastico (perché nozioni, saperi e metodi diventano via via più complessi); è più accentuato in matematica; colpisce maggiormente chi ha profili di competenza più fragili (perché è più facile preservare il proprio livello di competenza quando è già elevato) e chi ha un retroterra familiare meno avvantaggiato (perché solitamente meno esposto a stimoli educativi in ambiente domestico).

È anche per scongiurare questi rischi che i docenti fanno ricorso ai compiti a casa.

Ma i compiti a casa fanno davvero bene?

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Per le indagini internazionali sui livelli di apprendimento, gli studenti italiani sono tra quelli che dichiarano un elevato carico di lavoro in forma di compiti a casa. Secondo IEA Trends in International Mathematics and Science Study del 2015, i ragazzi di terza media (grado 8) che dichiarano di dedicare fino a 45 minuti la settimana ai compiti a casa di matematica hanno 486 come punteggio nei test (significativamente sotto la media internazionale di 500); chi dichiara un impegno domestico tra i 45 minuti e le 3 ore la settimana sale a 502; scende invece di nuovo a 488 chi dice di studiare la matematica oltre 3 ore alla settimana. Dunque, i compiti a casa fanno bene agli apprendimenti, ma per evitare effetti indesiderati è meglio non eccedere.

C’è anche un altro effetto collaterale indesiderato. I compiti a casa sono uno dei canali attraverso i quali si allargano i divari di apprendimento tra studenti con diverso retroterra socio-culturale. Sempre Timss ci dice che, rispetto a uno studente con genitori istruiti fino alla licenza media, un figlio di diplomati ha una probabilità del 15 per cento più alta di dichiarare un maggior tempo speso a fare i compiti a casa (+23 per cento per un figlio di laureati). Peraltro, anche senza tempo disponibile, i genitori più istruiti (spesso con condizioni di reddito più favorevoli) possono ricorrere con più agio a “lezioni private” per aiutare i figli nello studio a casa.
Risultati analoghi si registrano anche alle superiori (si veda l’indagine Ocse Pisa).

Si può farne a meno?

Le evidenze indicano anche alcuni possibili rimedi alla caduta degli apprendimenti dovuta alle pause scolastiche e agli effetti deleteri associati a un eccessivo carico di compiti a casa.
A livello istituzionale, si potrebbe rimodulare il calendario scolastico così da non avere pause lunghe e concentrate, ma più brevi e spalmate sull’intero anno. È una soluzione già adottata in molti paesi; in Italia però richiederebbe cambiamenti non banali anche in termini di edilizia scolastica e spazi educativi.

Un altro rimedio ha a che fare con l’estensione del tempo scuola alle ore pomeridiane non per svolgere attività ordinaria, ma per individualizzare l’offerta formativa con attività integrative e di recupero per chi è in ritardo e attività di potenziamento e approfondimento per gli altri. In alcune scuole italiane è già una buona pratica; se fosse istituzionalizzata potrebbe dare un senso all’organico dell’autonomia che oggi “un senso non ce l’ha”. Non a caso nelle scuole primarie, dove il tempo scuola è più esteso e l’impianto pedagogico è diverso, il ricorso ad attività di studio extra-scolastiche è più limitato rispetto alle medie (fonte: Timss 2015 grado 4 rispetto a grado 8). Alle medie, dove i saperi si frammentano e si aprono i gap di apprendimento che determineranno le scelte future e i destini educativi, il tempo pieno/lungo/prolungato è una chimera e comincia a crescere il carico dei compiti a casa, con tutte le conseguenze del caso.

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Dunque, le soluzioni esistono e sono nelle mani dei responsabili delle politiche educative; ma non sono temi che si possano affrontare con una circolare ministeriale.

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  1. Luca

    Credo che la questione, in termini generali, sia mal posta. Ci sono troppe variabili per una risposta univoca: età dell’alunno, tipo di scuola, materia di studio, tecniche didattiche sono solo le principali e posizioni contrarie o favorevoli che non ne tengano conto han poco senso (questo in parte emerge anche dall’articolo). Insegno lettere nei licei da più di venti anni, solitamente evito di assegnare compiti aggiuntivi durante la pausa natalizia per consentire agli alunni di liberarsi dallo stress che è legato ad un’attività costante e costantemente valutata come lo studio liceale; ma non ne faccio una regola, a volte par meglio lasciare ai ragazzi qualcosa da fare da soli. Osservo poi che interventi così generici su un argomento eminentemente tecnico da parte del ministro mi lasciano sempre piuttosto perplesso: mi par sempre che sia un po’ come se il ministro che si occupa di infrastrutture, sulla base del suo buonsenso, consigliasse bonariamente agli ingegneri di costruire le gallerie stradali un po’ più larghe! Concludo aggiungendo – se posso permettermi – un consiglio: il ministero appronti le ultime direttive sul nuovo esame entro gennaio e si impegni a non aggiungere più nulla dopo tale data. Così sapremo come preparare i ragazzi senza il rischio di interpretazioni ministeriali tardive ed impreviste. E lasci alle scuole la programmazione del lavoro (scolastico o domestico che sia)!

  2. La sperimentazione strutturata del metodo Montessori alle medie è una realtà che coniuga tempo lungo anche alle medie e un carico di compiti non eccessivo

  3. Lorenzo

    Ci sono vari punti non chiari che, ho paura, rendano questo articolo prono a delle interpretazioni estremiste sul fatto degli eccessivi compiti a casa. “scende invece di nuovo a 488 chi dice di studiare la matematica oltre 3 ore alla settimana. Dunque, i compiti a casa fanno bene agli apprendimenti, ma per evitare effetti indesiderati è meglio non eccedere” e “Peraltro, anche senza tempo disponibile, i genitori più istruiti (spesso con condizioni di reddito più favorevoli) possono ricorrere con più agio a “lezioni private” per aiutare i figli nello studio a casa.”
    Relativamente al primo punto è ovvio che alunni meno capaci. Sotto pressione dei genitori o altre pressioni sociali, devono destinare più tempo alla matematica. Quindi direi che l’effetto calcolato è parziale in quanto non tiene conto dell’abilità degli studenti. Non vorrei che si arrivi alla conclusione che bastino 2 ore a settimana per imparare la Matematica.
    Il secondo punto sembra far decadere la discussione sul fatto di non dare troppi compiti altrimenti qualcuno con meno mezzi rimane indietro. Ovviamente non è questo il senso della frase, dato che poi nelle proposte soluzioni ci sarebbe l’estensione del tempo a scuola. Ognuno deve sfruttare i mezzi che ha. È una mia precisazione per evitare che la discussione ci porti solo su una questione di status quo o ricchezza familiare, non credo sia questo il caso. Lo stato deve intervenire per chi è privo di risorse, non per limitare chi le ha.

  4. Lorenzo

    Aggiungo che per il resto vorrei leggere più articoli di questo genere, dato che se l’Italia vuole restare competitiva, non sarebbe male riformare il sistema dell’istruzione.

    • Markus Cirone

      A dire il vero sono 20 anni che riformano continuamente il sistema dell’istruzione, spesso andando in verso contrario alla riforma precedente. Noi che nella scuola ci lavoriamo vorremmo invece un po’ di certezze e di tranquillità per potere lavorare efficacemente.

  5. Elsa

    Basta fare classi “di base” senza compiti e senza impicci per genitori e studenti. Invece classi più avanzate per i più bravi che vogliono imparare di più.

    • Scorretti Riccardo

      Personalmente non nutro una grande fiducia in un sistema del genere (ma è la mia opinione personale). Per un dato indirizzo scolastico, o il programma è adeguato, e allora bisogna che sia studiato e imparato correttamente, oppure va cambiato. Anche in una classe “di base” i compiti a casa sono indispensabili, proprio perché è il momento in cui si fa la differenza fra ciò che si crede di aver capito, e ciò che si è realmente assimilato. Al limite, ben vengano delle sezioni più avanzate, nelle quali si spinga a dare il massimo a studenti oggettivamente più capaci della maggioranza, ma in ogni caso con una quantità (e qualità) di compiti a casa adeguata.

  6. Giovanni Rossi

    il tema dei compiti a casa andrebbe anzitutto inquadrato nelle seguenti questioni : che fare ?, per fare cosa ? e come farlo; ovviamente le situazioni devono tener conto della fascia studentesca ; un conto è la scuola elementare, un conto è la media inferiore un conto è la media superiore. Nei giovani ” apprendisti” delle elementari ed in quelli delle scuole medie, l’insufficiente addestramento delle regole che sono alla base dello scrivere e di far conto, porta poi ai disastri e/o alle gravi difficoltà evidenziate nelle prove invalsi degli ultimi anni; anche nella scuola media superiore l’abitudine al lavoro è uno strumento prezioso degli apprendimenti, perchè con la riduzione degli orari di lezione, e l’alternanza scuola-lavoro, il tempo scuola si è forzatamente ridotto; qui un ruolo fondamentale lo giocano le motivazioni allo studio e gli interessi culturali degli studenti, che dipendono sia dalle condizioni di partenza delle famiglie, sia dalla giusta scelta di orientamento degli studi intrapresi. Resta il fatto che un ministro della pubblica istruzione non può e non deve banalizzare la questione con una circolare, rivolta ai docenti, con tono quasi paternalistico per ricordare a loro buon senso nella pratica dell’addestramento e nella formazione degli studenti, non perchè questi ultimi non siano esenti da critiche, ma perchè sono proprio i docenti a conoscere bene i loro “polli” e a poter modulare in modo proficuo il lavoro da far svolgere a casa.

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