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Quella concorrenza “sleale” sull’elettricità

L’Antitrust ha multato Enel e Acea per abuso di posizione dominante. Il caso ripropone la necessità di rendere più efficace la regolazione, anche in vista dell’introduzione dei contatori di seconda generazione e dei dati che se ne potranno ricavare.

La distribuzione e la vendita di energia elettrica

Vent’anni dopo l’avvio della liberalizzazione elettrica, l’integrazione verticale continua a offrire agli operatori storici (incumbent) vantaggi che la regolazione non riesce a contenere.
Lo dimostrano i tre provvedimenti Antitrust appena notificati a Enel, Acea e A2a: le prime due condannate per abuso di posizione dominante (con sanzioni complessive per 110 milioni di euro), la terza assolta per insufficienza di prove. In pratica, Enel e Acea avrebbero utilizzato liste di clienti a cui solo loro potevano accedere per rivolgere offerte commerciali specifiche, con modalità non replicabili dai concorrenti. Sia la selezione dei possibili clienti, sia la natura delle offerte sarebbero state finalizzate a “amplificare artificialmente il vantaggio di cui già intrinsecamente [gli operatori verticalmente integrati] god[ono] per motivi storici e legati alle caratteristiche della domanda”. Tali condotte si sarebbero intensificate quando a livello politico si è iniziato a discutere della piena liberalizzazione del settore.

Per capire la natura degli abusi, bisogna anzitutto ricordare come è disegnato il mercato della vendita di energia elettrica. Ciascun consumatore è allacciato a una rete di distribuzione, attraverso la quale l’energia viene fisicamente distribuita. L’attività di distribuzione viene svolta in regime di monopolio (regolato) e sulla base di una concessione rilasciata dal ministero dello Sviluppo economico. La vendita è invece libera: dal 1° luglio 2007 tutti i clienti, inclusi le famiglie e le piccole e medie imprese (Pmi), possono scegliere il proprio fornitore. I consumatori che non hanno sottoscritto un contratto di fornitura vengono serviti, in base alla legge, da una società collegata al distributore, a condizioni stabilite dall’Autorità per l’energia (Arera). La scelta di mantenere, all’interno dei medesimi gruppi societari, le attività di distribuzione, maggior tutela e vendita ha prodotto un mercato estremamente concentrato, dove la posizione dominante a monte (distribuzione) si trasmette automaticamente a valle nel servizio regolato (tutela) e assicura un enorme vantaggio anche sul libero mercato (tabella 1). In particolare, il principale operatore della distribuzione serve l’86 per cento delle utenze e dal contatto diretto coi consumatori finali deriva un considerevole potere di mercato.

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Tabella 1 – Primi cinque gruppi societari nei segmenti della commercializzazione e vendita di energia elettrica.

Fonte: Elaborazione su dati Arera.

Sia l’operatore di rete, sia l’esercente la maggior tutela conoscono informazioni assai dettagliate sui consumatori. Proprio per questo, la disciplina europea e nazionale prevede la separazione (almeno legale) non solo tra le attività di distribuzione e vendita, ma anche tra i marchi con cui esse vengono svolte (brand unbundling). Purtroppo, l’Italia ha pienamente introdotto quest’ultimo obbligo solo nel 2015, alimentando (o comunque tollerando) la confusione nei consumatori. Nel nostro paese, inoltre, la regolazione di settore impone lo stesso tipo di separazione tra il servizio di tutela e le attività di vendita sul libero mercato.

Gli abusi di Enel e Acea

Gli abusi di Enel e Acea si innestano proprio su questo duplice vantaggio: l’accesso privilegiato all’informazione e la percezione, da parte del consumatore, di una sostanziale continuità tra le forniture in maggior tutela e quelle offerte dalle società di vendita collegate. Secondo l’Antitrust, sia Enel, sia Acea avrebbero trasferito i contatti dei propri clienti in maggior tutela alle controllate Enel Energia e Acea Energia, a condizioni non accessibili ai concorrenti (l’escamotage consisteva nella richiesta di una doppia liberatoria per la privacy, una legata alla condivisione dei dati personali intra-gruppo, l’altra verso terze parti). In più, Acea avrebbe anche condiviso internamente informazioni relative alla affidabilità creditizia dei clienti in maggior tutela e altri dati sensibili. A2a non è stata multata perché, pur avendo costruito un analogo database dei propri clienti tutelati, non lo ha materialmente utilizzato a fini commerciali.

Come spiega il Garante per la concorrenza in uno dei provvedimenti, l’abuso deriva dai “vantaggi concorrenziali conseguenti allo svolgimento, in regime di monopolio, del servizio pubblico di fornitura in maggior tutela”. La condotta è risultata particolarmente grave in quanto realizzata proprio alla vigilia della piena liberalizzazione, e nonostante il fatto che “l’operatore dominante è stato il principale beneficiario” del prolungato mantenimento della maggior tutela. Enel e Acea certamente impugneranno i rispettivi provvedimenti, e vedremo se l’argomentazione del Garante reggerà allo scrutinio della giustizia amministrativa. Al di là degli esiti della valutazione formale, l’Antitrust risulta comunque assai persuasivo, nel momento in cui rileva “comportamenti (…) che fanno leva su prerogative non acquisite con strumenti propri di una legittima concorrenza sui meriti, ma che derivano dall’aver storicamente svolto in esclusiva un servizio pubblico (quale quello della fornitura di energia elettrica in maggior tutela)”.

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Sono almeno due le lezioni per il futuro. In primo luogo, viene da chiedersi se e come la regolazione dell’autorità di settore possa essere resa più efficace. Dal quadro, di fatto, emerge che è intervenuta ora tardivamente (come per il brand unbundling), ora in modo non abbastanza incisivo. Secondariamente, nei prossimi anni verranno posati nelle case i contatori di seconda generazione, in grado di raccogliere dati molto più granulari rispetto agli attuali. Se la mera disponibilità di dati di contatto e misura può minare la competizione, possiamo solo immaginare quale leva possa derivare dai potenziali favoritismi nell’accesso a dati e servizi post-contatore. In vista della scadenza delle concessioni nel 2030 (o prima), bisogna allora chiedersi se non sia il caso di spingere la separazione più in là. Per esempio, si può e deve ragionare fin d’ora sulla fattibilità di un unbundling più aggressivo (proprietario) anche per i servizi di distribuzione e misura, come già abbiamo fatto, con ottimi risultati, per la rete di trasmissione nazionale.

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  1. Andrea

    Bisognerebbe vedere se gli italiani vogliono davvero false liberalizzazioni o se per certi servizi essenziali preferiscono certezze nazionali . Forse le liberalizzazioni han già fatto il loro corso.

  2. Stefano Bergamin

    Nell’articolo si dice “viene da chiedersi se e come la regolazione dell’autorità di settore possa essere resa più efficace”. Non ci vuole poi molto a capire che se si permette all’operatore di rete di cambiare nome, trasferendo il vecchio marchio, noto a milioni di utenti, ad una società di vendita, non si fa certo l’interesse dei cittadini. Eppure la vecchia Enel è diventata “e-distribuzione” ed il nome Enel adesso identifica una società di vendita. Qualcuno potrà obiettare che la nuova società si chiama Enel Energia. Peccato che quando ti chiamano al telefono si dimentichino sempre di dire la seconda parola… con buona pace dell’antitrust

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