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Referendum: se il quorum non batte più*

È colpa del quorum se negli ultimi anni molti referendum sono falliti? Al di là dell’astensionismo strategico, sono i quesiti referendari che non hanno ottenuto il consenso dei cittadini. E la soglia protegge la maggioranza dal volere di una minoranza.

Perché esiste il quorum?

Si riapre il dibattito sul quorum, quella soglia del 50 per cento+1 dei votanti richiesta nelle consultazioni referendarie popolari affinché il loro risultato sia valido. Il Movimento 5 stelle vorrebbe infatti abolirlo. Ma il quorum distorce davvero la volontà popolare?

Il quorum per i referendum abrogativi fu introdotto dai padri costituenti nell’articolo 75 della Costituzione. La soglia protegge la maggioranza della popolazione dal volere di una minoranza, limitatamente a materie specifiche. Visto che il numero di firme richiesto per proporre il referendum è relativamente basso e il voto riguarda singoli articoli di legge, il quorum costringe i promotori a coinvolgere la maggior parte della popolazione nel dibattito. I referendum possono infatti riguardare questioni specifiche, spesso tecniche, non di interesse generale e, senza quorum, gruppi di interesse potrebbero usarlo per ristabilire leggi a loro più favorevoli.

Un effetto sovrastimato

In Italia le campagne per l’astensione sono diventate un’abitudine e negli ultimi venti anni solo un referendum ha raggiunto il quorum. La sua esistenza permette al fronte contrario di avere un vantaggio con l’uso dell’astensionismo strategico, sfruttando l’inevitabile percentuale di non votanti strutturali (come, i disaffezionati o gli impossibilitati) per respingere il referendum. Ciò però non vuol dire che – senza il quorum – il quesito sarebbe passato.
Il quorum di per sé non influenza le preferenze degli elettori. Prima del voto i cittadini partecipano al dibattito pubblico e alla sua conclusione il gruppo degli aventi diritto si può dividere in tre categorie: i favorevoli, i contrari e i disinteressati.

L’ultimo gruppo comprende tutte quelle persone che non hanno intenzione di partecipare al voto: include sia coloro che sono completamente disinteressati e che non hanno seguito il dibattito, sia coloro che l’hanno seguito, ma che comunque pensano di non avere competenze sufficienti per decidere (o che sono impossibilitate a votare).
Chiamiamo A la percentuale di favorevoli, calcolata sul totale degli aventi diritto, e chiamiamo B la percentuale delle persone disinteressate. Abbiamo allora tre casi.

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Caso 1. Trionfo del referendum

La maggioranza degli italiani è favorevole al quesito referendario e la campagna referendaria riesce ad assicurarsi sia il quorum sia la maggioranza assoluta dei consensi (A > 50 per cento).

Caso 2. L’effetto quorum

Nel caso i favorevoli non siano la maggioranza degli aventi diritto (A < 50 per cento), la campagna referendaria può ancora vincere nel caso riesca a ottenere la maggioranza relativa, cioè A > (1 – B)/2. Tradotto, significa che i favorevoli devono essere più della metà delle persone che hanno preso una posizione nel merito del referendum. In questo caso però scatta l’astensionismo strategico. Se i contrari evitassero in massa di andare a votare, l’affluenza risulterebbe proprio uguale ad A, che però è inferiore al 50 per cento.

L’effetto quorum permette al fronte del No di vincere nonostante abbiano ottenuto la minoranza dei consensi, per una data percentuale di disinteressati.

Caso 3. Disfatta del referendum

Quando A < (1 – B)/2, la campagna referendaria non è riuscita a convincere più della metà delle persone che hanno preso parte al dibattito. In questo caso, quorum o non quorum, il risultato non cambia.

Figura 1 – Possibili scenari referendari. L’effetto quorum aumenta con la percentuale di disinteressati.

Ecco come leggere il grafico: per un valore di B (la percentuale di disinteressati) sull’asse orizzontale, le aree colorate mostrano cosa accade con diverse percentuali di consensi (il valore di A). Il caso 1 corrisponde all’area blu, mentre il caso 2 a quella bianca. L’area rossa corrisponde invece al caso 3. In teoria ci sarebbe un’altra possibilità: per percentuali di disinteresse superiori al 50 per cento (l’area viola), il referendum non può passare.

Il quorum è davvero nemico della democrazia partecipativa?

Dal grafico appare chiaro che accusare il quorum di impedire il successo dei referendum popolari è decisamente eccessivo. Infatti, per livelli di disinteresse intorno al 20 per cento, cioè il livello di astensionismo registrato negli ultimi anni alle politiche, l’effetto quorum scatta solo e soltanto se i favorevoli stanno tra il 40 e il 50 per cento (sempre calcolati in percentuale sulla totalità degli aventi diritto). Diamo allora un’occhiata ai risultati degli ultimi referendum:

  • Referendum 18 aprile 1999: favorevoli 45,30 per cento,
  • Referendum 21 maggio 2000: favorevoli 21 per cento (media),
  • Referendum 15 giugno 2003: favorevoli 21,9 per cento,
  • Referendum 12-13 giugno 2005: favorevoli 21 per cento (media),
  • Referendum 21-22 giugno 2009: favorevoli 19 per cento (media),
  • Referendum 12-13 giugno 2011: favorevoli 51,4 per cento (media),
  • Referendum 17 aprile 2016: favorevoli 27 per cento.
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Questi numeri sono le percentuali di favorevoli espresse sul totale degli aventi diritto. Solo in un caso, il referendum del 18 aprile 1999, il quorum può essere ritenuto responsabile della sconfitta del quesito.

Nel dopoguerra e fino alla fine della prima Repubblica il disinteresse verso le urne era basso e ciò “costringeva” entrambi i fronti ad andare a votare. Dopo gli anni Novanta l’aumento della disaffezione verso la politica ha spinto all’uso dell’astensionismo strategico, ma ciò non significa che il quorum abbia impedito l’espressione della volontà popolare. In molti casi, quando il tasso di consenso sul quesito non è sufficientemente alto (inferiore al 40 per cento degli aventi diritto con un astensionismo strutturale del 20 per cento), obbligare ad andare a votare chi è contrario ha un solo risultato: più traffico e inquinamento.

*I punti di vista espressi sono quelli dell’autore e non riflettono necessariamente quelli delle istituzioni di appartenenza.

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Trivelle di buon senso

  1. Savino

    L’eccezionalità rispetto alla potestà legislativa del Parlamento deve essere la caratteristica principale dei referendum. Altrimenti, è come se si svolgessero le olimpiadi o i mondiali di calcio tutti gli anni. L’illusione furbastra che ci potesse essere una democrazia diretta ha fatto in modo che, ogni volta in cui la si vuole buttare in caciara, si minaccia un referendum. Questo vizio non è solo italico, come Brexit ci insegna. Il referendum, inoltre, non è un quesito pienamente politico, ma di merito, richiedendo un’informazione qualificata da parte del cittadino, dove è legittimo anche non partecipare e non prendere posizioni. Infine va ricordato che in materia di fisco e bilancio un referendum non è celebrabile.

  2. Michele C.

    Egregio Dottore,

    Vorrei chiederLe perché secondo lei il referendum del 2016 non è compreso, insieme a quello del 1999, tra quelli ““rovinati”” dal quorum: si potrebbe sostenere il contrario, infatti, rilevando che l’art. 75 Cost. disegna una volontà popolare pari al 25,2% come sufficiente a determinare l’abrogazione delle leggi (25,2 – circa, per capirci – e cioè la metà più uno del quorum minimo di validità, che è 50%); in effetti, il referendum del 2016 aveva superato quella soglia. Grazie

    • Claudio Baccianti

      Con il 27 % di favorevoli nel 2016, la domanda è: come la pensava il restante 73% ? Questo 73% si divide tra contrari e non votanti “per partito preso”. Guardi il grafico. Con una percentuale di non votanti pari al 30%, i contrari sono il 43%. Quindi, se tutti i contrari fossero andati a votare, avrebbero comunque perso i favorevoli ottenendo solo il 39% dei voti (cioè il 27% ricacolato sui votanti). Per questo quel referendum non è stato “rovinato dal quorum”.

  3. Isa

    Se la logica dell’ultima frase dovesse essere portata all’estremo, cioè se andassero a votare solo i favorevoli, verrebbe meno il principio della segretezza del voto. Non mi sembra cosa da poco.

  4. Henri Schmit

    Sono d’accordo con il ragionamento e con il giudizio dell’autore. No n bisogna banalizzare il referendum, e distruggere forse la democrazia. Il grafico è bello, ma l’argomento forse è intuivamente più comprensibile e chiaro. Ha ragione ‘Savino’ (nome o cognome o pseudonimo?) : c’è un elemento epistemico in tutte le votazioni, in particolare se tutti possono votare. La Brexit illustra ancora un’altro elemento: come posso fingere che l’alternativa fra conservare lo status quo e sostituirla con qualcosa di indeterminato possa essere una scelta aut-aut, a solo due opzioni, l’unica risolvibile con la regola della maggioranza semplice. In quei casi (da definire, perciò l’aspetto epistemico) non basta il quorum (raggiunto in UK), ma servirebbe la magggioranza assoluta degli aventi diritto. Nonostante queste precauzioni penso che si debba promuovere un’estensione del referendum d’iniziativa popolare in tutte le materie, anche costituzionali, ma a condizioni di firme e di voto sempre più esigenti. Le proteste dei gilets gialli dovrebbero svolgersi in assemblee primarie e attraverso comitati per un RIP, le proposte dovrebbero sempre essere dibattute anche nel Parlamento, e un organo con compiti solo di controllo della coerenza dovrebbe razionalizzare l’intero processo, mediare fra comitato e Parlamento, senza poter fermare l’iter.

  5. La soluzione è che la regola deve consentire solo due risposte valide SÌ o NO o per più di due proposte le preferenze. L’astensione deve valere come tale senza influire. In questo modo tutti i proponenti sono costretti a favorire la partecipazione e l’informazione per prevalere. Resta il problema dell’oggetto del referendum che deve essere conosciuto e capito per esprimere una volontà che non sia un atto di fede politica o peggio di appoggio ad un leader.
    In ultimo Il quorum strutturale, che se basso può essere perfino comodo per i proponenti, consente strategie di disinformazione e di astensione.
    La seconda via del quorum di approvazione, un piccolo passo per la democrazia, disinnesca l’astensionismo che di fatto è un NO.
    La proposta in discussione in questi giorni comprende un quorum di approvazione di un quarto degli elettori che è pari ad un quorum strutturale variabile tra il 25% ed il 50% e l’astensione diviene vera o al massimo un silenzio assenso che ha il seguente significato: la maggioranza degli elettori devono essere d’accordo magari al compromesso come abituale in democrazia.
    Il tema è molto più complesso quando tocca l’oggetto del referendum, cioè cosa i cittadini demandano ai rappresentanti per loro convenienza e non il contrario,
    Ma qui tocchiamo il tema del referendum obbligatorio.

  6. Giuseppe GB Cattaneo

    Il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto è un errore matematico, privo di legittimità democratica. Il quorum corretto è il 25%+1 degli aventi diritto al voto. Quello che penso l’ho scritto qui
    https://www.mpopus.it/public/jus/referendum-homosuffragans.html

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