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Strumenti illiquidi, spina nel fianco delle banche

Se negli ultimi tre anni gli interventi sui crediti deteriorati si sono moltiplicati, la supervisione ha dato ben poca attenzione agli strumenti finanziari illiquidi. Anch’essi però rappresentano un potenziale rischio sistemico. E qualcosa sta cambiando.

La giusta attenzione ai crediti deteriorati

Col 2019, la pressione della Banca centrale europea sui crediti deteriorati (Non Performing Loan, Npl) è tornata a salire e i preannunciati interventi sugli stock sono diventati realtà. Date le quantità tutt’ora presenti – 225 miliardi lordi (103 miliardi netti) al 30 giugno 2018 secondo Banca d’Italia – gli impatti per le banche italiane sono quantificabili in 15 miliardi di ulteriori accantonamenti nei prossimi anni. Inevitabili sia i contraccolpi sulle quotazioni borsistiche sia le polemiche sulle modalità di comunicazione al mercato.

Come già discusso, la Bce fa bene a spingere con decisione le banche europee verso lo smaltimento degli Npl, purché in maniera articolata, cioè tenendo conto che target uguali per tutte rischiano di ripercuotersi in maniera diversa nei diversi stati, per la semplice ragione che la situazione oggettiva delle banche (quanto a stock di Npl, per esempio) è differenziata da paese a paese. In ogni caso, sarebbe auspicabile che la medesima attenzione fosse dedicata anche ad altri potenziali rischi sistemici, quali per esempio gli strumenti finanziari illiquidi e le relative valorizzazioni di bilancio, che sembrano particolarmente concentrati nelle banche francesi e tedesche.

Quanti sono gli strumenti finanziari illiquidi e come vengono valutati

Per capire che cos’è uno strumento finanziario illiquido occorre far riferimento alla normativa contabile Ifrs 13 – Fair Value Measurement che tratta il concetto di fair value e definisce un quadro da utilizzare nella valorizzazione gli strumenti finanziari (cosiddetta gerarchia del fair value).

Figura 1 – Ifrs 13 in pillole: definizione e gerarchia del fair value

Fonte: elaborazione nostra da Ifrs 13

In linea teorica, la struttura è semplice. Nella sua applicazione nascono però alcune complicazioni, data la moltitudine ed eterogeneità di strumenti finanziari esistenti. Nella maggior parte dei casi sono disponibili quotazioni nei mercati attivi o, al limite, evidenze di strumenti similari osservabili. Tuttavia, quando la complessità sale (si pensi a titoli altamente strutturati, derivati Otc, asset backed securities o altri) le informazioni di mercato da utilizzare in chiave valutativa diventano scarse o addirittura assenti. Pertanto, si ricade in valutazioni progressivamente meno connesse a fattori riscontrabili sul mercato e sempre più frutto di una componente discrezionale. Come ha notato Banca d’Italia in un articolato studio del 2017 e ripreso dalla stampa: “”In primo luogo, gli standard contabili sono principle-based e danno quindi adito ad interpretazioni, concedendo inoltre alle banche un certo livello di discrezionalità. […]. In secondo luogo, la misurazione al fair value degli strumenti L2 e L3 è caratterizzata da un elevato grado di complessità, che, combinato con la discrezionalità insita nell’approccio principle-based, amplifica l’incertezza che circonda le stime. In terzo luogo, le banche potrebbero essere incentivate ad usare la propria discrezionalità al fine di distorcere il processo di valutazione e l’allocazione degli strumenti finanziari tra i vari livelli”.

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I numeri in gioco sono rilevanti: secondo lo studio della Banca d’Italia gli strumenti finanziari valutati tramite livello 2 e 3 superavano, comprendendo l’attivo e il passivo, i 6.800 miliardi al 31 dicembre 2016 nelle 129 banche allora supervisionate dal Single Supervisory Mechanism. A complicare il tutto, vi è un alto grado di concentrazione: le banche francesi e tedesche detengono, infatti, quasi il 75 per cento del totale degli strumenti L2 e L3, contro circa il 50 per cento delle attività bancarie alla medesima data secondo l’Eba. E anche dal lato delle passività, le banche francesi e tedesche fanno la parte del leone.

Figura 2 – Ammontare totale e distribuzione strumenti finanziari L2 e L3 (Area Ssm, 12/2016)

Fonte: Banca d’Italia, Risks and challenges of complex financial instruments: an analysis of SSM banks”, chart 3

Siamo fiduciosi per il futuro?

La supervisione sugli strumenti finanziari illiquidi è stata per tanto tempo trascurata e si ha la sensazione di un forte squilibrio rispetto alla quantità (e all’intensità) degli interventi di regolamentazione che si sono susseguiti negli ultimi tre anni sugli Npl. Del resto, le due tipologie di investimenti finanziari hanno molteplici punti di contatto: forte eterogeneità e scarsa standardizzazione, opacità nelle modalità di calcolo dei valori di bilancio e assenza di un mercato secondario efficiente (benché sul fronte degli Npl vi siano alcune interessanti novità).

Qualcosa però parrebbe esser cambiato. Per la prima volta nel perimetro dello stress test Eba 2018 sono stati ricompresi anche gli strumenti di livello 2 e 3 (cioè, liquidity and model uncertainty shock) benché non si sia entrati nel merito valutativo e il punto di partenza utilizzato sia stato il fair value stimato dalle banche. Inoltre, a ottobre 2018 fra le priorità di vigilanza del Ssm per il 2019 sono stati inclusi – in modo abbastanza sfumato, a dire il vero – interventi sul rischio di negoziazione e di mercato.

Figura 3 – Valorizzazione degli strumenti finanziari secondo la gerarchia ex Ifrs 13 (Area Ssm, 12/2016)

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Fonte: Banca d’Italia, Risks and challenges of complex financial instruments: an analysis of SSM banks”, chart 2

Nei prossimi mesi vedremo i risultati, anche perché un calo dei valori produrrebbe uno shock non indifferente: Banca d’Italia ha stimato che una riduzione del 5 per cento del valore degli strumenti di livello 2 e 3 avrebbe un impatto nell’ordine dei 350 punti base (dato medio, con altissima dispersione dei valori) sul capitale delle 18 banche europee più esposte. Non rimane che augurarsi una supervisione più incisiva sugli strumenti di livello 2 e 3, al fine di aumentare la trasparenza, dipanando l’opacità che attualmente li avvolge, così come fatto in precedenza sui crediti deteriorati. Come direbbe Agatha Christie: “solo perché un problema non è ancora stato risolto non è detto che sia impossibile da risolvere”.

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Il Punto

  1. Antonio Bottoni

    Pur temendo che la domanda possa essere tecnicamente scorretta, chiedo se pericolosità degli L2 ed L3, a livello di sistema, sia paragonabile a quella di un elevato debito pubblico. Grazie

  2. Henri Schmit

    Molto interessante e – per quanto mi riguarda – anche istruttivo. Manca però un’informazione per farmi capire davvero: non si dovrebbe evidenziare, oltre il total value, anche il rapporto assets/liabilities degli strumenti finanziari illiquidi? Avere liabilities illiquide è cosa diversa da avere asset illiquidi; nel secondo caso il rischio è mio, nel primo è di un terzo; i NPL sono assets illiquidi a valore compromesso, senza nulla di similare nel passivo, a parte le azioni – e le subordnate – illiquide dei piccoli istituti…. Mi preoccuperebbero soprattutto soggetti con assets illiquidi non coperti da liabilities adeguate. A giudicare dalla figura 3, le banche belghe e portoghesi potrebbero essere da questo punto di vista nella situazione peggiore. Ma forse capisco male io.

  3. Secondo voi, in caso di recessione in Europa, avrà più problemi la Francia o l’Italia? Le banche francesi, come avete giustamente sottolineato indirettamente, sembrano quelle a maggior rischio sistemico. Aquisgrana sembra un modo per incastrare la Francia (da parte tedesca) prima dell’arrivo di una nova recessione europea. Al seguente link trovate anche un aggiornamento delle posizioni L2,L3 delle banche per nazione: https://www.linkedin.com/pulse/aquisgrana-recessione-europa-porterebbe-default-5-guido-gennaccari/

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