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Oltre i Cara, ma verso l’integrazione

L’inadeguatezza del modello Cara non significa che sia giusto spostare i rifugiati come pacchi verso destinazioni sconosciute e lontane. Perché comunque possono essere attuate forme di integrazione nella società locale, come a Castelnuovo di Porto.

Un sistema superato dal 2015

I Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo) sono una delle tante anomalie italiane. Istituiti con il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 2 e originariamente destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo per il periodo necessario alla loro identificazione, sono stati formalmente superati con il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, che di fatto ha ricompreso queste strutture fra i centri governativi di prima accoglienza.
Ciò significa che dal 2015, oltre a cancellare l’etichetta che li identifica come Cara (benché continuino a essere chiamati così), è stato stabilito che non sono luoghi idonei alla permanenza protratta dei richiedenti asilo, ma solo a effettuare le operazioni di smistamento verso i centri di seconda accoglienza, ovvero i progetti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), o in via (ufficialmente) transitoria – data l’insufficiente capienza degli Sprar – verso i centri di accoglienza straordinaria (Cas). Quindi all’interno degli ex Cara non sarebbero dovuti rimanere nemmeno i richiedenti asilo, e meno che mai i titolari di protezione (internazionale o umanitaria, secondo la normativa antecedente al cosiddetto “decreto sicurezza”). Questo perché anche la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione nella sua relazione di fine 2017 aveva riconosciuto che in queste strutture “permaneva la disfunzionalità legata alle eccessive dimensioni”.
Negli anni, poi, praticamente su tutti i Cara attivi – Bari Palese, Brindisi Restinco, Foggia Borgo Mezzanone, Isola Capo Rizzuto (Crotone) loc. Sant’Anna, Caltanissetta Pian del Lago, Mineo (Catania), Castelnuovo di Porto (Rimini), Gradisca d’Isonzo (Gorizia) – ci sono state critiche e denunce da parte di tanti ricercatori, dei richiedenti asilo accolti al loro interno e in alcuni casi sono stati anche indagati della magistratura. Matteo Salvini, ministro dell’Interno, ha annunciato la chiusura del grande e discusso ex Cara di Mineo evocando infiltrazioni mafiose, ma ha cominciato le operazioni con il meno noto ex Cara di Castelnuovo di Porto.

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Modalità di sgombero inaccettabili

Anche l’ex Cara di Castelnuovo di Porto è stato criticato per la sua inadeguatezza di luogo sovraffollato, isolato, degradato. Solo due settimane fa, un articolo ne denunciava le condizioni di abbandono, sporcizia e freddo, con materassi a terra, cimici nei letti e privazione dei servizi essenziali, condizioni ancora più deplorevoli se si pensa alla presenza di bambini accolti in quell’edificio da due o più anni. La capienza di 650 posti veniva spesso superata, rendendo evidente lo scacco di un modello di accoglienza che ha continuato a riprodurre un approccio emergenziale. La qualità dell’accoglienza del resto dipende anzitutto dalle risorse a disposizione, e il governo le sta riducendo.
Va invece condiviso lo scandalo suscitato dal repentino svuotamento del centro per le modalità con cui è stato attuato, con trasferimenti improvvisi e non programmati dei titolari di protezione internazionale e dei richiedenti asilo e la fine di ogni forma di accoglienza per i titolari di protezione umanitaria ancora accolti, il tutto senza provvedimenti ufficiali da poter impugnare sotto il profilo legale.
Anche quando l’accoglienza è inadeguata possono essere promosse e attuate forme d’integrazione nel tessuto della società locale: dipendono solo in parte dalla qualità delle strutture e possono invece passare attraverso la buona volontà degli operatori, l’apertura e il coinvolgimento della società civile, lo spirito collaborativo delle istituzioni pubbliche e, non da ultimo, la ricettività del mercato del lavoro. L’inadeguatezza del modello Cara non significa che lì tutto sia da buttare, che sia giusto fare tabula rasa e spostare i rifugiati come pacchi verso destinazioni sconosciute e magari lontane.
È invece ammirevole – e incoraggiante – la capacità di mobilitazione dal basso di tanti cittadini della zona di Castelnuovo di Porto, ma anche di molte altre città, che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere chi è stato sgomberato ed è rimasto privo di ogni forma di assistenza, così come di chi aveva avviato nel territorio percorsi scolastici o lavorativi, che rischiano di essere gravemente compromessi dalle modalità dello sgombero. Ma probabilmente questa è l’ultima preoccupazione delle autorità che l’hanno ordinato.

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  1. Chiara

    Segnalo un refuso: Castelnuovo di Portosi trova in provincia di Roma, non di Rimini.

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