È vero che nel 2018 gli afflussi di capitali stranieri nel settore privato non finanziario hanno compensato i deflussi dai titoli di stato. Ma l’equilibrio deriva dallo spostamento dagli strumenti più rischiosi verso depositi e prestiti a breve termine.
La radiografia dei flussi di capitale
Un recente articolo pubblicato su Il Sole-24Ore offre un’interessante radiografia dei flussi di capitale che il nostro paese ha registrato nei primi undici mesi del 2018. Seguendo lo schema concettuale già proposto in una serie di pubblicazioni della Banca d’Italia, viene descritto in quale modo il saldo negativo dell’Italia nel sistema di pagamenti Target2 (che registra il complesso dei movimenti di capitali in entrata e uscita) è andato ampliandosi nel 2018.
Quello appena passato è stato un anno sicuramente molto vivace in termini di andamento dei tassi di interesse sui titoli di stato. Un andamento che trova sostanziale riscontro osservando i flussi di capitale con l’estero. Se nei primi mesi dell’anno vi era stato un afflusso netto di circa 41,7 miliardi di euro, da maggio a novembre il deflusso dai Bot, Btp e Cct ha raggiunto i 77,2 miliardi. Pertanto, nel complesso, gli stranieri hanno disinvestito circa 36 miliardi di euro dai titoli di stato italiani nel 2018.
Nonostante questo deflusso, gli stranieri hanno però fatto affluire circa lo stesso ammontare (35 miliardi) per impieghi nel settore privato non bancario (il settore dell’economia residuale rispetto alle banche, lo stato e la Banca d’Italia). L’articolo del Sole-24Ore giustifica il fatto sostenendo che “(…) plausibilmente un significativo calo delle quotazioni sui mercati ha reso l’investimento azionario in Italia più appetibile (…)”. Una giustificazione che, tuttavia, ha scarso fondamento, se andiamo a osservare le singole voci in cui hanno investito gli stranieri.
Non acquisti di titoli, ma prestiti
Come si può vedere dal grafico 1, i 36 miliardi affluiti nel settore privato non finanziario non corrispondono a investimenti in titoli di portafoglio (azioni o obbligazioni), ma a nuovi prestiti. Gli stranieri sono stati venditori netti di titoli del settore privato così come lo sono stati del settore pubblico. I capitali in ingresso che hanno permesso di più che compensare i deflussi si riferiscono a nuovi prestiti, che, incrociando i dati con quelli del debito estero, sono prevalentemente con scadenza inferiore a un anno. Potremmo ipotizzare che, stante le restrizioni (non di tasso) nell’offerta di credito che le banche italiane hanno messo in atto da giugno in poi, una parte del settore privato abbia ritenuto più conveniente rifinanziarsi presso istituzioni estere.
Grafico 1 – Flussi cumulati di capitali esteri nel settore privato non bancario italiano nel 2018
Fonte dati: Banca d’Italia – Bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero
Se poi si estende l’analisi anche al settore bancario, si può rilevare la stessa dinamica. Sebbene nell’articolo si sottolinei come “(…) si registrano minime variazioni per quanto riguarda l’esposizione debitoria verso l’estero sul mercato interbancario (…)”, la tipologia di investimento degli stranieri si è modificata nel corso dell’anno, seguendo lo stesso filo conduttore visto per il settore pubblico e per quello privato non finanziario. Nel grafico 2 si vede infatti che il limitato afflusso netto di 1,7 miliardi è il risultato del disinvestimento di 18 miliardi in titoli azionari e obbligazionari e l’aumento dei depositi di 19,7 miliardi.
Grafico 2 – Flussi cumulati di capitali esteri nel settore bancario italiano nel 2018
Fonte dati: Banca d’Italia – Bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero
Nel complesso, se è vero che gli afflussi di capitali nel settore privato non finanziario hanno compensato i deflussi dai titoli di stato e che il settore bancario è rimasto in sostanziale equilibrio, l’analisi per tipologia di investimento rileva che l’equilibrio è il risultato di una diversa esposizione degli stranieri al rischio Italia. Gli strumenti più rischiosi, quali appunto i titoli azionari e obbligazionari, hanno visto complessivamente defluire 61,3 miliardi di euro (35,6 in titoli emessi dallo stato, 7,7 dal settore non finanziario, 18 dalle banche). Capitali che si sono spostati su depositi e prestiti a breve termine, che per loro natura sono tipologie di investimento più facilmente liquidabili con limitato rischio di perdite in conto capitale.
Il deflusso netto di capitali dall’Italia, registrato dal crescente passivo nel sistema Target2, rimane anche nel 2018 imputabile agli investimenti all’estero degli italiani, ma la tipologia di investimenti degli stranieri in Italia è segnale di una aumentata sfiducia nel nostro sistema economico. Interessante sarà valutare se, dal mese di dicembre, con la distensione del rapporto tra governo e Commissione europea e la conseguente riduzione del tasso di rendimento dei titoli di stato, sia in atto una nuova ricomposizione delle decisioni di investimento orientata a una maggiore fiducia nel nostro sistema. Oppure se, dati i rischi di contrazione dell’economia, gli investitori esteri continuino a rimanere sostanzialmente alla finestra.
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Savino
Gli investitori stanno assistendo, dalla tarda primavera del 2016 (5-6 mesi prima del referendum costituzionale) ad una perenne campagna elettorale, in cui, a livello politico, si sta giocando sporco sugli stracci del Paese e sulla pelle delle persone, che vogliono vivere, operare, lavorare. La politica tutta deve smetterla di essere un intralcio per la costruzione delle condizioni essenziali finalizzate al benessere ed alla prosperità. Si studi per comprendere ciò che manca per la crescita, anzichè improvvisarsi guru e stregoni.
Henri Schmit
L’articolo è interessante. Quello del Sole24Ore riproduce un’interessante tabella dei flussi con l’estero, ma l’interpreta in modo fazioso: “gli investitori esteri hanno avviato un rapido sell-off di titoli, che ha accelerato nel mese di agosto (2018) in corrispondenza con le prime tensioni tra Commissione Europea e governo sulla manovra finanziaria per il 2019.” Questa è una rappresentazione falsa dei fatti: lo spread si è allargato a dismisura da maggio quando si ipotizzavano ufficialmente i nomi dei ministri; la fuga dei capitali inziavava allora, aumentando in agosto. La NaDef è di fine settembre. Spread e fuga hanno toccato nuovi massimi fra ott. e nov. durante la discussione con l’UE e dopo il parere ignorato dell’upB. Non c’entra la Commissione, semmai troppo debole, troppo permissiva. Chi insinua il contrario, come l’autore di quel articolo, non va creduto. Non convince nemmeno l’affermazione rassicurante “che i proventi finanziari della vendita di BTP non hanno lasciato il Paese, ma c’è stato uno shift dei capitali dal settore pubblico a quello privato”. Bisognerebbe indagare meglio e riuscire a distinguere flussi esteri da flussi esterovestiti; spiegerebbe alcune voci in apparenza lusinghiere. Un residente vende un’impresa a un gruppo straniero, investe il prodotto (la parte dichiarata) in un’assicurazione detassata che investe in prodotti finanziari esteri. Come appare nei conti pubblici? Senza investimenti privati, domestici e FDI, continuerà il declino.