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Se Xi Jinping vuole più capitali stranieri*

In Cina il Congresso nazionale del popolo ha approvato la nuova Foreign Investment Law. Introduce misure per promuovere e proteggere gli investimenti esteri. Ma è ancora troppo vaga per poter dire che sarà risolutiva e che la politica di Trump ha pagato.

Un segnale agli Usa (e al mondo)

A un anno dal Presidential Memorandum Targeting China’s Economic Aggression, Pechino ha voluto inviare un segnale a Donald Trump. Il 15 marzo, il Congresso nazionale del popolo ha approvato a stragrande maggioranza (2929 su 2948) la nuova Foreign Investment Law (Fil). Consta di 42 articoli ed entrerà in vigore a gennaio 2020, una volta promulgati i decreti attuativi del Consiglio di Stato.

Che sia una risposta alle pressioni americane, o frutto dell’intenzione liberalizzatrice di Xi Jinping, la Fil è comunque molto importante. Sostituirà i tre testi che per 40 anni hanno regolato gli investimenti esteri – Chinese-Foreign Equity Joint Ventures Law, Wholly Foreign-Owned Enterprises Lawe Chinese-Foreign Contractual Joint Ventures Law– e accompagnato l’impetuoso sviluppo delle attività delle multinazionali in Cina.

Le cifre non sono troppo precise, soprattutto perché una parte degli investimenti apparentemente esteri corrispondono al round-tripping, la pratica degli investitori cinesi di trasferire fondi a Hong Kong e in altri centri finanziari e da lì rinvestirli in Cina, dove gli stranieri godono di migliore protezione dei locali. Ma l’ordine di grandezza è sufficiente: secondo il ministero del Commercio, le risorse utilizzate nel periodo 1979-2016 sono ammontate a 1.766 miliardi di dollari, mentre nelle classifiche dell’Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo), la Cina appare ormai da molti anni al primo posto come paese ricettore.

Le multinazionali hanno prodotto benefici, sia in termini di aggregati economici e industriali, sia nell’aumentare l’efficienza delle imprese locali, rendendole anche più innovative e meglio integrate nelle catene globali del valore. Alcuni dati non sono stati aggiornati negli ultimi anni, ma per esempio si sa che il 16 per cento della manodopera urbana lavorava per imprese estere nel 2011 (e probabilmente la percentuale è diminuita). Per quanto attiene al commercio con l’estero, invece, dopo essere arrivata a un picco poco sotto al 60 per cento, la percentuale che corrisponde alle multinazionali è scesa nel 2017 al 43 per cento (per l’export) e al 47 per cento (per l’import). In ogni caso, è chiaro che senza capitali esteri la Cina non sarebbe la seconda più grande economia al mondo.

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Figura 1– Partecipazione delle imprese a capitale straniero nel commercio estero della Cina

Fonte: Invest in China

Il punto di vista delle imprese estere, in compenso, non è unanime. La convenienza di produrre in Cina, la dimensione e dinamismo del mercato domestico, la crescente qualità della ricerca cinese sono tutti motivi per cui per un’impresa globale è quasi impossibile rinunciare a una presenza diretta. Il prezzo da pagare è sottostare a condizioni non negoziabili, che vanno dalla chiusura di certi mercati al capitale estero, tra cui le commesse pubbliche, al difettoso rispetto della proprietà intellettuale, all’obbligo di trasferire tecnologia a partner locali o alla presenza in azienda di funzionari del Partito comunista. Tutti contenziosi che Washington (ma anche Bruxelles) ha sollevato e la cui soluzione è considerata come indispensabile per evitare l’escalation nel conflitto commerciale.

Gli interrogativi aperti

Che risposte fornisce la Foreign Investment Law? La filosofia complessiva va nella direzione di promuovere e proteggere gli investimenti esteri (introducendo in particolare il principio della “lista negativa” dei settori protetti, al posto delle autorizzazioni caso per caso), consolidare e semplificare la legislazione (anche per evitare incoerenze tra Pechino e le provincie) e garantire un piano di gioco “piatto” (laddove ora le imprese statali riescono a mantenerlo inclinato a proprio favore). Altra novità è che la Fil unifica il diritto societario per le aziende a capitale straniero con quello per le aziende a capitale cinese, mentre finora era stato separato, un’anomalia che esiste in pochissimi paesi.

Restano però molti punti interrogativi. Innanzitutto, ci vorrà del tempo prima di conoscere nei dettagli la legislazione secondaria, che incide veramente sulle operazioni di business. Resta incerto il significato delle disposizioni sulle potenziali implicazioni degli investimenti esteri sulla sicurezza nazionale, anche perché l’articolo 35 stabilisce che le decisioni prese dalle autorità non sono appellabili. In più, per il momento non è per nulla chiaro cosa succederà alle società già esistenti e registrate secondo le leggi del 1979. Molto probabilmente dovranno riscrivere i propri statuti e patti parasociali per tenere conto della struttura societaria diversa (per esempio, le joint venture sino-straniere non avevano un’assemblea dei soci, mentre al contrario le società a capitale cinese hanno una struttura abbastanza simile a quella delle nostre srl o spa).

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Quando si parla di Cina, non ci si deve mai dimenticare che i confini tra politica ed economia sono poco chiari e le informazioni sui processi decisionali scarse. La Fil non fa eccezione, malgrado il processo per la sua redazione sia iniziato in un passato neanche tanto prossimo – nel 2015, quando alla presidenza Usa c’era Barack Obama, la Cina cresceva di più e la prima bozza aveva 171 articoli. Nel 2018 la leadership ha deciso di rispondere rapidamente ai rimproveri, ma la Fil resta troppo vaga per poter dire che sarà risolutiva. E di conseguenza è anche presto per concludere che la strategia di Trump di mettere le dita negli occhi dei cinesi ha avuto gli effetti desiderati.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non comportano alcuna responsabilità per le istituzioni di appartenenza.

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Crisi bancarie: questa sentenza è una lezione per l’Europa*

  1. bob

    la patetica sceneggiata ( Mattarella escluso) che si è consumata a Roma con la visita di Xi Jinping ha mostrato l’assenza totale di politica diplomatica di questo Paese. Una massa di cortigiani provenienti dal contado con polli e fiaschi di vino in mano ha trasformato quello che doveva essere un importante incontro tra Paesi in una misera platea di ” masanielli” con visione prospettica alla loro punta dei piedi. Lo spiega benissimo Riccardi qui ( https://formiche.net/2019/03/via-della-seta-vaticano-spadaro/ ) . La diplomazia non si inventa ! Anche se credo che l’ Europa unita dovrebbe affrontare questi rapporti diplomatici e non andare in ordine sparso, la notizia che Macron firma un accordo per 30 aerei come al solito ci pone alla berlina . Noi? Fiaschi di vino, polli, mele e una parata di personaggi locali ( scappati di casa) . Le nozze con i fichi secchi non si fanno le figure meschine si.

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