Recessione e rischio-paese pesano sulle banche italiane, che pagano sempre di più per raccogliere denaro. Non a caso, sono le più dipendenti dai finanziamenti della Bce. La valutazione negativa della borsa non è speculazione, ma riflette problemi veri.
Rischio-Italia e raccolta bancaria
Se l’Europa rallenta, l’Italia frena bruscamente. In più, il nostro governo è impegnato in difficili equilibrismi nella gestione del bilancio pubblico, per mantenere le promesse elettorali dei due partiti che formano la maggioranza. Lo scontro con la Commissione UE, sfiorato in autunno, è solo rimandato.
Quali sono le ripercussioni di questa situazione critica sul sistema bancario del nostro paese? Qualche indicazione viene dal rapporto Osservatorio monetario (marzo 2019). Dall’analisi emergono difficoltà dal lato della raccolta, tutto sommato ancora contenute nel 2018, ma destinate a intensificarsi nel corso di quest’anno. Il protrarsi di questi problemi – scarso accesso ai mercati obbligazionari e maggiore costo del funding – non può che ripercuotersi negativamente sull’offerta di prestiti alla clientela. Ne è riprova il fatto che le banche italiane sono quelle più dipendenti dai finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea: questo rappresenta un evidente fattore di debolezza. La valutazione del mercato borsistico, negativa per tutte le banche europee ma ancor più per quelle italiane, non fa che riflettere i fattori di debolezza del nostro paese, oltre alle specificità di alcune singole banche.
L’aumento del premio per il rischio-Italia, misurato dallo spread Btp-Bund, è destinato a fare aumentare il costo della raccolta, creando un fattore di svantaggio competitivo per le banche italiane nel panorama internazionale. A partire dal secondo semestre del 2018, in concomitanza con le tensioni legate alla approvazione della manovra finanziaria per il 2019, sono emerse difficoltà dal lato del funding, con un forte rallentamento delle emissioni sul mercato obbligazionario. Nel corso del 2018, l’aumento del rischio sovrano ha avuto un limitato impatto sul suo costo, per effetto della ricomposizione della raccolta dalle obbligazioni (più costose) ai depositi (con rendimenti prossimi a zero): questi ultimi sono aumentati di 30,5 miliardi, compensando la caduta delle obbligazioni. Di conseguenza, il costo complessivo della raccolta si è addirittura ridotto di 11 centesimi rispetto all’anno precedente (da 0,81 a 0,70 per cento). Tuttavia, ci sono segnali che le cose stanno peggiorando. Per raccogliere denaro, le banche italiane ricorrono sempre di più ai depositi con vincolo di durata, che sono più costosi dei conti correnti: il tasso d’interesse su queste forme di deposito a tempo è aumentato di 28 centesimi nell’ultimo trimestre del 2018. Le famiglie ne hanno approfittato, depositando in questa forma 2 miliardi di euro solo nel gennaio del 2019.
Forte ricorso alla stampella della Bce
Un fattore di debolezza delle banche italiane è la loro forte dipendenza dal finanziamento presso la banca centrale. Il sistema bancario italiano, insieme a quello spagnolo, presenta la più alta incidenza del rifinanziamento Bce sul totale dell’attivo, pari rispettivamente a 6,5 per cento e 6,3 per cento a dicembre 2018 (si veda il rapporto Ltro/Ta nella figura 1).
Figura 1 – Ltro e deposit facility per paese, in miliardi a dicembre 2018 e su % su totale attivo
Nota: le Ltro includono le operazioni mirate Tltro oltre a quelle convenzionali a più lungo termine.
Fonte: Bce ed elaborazione dell’Osservatorio monetario
All’opposto, per Germania e Francia il rifinanziamento Bce è relativamente contenuto, pari a poco più dell’1 per cento del totale attivo di sistema. Dal confronto europeo, inoltre, emerge che l’eccesso di liquidità (fondi depositati sulla deposit facility presso la Bce) è distribuito in modo non uniforme all’interno dell’area euro: alcuni paesi come Francia e Germania hanno una disponibilità di liquidità assai superiore al rifinanziamento Bce; viceversa, i sistemi bancari di Italia e Spagna hanno depositi presso la Banca centrale molto inferiori a quanto prendono a prestito. La dipendenza dal rifinanziamento Bce ha riacceso l’attenzione sul rinnovo delle T-Ltro II (Targeted-Long Term Refinancing Operations): la scadenza delle operazioni, prevista in quattro tranche, vede una concentrazione a giugno 2020 e marzo 2021 (si veda la tabella). Le preoccupazioni generate dalla scadenza sono state ridimensionate dall’annuncio (7 marzo) delle nuove T-Ltro III, seppure in termini meno favorevoli delle precedenti: il tasso d’interesse non potrà più essere negativo e la durata sarò di due anziché di quattro anni.
La borsa rispecchia i problemi reali
Dal lato dell’attivo, la svalutazione dell’ampio portafoglio di titoli di stato, in concomitanza con l’ampliarsi dello spread tra titoli italiani e tedeschi, si è riflessa nei conti economici e ha avuto un impatto negativo sul patrimonio. La valutazione di mercato delle banche italiane ne ha risentito, registrando una pesante correzione nel secondo semestre del 2018, in parte corretta nei primi mesi del 2019. Il mercato azionario continua a penalizzare tutto il settore bancario europeo, ma le banche italiane e le grandi banche tedesche ne risentono in modo particolare. La domanda è: la valutazione negativa riflette davvero i fondamentali economici delle banche europee? La risposta è affermativa. Lo studio contenuto nell’Osservatorio monetario analizza la valutazione di mercato di un campione di 90 banche di 15 paesi della core-Europe e verifica che il giudizio negativo effettivamente riflette la loro redditività, rischiosità e patrimonializzazione. L’analisi mostra come la valutazione negativa espressa dal mercato azionario per il settore bancario europeo, sintetizzata dal crescente divario tra l’indice generale Euro-Stoxx e l’indice settoriale Euro-Stoxx-Banche (si veda la figura 2 ), rifletta ancora di più che in passato i problemi di contesto economico e istituzionale (fattori country-specific) che con diversa intensità caratterizzano i paesi di appartenenza delle banche. Al tempo stesso, la valutazione del mercato è influenzata dalle diverse scelte gestionali e operative delle singole banche del campione (fattori bank-specific).
Tabella 1 – Tltro-II: importi assegnati a banche italiane e dell’area euro (mld) e scadenze
Fonte: Bce e Banca d’Italia
Figura 2 – indice Eurostoxx (linea intera) e Indice Eurostoxx banche (linea tratteggiata) prezzi dal 2006 a gennaio 2019
Nota: Le serie dei prezzi è aggiustata per dividendi
Fonte: Osservatorio monetario
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Guido Gennaccari
Solo una puntualizzazione su come il mercato valuti le banche. Le banche europee dai max 2015 sono a -40% mentre quelle italiane a -51%; le banche europee dai minimi 2016 registrano +23% mentre le italiane +34% con tutte le difficoltà dello spread dal 2018. In sintesi: le banche italiane sono più deboli rispetto al 2015 (banche risolute) di quelle europee a causa degli aumenti capitale, invece dai minimi 2016 il mercato le valuta maggiormente rispetto alle europee, che non è poco considerando il gap da spread iniziato a maggio 2018. Il mercato anticipa sempre economia reale, vedremo
Marcello Romagnoli
Dovremmo considerare anche il più che discutibile intervento della BCE sulla totale svalutazione in sette anni delle sofferenze da parte di tutte le banche. Nell’attuale situazione ad esserne più colpite sono le italiane, mentre ad esserne favoriti sono i fondi che comprano a prezzi stracciati le sofferenze per poi lucrare tra quello che le hanno pagate e quello che riusciranno a recuperare. Ciò produrrà una perdita superiore a quello che sarebbe stata quella derivante da una gestione delle sofferenze meno pressante.
Peccato che invece la BCE non sia altrettanto allarmata dagli enormi quantitativi di titoli ad alto rischio in pancia ad alcune grandi banche europee.
Due pesi e due misure che sicuramente non ci fanno bene e ci dicono che in UE si fanno favoritismi
Savino
Va solo chiarito che rischio Paese significa politica.
Roberto Convenevole
L’articolo è interessante per le cifre che fornisce, anche se incomplete. Non si capisce tuttavia se sia un Allarme oppure un grido di dolore. Dal momento che lei Insegna Economia politica, perché non fa un ragionamento da economista? Per esempio lei potrebbe fornire il tasso medio attivo del sistema bancario da confrontare con il costo della raccolta. Onestamente a me sembra che le banche continuino ad essere un cancro per l’industria manifatturiera. Ricorderà che nel 1975 Luigi Spaventa pubblicò sulla rivista Successo un articolo intitolato “I lautissimi profitti delle povere banche”. Negli anni dell’inflazione a due cifre le banche sono state esse stesse fonte di inflazione ed il conto lo hanno pagato le imprese. Ad esempio, nel periodo 1970-1982 con i dati della Contabilità nazionale si vede che il peso degli Oneri finanziari sul Risultato loro di gestione della Manifattura passò da quasi il 12% iniziale al 46% finale. Ora questa analisi andrebbe aggiornata chiedendo all’Istat di fornire i necessari dati non pubblicati. La mia Banca oggi chiede il 10,01% per un credito personale. Dal momento che sul c/c io non percepisco interessi, il 10% di margine è un tasso reale a tutti gli effetti. E non mi sembra poco. Infine potremmo chiedere all’industriale Cucinelli di raccontarci le sue traversie quotidiane con le banche. In passato le banche hanno contribuito ad accentuare le ristrutturazioni industriali ed ora siamo in una situazione di riproduzione semplice. il declino è dietro l’angolo.
Gerardo COPPOLA
Sono d’accordo con il sig. Convenevole. Allarme o grido di dolore ? E’ un limite che trovo non solo negli articoli di Baglioni ma anche negli altri della Voce.info dedicati al credito e alla finanza.
Henri Schmit
Trovo l’articolo ottimo. Lo interpreto come allarme. I vigili del fuoco si chiamano Banca d’Italia, Governo e Parlamento. Ma davanti a un pericolo tutti sono responsabili: anche gli esperti, l’opinione pubblica e gli elettori. Il paese ha problemi strutturali che il governo – più colpevole che mai – con misure di tamponamento congiunturale sta solo occultando, vanamente, come ai tempi dei “ristoranti pieni”.