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Una storia di ordinaria burocrazia

Il regolamento edilizio del comune di Milano prevede che tutti gli edifici di oltre cinquant’anni debbano dotarsi di una certificazione di idoneità statica. Costerà ai cittadini milanesi centinaia di milioni. Ma la sua utilità è tutta da dimostrare.

I costi della burocrazia

Gli adempimenti burocratici richiesti in Italia sono troppi e aggravano considerevolmente i costi sia dei cittadini che delle imprese, come rilevano anche confronti tra paesi effettuati da organismi internazionali. Mentre tutti i governi avvertono il problema e si ripropongono semplificazioni (magari passando attraverso nuove commissioni appositamente costituite), si continuano a varare nuove norme, sia a livello centrale che locale, senza valutare se i benefici attesi superino i costi o addirittura senza nemmeno chiedersi quanto sarà il costo, per cittadini e imprese, dei nuovi adempimenti.

Con le leggi Bassanini si erano introdotti sani criteri generali, come ad esempio (articolo 1, decreto legislativo n. 286/99) “Le pubbliche amministrazioni (…) si dotano di strumenti adeguati a (…) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati”. Ma quella di valutare i costi e benefici delle nuove normative è una cultura che resta estranea alle nostre amministrazioni pubbliche. Consideriamo la fatturazione elettronica: l’amministrazione si è posta il problema di stimare quanto costerà alle imprese, in consulenze e ore di lavoro addizionali richieste?

Milano e l’idoneità statica degli edifici

Merita citare un esempio a livello locale, ma molto significativo: quello dalla certificazione di idoneità statica degli edifici (Cis), un obbligo introdotto dal comune di Milano attraverso l’inserimento di un’apposita norma nel regolamento edilizio.

La certificazione potrà forse servire a identificare rarissimi casi di edifici pericolanti, ma per la generalità cosa potrà attestare se non che il fabbricato non rischia di crollare? La Cis non è diretta a certificare che gli stabili siano antisismici (pericolo pressoché nullo a Milano). Né si ricordano a Milano morti per crolli dovuti alla stabilità di edifici. Di fatto, quindi, gli ingegneri incaricati effettuano soprattutto ricerche d’archivio e poi, a volte, si aggirano nei locali per vedere se vi siano crepe nei muri.

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L’obbligo di Cis degli edifici non è previsto da alcuna legge. Anzi, il governo ha fatto ritirare una legge regionale della Puglia che lo imponeva, impugnandola presso la Corte costituzionale. Milano è stato il primo (e unico) comune a introdurlo. L’adempimento è in vigore dal 2014, pare perché richiesto dalle associazioni degli inquilini preoccupate per lo stato di alcuni edifici in affitto. Il comune ha un ufficio tecnico apposito per effettuare verifiche su stabili denunciati o giudicati a rischio e poteva rispondere a quelle sollecitazioni con proprie ispezioni. Ma è parso più facile, e magari più proficuo per l’immagine pubblica, imporre a tutta la città l’obbligo della Cis, forse anche per assecondare le brame di nuovi incarichi professionali da parte dei molti che ormai vivono di certificazioni.

L’articolo 11.6 del regolamento edilizio prevede perciò che tutti gli edifici di oltre 50 anni debbano dotarsi di Cis entro novembre 2019, e poi rinnovarla ogni 12 anni. A Milano, circa 27 mila edifici dovrebbero richiederla, con un costo medio stimato attorno ai 6 mila euro per fabbricato per le sole verifiche di primo livello, ma con punte sino a 30 mila euro. Si tratta dunque, per la città, dell’equivalente di un’imposta straordinaria assai elevata, dal costo di 170-200 milioni o forse più. Se le Cis fossero state a carico del comune e finanziate con aumenti di imposte, sarebbe apparso evidente che esistono spese ben più urgenti e meritorie per la città. Così invece il costo non passa dai conti del comune, è scaricato sui cittadini senza che venga rilevato da alcuna contabilità, rendendone ben più facile l’approvazione.

Stupisce che l’assessore abbia proposto la norma senza presentare una accurata stima del costo per la città, non parliamo poi di una valutazione dei benefici, e che sia stata approvata dal consiglio comunale nella pressoché totale indifferenza. Forse non hanno nemmeno pensato agli oneri da sostenere per i tanti edifici pubblici, case popolari o edifici della Curia.

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Le draconiane penalità previste dal regolamento edilizio di Milano per la mancata produzione della Cis non fanno poi certo onore alla città natale di Cesare Beccaria: obbligo ai notai di allegare la Cis in caso di compravendita (obbligo che pare vada ben al di là dei poteri di un comune) e decadenza dell’agibilità dell’edificio, per cui senza Cis diverrebbe impossibile l’utilizzo dell’immobile a qualunque titolo.

Ora il comune di Milano è impegnato a rivedere il regolamento edilizio per adeguarlo al modello regionale, entro fine aprile. Può essere l’occasione di ridimensionare il campo di applicazione della Cis o abolirla del tutto. Come minimo, speriamo che l’attuale giunta tenti almeno di esplicitare e quantificare i costi e i benefici della normativa che adotterà. Quanto più passa il tempo, tanto maggiore sarà il disappunto dei condomini che si sono affrettati a sostenere la spesa della Cis per rispettare la scadenza di novembre 2019.

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  1. U G-M Tamburini

    Dissento: la proliferazione -non solo domestica- di autorita’ di competenti nel trattamento della pelle di quella parte del corpo umano che permette all’ufficiale di stato civile di barrare la casella M, ha sottratto ai veri responsabili il dovere di provvedere ‘perentoriamente’ alla bisogna, dando adito all’apertura di tante diversioni inappropriate che l’ordinamento e’ lieto di affrontare, pavoneggiandosene. Se la PA operasse in temini perentori e la magistratura si rendesse conto che il suo dovere primario non consiste nel perseguire casi che -altrove- sono stati trascurati, tanto vero che uno degli attori e’ fin addivenuto alla massima carica cui un cittadino possa ambire e puntasse al fatto e non alla formalita’ ci sarebbero -faccio per dire- meno viadotti crollati prima del 14/08/2018, meno crloli sul Lungotevere e cosi’ via
    Ma siamo nelle mani di chi parla di smartphones con la mente e la competenza di chi usa chiamare la signorina dell’interurbana

  2. Rosario Nicoletti

    Ci risiamo. Questa “furbata” era già comparsa per Roma anni fa. Come un fiume carsico, ricompare di tanto in tanto. L’inutilità è sicura; così come è sicura la felicità di ingegneri ed architetti che possono certificare il nulla.

  3. Ottimo articolo che condivido pienamente.

  4. tommaso

    Sono in totale disaccordo con la visione che ispira questo articolo, e nello specifico sui punti fattura elettronica (consulenze ok, ma anche grande semplificazione e spinta alla modernizzazione irraggiungibile altrimenti) e valutazione edifici (come può un povero inquilino sollecitare un controllo prima di vedere una crepa larga un braccio, ossia magari 2 gg. prima del crollo?). Ma come dicevo sono in disaccordo con la visione generale: la mancanza di controlli obbligatori uccide! A parte diversi crolli di edifici verificatisi per la autocertificazione di lavori pesanti di ristrutturazione, come esempio eclatante basta vedere le vicende dei morti dei due Boeing 770 Max 8, che sono morti perché la FAA non deve più fare test (ed è stata depotenziata). Un plastico esempio di fallimento del mercato lasciato troppo libero: è ora di dire basta con la deregulation indiscriminata!

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