Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni del vice-premier Luigi Di Maio sulle politiche per la famiglia.
Due interviste per Di Maio
La posizione del governo gialloverde sulla famiglia è stata evocata più volte nelle ultime settimane, soprattutto in occasione del contestato Congresso mondiale delle famiglie che si è svolto a Verona tra il 29 e il 31 marzo. In particolare, la partecipazione alla kermesse di alcuni ministri di sponda leghista – primo fra tutti il ministro dell’Interno Matteo Salvini – ha fatto emergere nuove divisioni, e qualche litigio pubblico, all’interno della coalizione di governo di Movimento 5 stelle e Lega. Sulle politiche di conciliazione vita-lavoro è stato intervistato domenica 7 aprile a Che tempo che fa (Rai 1) il vice-premier e ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Di Maio, che al conduttore Fabio Fazio ha fornito risposte contraddittorie e piuttosto imprecise:
Fazio: “Però ministro lo scorso fine settimana c’è stato questo dibattito sulla famiglia, ma l’Inps ha ricordato che il governo Conte ha tagliato il bonus per baby sitter e asili nido”.
Di Maio: “No, questo è un dossier che seguo io come ministro delle Politiche sociali. (…) Il bonus baby sitter era un bonus che fu ideato dal precedente governo che diceva ‘se la mamma non usa il congedo parentale, cioè i due mesi prima della gravidanza e i tre dopo, allora le paghiamo il babysitter’. Ma alla fine le mamme hanno preso tutte il congedo parentale, era un po’ una follia, e quindi era uno strumento che non stava funzionando. Che abbiamo fatto? Abbiamo preso i soldi e li abbiamo messi per aumentare l’abbassamento della retta sugli asili nido”.
Di Maio era già stato interpellato anche il 4 aprile a Mattino cinque (Canale 5) in merito alla decisione di non rinnovare il bonus infanzia (conosciuto anche come contributo baby sitting), e la sua risposta era stata:
“Io le smentisco questa notizia perché il bonus per il baby sitting, perché di questo stiamo parlando, è passato con l’ultima legge di bilancio da 500 fino a 1.500 euro”.
Il quadro che si delinea è decisamente nebuloso e pasticciato. Quale è dunque la situazione riguardo alle politiche di conciliazione vita-lavoro? Per fare chiarezza è necessario innanzitutto distinguere tra le diverse misure.
Cos’è il contributo baby sitting
Il contributo baby sitting o asili nido è una misura introdotta in via sperimentale nel 2012 per il biennio 2013-2015, in seguito prorogata dal governo Renzi fino a dicembre 2018 con alcune modifiche ed estensioni. Il provvedimento permetteva alle madri lavoratrici di richiedere – al termine del congedo di maternità ed entro gli 11 mesi successivi – un voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting oppure un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi. Il contributo era rivolto a lavoratrici dipendenti pubbliche e private o iscritte alla Gestione separata. In misura leggermente differente era stato esteso anche a lavoratrici autonome o imprenditrici (con una durata di tre mesi). L’ammontare massimo del sostegno era di 600 euro mensili.
Come si legge chiaramente sul sito dell’Inps, la legge di bilancio del 2019 non ha prorogato la misura. È bene ricordare che si poteva scegliere il contributo in alternativa al congedo parentale, un periodo di astensione facoltativo dal lavoro della durata complessiva di 11 mesi tra i due genitori, utilizzabile entro i primi 12 anni di vita del bambino, durante il quale i genitori ricevono solo una piccola frazione della retribuzione spettante (normalmente il 30 per cento ma in alcuni casi nessuna retribuzione). Il contributo baby sitting rappresentava quindi una delle poche misure di conciliazione vita-lavoro: a usufruirne infatti erano le madri lavoratrici che sceglievano di rientrare al lavoro rinunciando al congedo facoltativo e che per questo pagavano il supporto di una persona nella cura dei figli oppure la retta di un asilo nido.
Perché Di Maio fa confusione sulle misure
Alla luce di queste informazioni, ripercorriamo gli interventi del vice-premier Di Maio, a partire da quello meno recente a Mattino cinque.
La risposta del ministro alla domanda sulla soppressione del contributo baby sitting è sbagliata per due motivi. Anzitutto, malgrado il tentativo di smentita, è evidente che il provvedimento non è stato prorogato, come abbiamo precisato sopra e come ha comunicato l’Inps. Inoltre, Di Maio confonde il contributo baby sitting o asili nido con una diversa misura di sostegno al reddito delle famiglie, ovvero il bonus asilo nido introdotto nel 2016. Avrà giocato a sfavore del ministro la somiglianza innegabile dei nomi, fatto sta che i due rimangono provvedimenti distinti. Il bonus asilo nido è infatti un altro contributo mensile per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati oppure di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche. In questo caso, però, la misura non costituisce un’alternativa al congedo parentale (come invece il contributo baby sitting), ma una possibilità estesa a tutti i genitori di un minore nato o adottato dal 1° gennaio 2016 in possesso dei requisiti richiesti. L’importo su base annua di quest’ultimo bonus è stato effettivamente aumentato con l’ultima legge di bilancio a 1.500 euro per tutti e tre gli anni dal 2019 al 2021, ma l’ammontare di partenza non era di 500 euro come affermato dal vice-premier Di Maio, bensì di 1.000.
Se la confusione si fermasse qui, si potrebbe quasi chiudere un occhio, ma le dichiarazioni rilasciate a Che tempo che fa domenica 7 aprile rendono necessarie ulteriori correzioni.
Alla richiesta di chiarimenti di Fabio Fazio, il ministro risponde ammettendo che in effetti il contributo baby sitting non c’è nella legge di bilancio 2019, ma la spiegazione che abbozza contiene alcune inesattezze. Il primo errore non stravolge il contenuto del messaggio, ma va riportato per precisione: il bonus baby sitting o asili nido non è stato ideato dal precedente esecutivo, ma nel dicembre 2012 dall’allora governo Monti e poi successivamente prorogato dal governo Renzi.
Il secondo errore, invece, è concettuale e riguarda il congedo parentale. È assolutamente vero che il contributo baby sitting veniva erogato in alternativa al congedo parentale, ma quest’ultimo non corrisponde ai due e tre mesi di congedo prima e dopo il parto (“gravidanza” secondo le parole di Di Maio, ma ci siamo capiti). Quello a cui fa riferimento il ministro del Lavoro è il congedo di maternità, che è appunto un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante i due mesi che precedono il parto e i tre mesi successivi. Invece, come abbiamo specificato sopra, il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativo dal lavoro che può essere utilizzato sia dalla madre sia dal padre per una durata complessiva non superiore a 12 mesi.
Ricapitolando, quando si parla di politiche di sostegno al reddito delle famiglie bisogna stare molto attenti perché la terminologia inganna, le dichiarazioni di Di Maio ce lo dimostrano: il contributo baby sitting o asili nido è cosa diversa dal bonus asilo nido, così come sono due misure ben distinte il congedo parentale e il congedo di maternità.
Il verdetto
Il vice-premier nonché ministro delle Politiche sociali ha le idee confuse sulle misure di sostegno alle famiglie che afferiscono proprio al suo ministero. Non soltanto non sembra conoscere la differenza tra il contributo baby sitting o asili nido e il bonus asilo nido, ma finisce per equivocare anche sul congedo di maternità e il congedo parentale. Complice la somiglianza dei nomi, dobbiamo ammetterlo. Se a queste manchevolezze aggiungiamo anche l’errore sull’ammontare di partenza del bonus asilo nido e l’imprecisione sulla paternità del provvedimento che ha introdotto il contributo baby sitting, le dichiarazioni di Luigi Di Maio sono nel complesso PARZIALMENTE FALSE.
Ecco come facciamo il fact-checking.
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