Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle parole di Matteo Salvini sulla lotta all’evasione riducendo le tasse.
La dichiarazione
I miliardi evasi al fisco sono risorse che farebbero gola a qualsiasi governo, soprattutto se assetato di spesa ma assillato dai conti pubblici. Come attingere però alle risorse sommerse resta un problema difficile da risolvere.
Il vice-premier Matteo Salvini, nella sua intervista a Porta a Porta di giovedì 18 aprile, propone una soluzione tanto semplice quanto apparentemente efficace, ossia il taglio delle tasse:
“L’evasione fiscale si combatte se riduci la richiesta fiscale. Più alta è la tassa che chiedi, più invogli la gente a evadere. Se riduci le tasse, combatti l’evasione”.
Proviamo a capire se ha ragione.
Una realtà diversa dalla teoria
In termini generali, un individuo è indotto a evadere non solo quando le tasse sono troppo alte, ma anche quando il rischio di essere scoperti dalle autorità è sufficientemente basso. Seguendo questa logica, contro l’evasione si può agire su due fronti: abbassare le imposte (e quindi ridurre il potenziale beneficio di un evasore) o aumentare i controlli. Salvini punta sulla prima strategia, sicuramente quella con più potenziale propagandistico, ma che non è del tutto corroborata dall’evidenza empirica.
I dati sembrano smentire dinamiche così semplici e lineari e forniscono prove contraddittorie sul legame tra tassazione ed evasione. Se infatti alcuni studi confermano la teoria del ministro dell’Interno, altri non individuano alcun effetto dell’abbassamento della tassazione sul tasso di evasione, mentre altri ancora addirittura osservano che è una tassazione maggiore a portare a un abbassamento del livello di evasione.
È evidente che la realtà è di gran lunga più complessa e che le scelte individuali sono influenzate da numerosi altri fattori. Alcuni sono legati all’intensità, alle modalità e alla percezione dei controlli, che molti studi certificano come importanti determinanti del livello di evasione. Un altro elemento è la presenza di norme sociali che rinforzino la convinzione che siamo tutti chiamati a contribuire alla creazione di un bene comune. È stato infatti dimostrato che la dimensione sociale e istituzionale contribuisce a spiegare i tassi di evasione e i diversi comportamenti elusivi in paesi dal sistema fiscale simile ma con culture molto diverse, come la Spagna e gli Stati Uniti oppure l’Italia e la Svezia.
Il caso italiano
Studiamo più da vicino il caso italiano e in particolare la progressione della pressione tributaria e dell’evasione fiscale nel tempo. L’ultima Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del 2018 pubblicata dal ministero dell’Economia e delle Finanze mostra che, per il triennio 2013-2015, il tax gap complessivo (calcolato come divario tra gettito teorico e gettito effettivo) è pari a circa 108,9 miliardi di euro, di cui 97,8 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,1 miliardi di mancate entrate contributive. Per monitorare la tax compliance – ossia l’adempimento degli obblighi tributari – si utilizza anche un indicatore della propensione all’inadempimento dei contribuenti, dato dal rapporto tra l’ammontare del tax gap e il gettito teorico. Sempre nel triennio 2013-2015, la media della propensione al tax gap è del 22,1 per cento, dove il massimo si osserva per l’Irpef da lavoro autonomo e impresa (68,3 per cento) e il minimo per l’Irpef da lavoro dipendente (3,5 per cento).
Tutto ciò con un livello di pressione tributaria tra i più alti in area Ocse: secondo il rapporto Revenue Statistics 2018 l’Italia si colloca infatti al sesto posto (42,4 per cento nel 2017), dietro Francia, Danimarca, Belgio, Svezia, Finlandia e Austria.
Pressione fiscale alta, alta evasione fiscale: fino a qui la relazione prospettata da Salvini sembra reggere. Ma i problemi di adempimento fiscale sono una vecchia conoscenza per il sistema tributario italiano e ciò che colpisce è proprio la continuità storica del fenomeno, come emerge da un rapporto di Banca d’Italia del 2010. La figura 1 mostra l’evoluzione della pressione tributaria in Italia dal 1862 al 2007.
Figura 1 – Pressione tributaria in Italia (1862-2007; medie mobili triennali)
Considerando in particolare il secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Ottanta, osserviamo che la pressione fiscale si posizionava tra il 10 e il 20 per cento, con una media intorno al 15, ben al di sotto del 40 per cento attuale. Se confrontiamo quindi la figura 1 con la tabella 1 – che presenta la propensione al tax gap per l’Irpef a partire dal 1975 – è evidente che il tasso percentuale di evasione fiscale non è inferiore (o comunque troppo inferiore) rispetto ai livelli odierni: dal 1975 al 1984 la media si aggira infatti intorno al 18 per cento, con vette del 55 per cento nel caso del lavoro autonomo. Ecco quindi che l’altra faccia della relazione – pressione fiscale bassa, bassa evasione fiscale – non sembra confermata dai dati storici degli ultimi cinquant’anni in Italia.
Tabella 1 – Irpef: tassi percentuali di evasione fiscale
Fonte: Banca d’Italia – Per una storia della tax compliance in Italia (2010)
E l’effetto della flat tax?
Dedichiamo infine qualche parola al potenziale impatto della flat tax sull’evasione fiscale, perché quando Salvini parla di “riduzione della richiesta fiscale” sta evidentemente mirando all’introduzione di una imposta ad aliquota fissa su tutti i redditi. Come precisa in una nota l’Osservatorio sui conti pubblici italiani, poche ricerche empiriche sono state condotte sugli effetti della flat tax sull’adempimento del dovere fiscale. I risultati disponibili non giungono a conclusioni nette, tranne che per la Russia dove il livello di adempimento sembrerebbe aumentato. In ogni caso, non è chiaro se la crescita di compliance sia legata a un cambiamento comportamentale oppure se sia stata causata da altri sviluppi, quali il potenziamento delle procedure di controllo. Non è da escludere che una riduzione nel livello della tassazione media e marginale che accompagnerebbe l’introduzione di una flat tax possa portare a una minore evasione, ma non è un effetto su cui si possa sempre contare.
Il verdetto
Il vice-premier Salvini presenta la relazione fra pressione ed evasione fiscale (riduzione della prima, riduzione della seconda) come se fosse un dato incontrovertibile. Alcune considerazioni indicano invece che così non è: l’evidenza empirica sull’argomento mostra che l’effetto del livello di tassazione sul grado di evasione fiscale è ambiguo; i dati storici sull’Italia dal dopoguerra a oggi sembrano smentire l’esistenza di tale relazione. Non è dunque possibile stabilire se alla diminuzione della richiesta fiscale corrisponda o meno un aumento dell’adempimento, ma il tentativo di Salvini di spacciare una relazione dubbia per una certezza granitica conferisce alla sua dichiarazione l’etichetta di PARZIALMENTE FALSA.
Ecco come facciamo il fact-checking.
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Maurizio Sbrana
Ma… Provare ad applicare veramente il dettato dei 2 commi dell’Art.53 ? …….
Calcolare la reale CAPACITÀ CONTRIBUTIVA di ogni soggetto (di cui al 1^ comma) , ed applicare poi al risultato la PROGRESSIVITÀ dell’imposta (di cui al 2^ comma) . Ne deriverebbero grandi SORPRESE !!!
Ma nessuno ne vuole parlare…
Giacomo
Rimane una questione importante ed essenziale: riducendo la pressione fiscale si riduce la differenza tra i fessi che pagano le tasse e i furbi (per non dire altro) che non le pagano. La giustizia sociale, dunque, aumenta.
Amegighi
Quindi il problema non è fiscale/economico/numerico/matematico, ma un problema puramente cognitivo/umorale ? Cioè mi dà fastidio essere considerato fesso dai furbi. In cosa consiste la giustizia sociale di cui parla ?
Per migliorare il tono dell’umore e la consapevolezza di se stessi di solito si usa la psicanalisi.
Mahmoud
Consiste nel fatto che i poveri in Italia non esistono, esiste chi evade e nessuno muore di fame. A fronte di questo tassazioni al netto di ritenute previdenziali superiori al 40% del reddito dichiarato sono ingiustificabili sotto qualsiasi punto di vista la si guardi.
Alessandro Pescari
Da addetto ai lavori, posso confermare che la questione tassazione del reddito è molto complessa. Oggi più di qualche anno fa e ciò per una serie di motivi:
– cambiamento epocale dei fattori di produzione del reddito;
– distorsione dell’IRPEF, con l’introduzione di “tasse piatte” (redditi finanziari, immobiliari, lavoro autonomo/forfettari, ecc..);
– emanazione di strumenti/tecniche che anziché premiare i contribuenti più “virtuosi” vengono maggiormente penalizzati (ISEE, BONUS 80€, ecc..);
– mancanza di un sistema unitario che tenga conto dei diversi redditi rientranti nella sfera della famiglia/convivenza per accedere alle miriadi di forme assistenzialistiche (assegni familiari e bonus diversi).
La lista potrebbe continuare, tuttavia oramai è chiaro che il nostro sistema fiscale (fatto di continue “toppe”) non è più in grado di rispettare il tanto invocato art.53 Cost. e occorre una riforma reale che risponda maggiormente ai nostri tempi, improntata all’equità ed anche alla semplificazione. Sono certo che se ciò dovesse mai accadere, vi sarebbe anche una maggiore compliance cittadino/erario.
Amegighi
Pienamente daccordo. Posso portare la mia esperienza americana: 3 tasse, federali, statali e locali. Un sistema semplice di calcolo. Nelle tasse locali basato sul reale valore della casa (online) adeguato costantemente.
Controlli: altrettanto semplici e precisi basati spesso sull’incrocio delle informazioni. Un mio collega mi diceva che quando arriva l’agente delle tasse sono sempre problemi, perchè sanno tutto e ti chiedono conto di fatti concreti.
Altro aspetto invece è il risultato di quei soldi pagati. In Danimarca, Finlandia, Svezia si pagano più tasse. Ma si vedono concretamente i risultati del buon utilizzo dei soldi pagati. Anche questo è un incentivo.
Se consideriamo ad esempio il Fondo Sovrano Norvegese dove vanno a finire i soldi dei cittadini norvegesi ottenuti con la vendita del petrolio norvegese, cosa sarebbe successo qui in Italia ? Li avrebbero gestiti allo stesso modo con cui li fanno gestire lassù ? Leggete come fanno. E’ da rimanere ammirati (ed invidiosi).
umberto marchesi
non illudiamoci : l’intensità dei controlli è l’unico argine all’evasione. I ripetuti condoni allontanano la “paura”. L’evasione è contenuta specie nei paesi “protestanti” specie se sostenuta dalla paura della galera
Carlo
Fra i vari fattori che incentivano l’evasione non sono citati i poteri del sistema di riscossione, ovvero l’efficacia e l’efficienza dello stesso. Basti vedere il boom di domande per la pace fiscale della ex Equitalia: ciò vuol dire che i soldi di coloro che non hanno adempiuto ai doveri fiscali non sono stati ancora incassati dallo Stato.
Enrico Albisetti
L’evasione in agricoltura secondo la teoria di Salvini come si spiega?
Matteo D'Emilione
La lettura della figura 1 mette in evidenza un aspetto che mi sembra sia stato sottovalutato: se in un arco temporale di oltre 100 anni (dal 1860 al 1980) la pressione fiscale si mantiene piuttosto bassa, il tasso di evasione mediamente alto e, forse, il sistema di controlli, molto blando, come, tutto ciò influenza il comportamento delle persone? Cosa accade, infatti, se poi in un arco temporale comparativamente molto stretto (circa 20 anni) la pressione fiscale raddoppia e il sistema dei servizi pubblici, ad esempio, non migliora in proporzione? Il grafico è davvero molto utile perchè in qualche modo ‘racconta’ uno dei possibili motivi dietro all’evasione. Lo sguardo lungo, anche sul passato, probabilmente riesce a cogliere aspetti che aiutano a spiegare determinati fenomeni.
Ugo Venturi
Ma mi pare strano che nessuno pensi che il fine ultimo di Salvini non sia quello di ridurre le tasse ma di invogliare i detentori di partita iva a denunciare di più, aumentando il fatturato senza pagare più tasse. In questo modo aumenterebbe il PIL ed il debito dello stato espresso in % diminuirebbe automaticamente senza diminuire la spesa pubblica. Geniale!
Roberto
Puramente a livello metodologico. L’articolo, prima avanza l’ipotesi che ad agire sulla propensione al tax gap siano due variabili, la pressione fiscale e i controlli, poi, nei confronti temporali, ne considera una sola (la pressione), ignorando l’agire dell’altra. Se, come probabile, i controlli sono diventati progressivamente più efficienti è possibile che la stabilità della propensione al tax gap mascheri l’azione contrapposta delle due variabili e che vi sia una correlazione positiva tra pressione fiscale e propensione al tax gap più elevata di quella che porta a concludere come parzialmente falsa l’affermazione soggetta a fact-checking.