La presenza di una università contribuisce allo sviluppo sociale, economico e culturale di un territorio. Tanto più se l’ateneo è efficiente, perché stimola lo sviluppo di nuove idee e opportunità. Effetti maggiori dove il livello di sviluppo è già alto.
Università e territorio
Il finanziamento pubblico per l’istruzione terziaria in Italia è inferiore del 30 per cento rispetto alla media dei paesi Ocse; in rapporto al prodotto interno lordo, è pari a quasi l’1 per cento contro l’1,55 per cento della media dei paesi Ocse. D’altra parte, l’assunzione che le università contribuiscano allo sviluppo sociale, economico e culturale delle regioni in cui operano è oggi sostanzialmente accettata dalla comunità scientifica e istituzionale, fino a proporre il concetto degli atenei come “sviluppatori urbani”. L’effetto della presenza delle università non è infatti confinato all’interno dell’accademia, ma ha un’influenza più ampia sulla società e sull’economia del territorio.
Negli ultimi anni, la disponibilità di dati, unita all’esistenza di metodologie di analisi più avanzate, ha permesso una descrizione più adeguata dei canali attraverso i quali ciò può avvenire.
Dal punto di vista concettuale, le università possono incrementare lo sviluppo economico a livello locale in vari modi. Un importante ruolo è migliorare il livello di capitale umano sul territorio, prima attraendo studenti qualificati nella regione dove gli atenei sono localizzati e poi producendo laureati altamente qualificati che dalle università si spostano alle imprese. L’attività di ricerca scientifica, poi, sprona l’innovazione nelle imprese e porta a una maggiore crescita a livello locale. In aggiunta alle tradizionali attività di ricerca e insegnamento, le università hanno anche lo scopo di costruire un legame tra ricerca e sistema produttivo nello svolgimento della cosiddetta terza missione. In questa prospettiva, la creazione di nuove imprese, che si basano sulle tecnologie nate dalla ricerca universitaria, è un importante motore dello sviluppo economico locale.
Una parte di questi effetti si possono catturare quando si misura il livello degli output delle università attraverso il numero di pubblicazioni, di laureati o di brevetti. Tuttavia, al fine di misurare il ruolo delle università nello sviluppo di capitale umano, bisognerebbe tenere conto del loro livello di efficienza, ossia del modo in cui gli atenei sono in grado di trasformare le risorse umane e finanziarie (input) usate nel processo di produzione in risultati (output) quali laureati, pubblicazioni e trasferimento tecnologico. L’utilizzo di indicatori di efficienza, in luogo di semplici misure di volume di produzione, fornisce una misura diretta e più coerente del meccanismo produttivo dei risultati delle università.
Perché misurare l’efficienza degli atenei?
La misura di efficienza delle università include il concetto di produttività, con una valutazione che si basa sull’ottenimento del massimo possibile dalle risorse disponibili sfruttando l’innovazione e i miglioramenti nella tecnologia di produzione.
Le università più efficienti possono liberare risorse umane e finanziarie da utilizzare per attività economiche alternative. Ad esempio, se un ateneo impiega meno personale per produrre lo stesso livello di output di un altro che ha un numero superiore di dipendenti, i lavoratori che non impiega possono essere utilizzati in altre occupazioni nello stesso territorio e dare un contributo maggiore in termini di produzione del prodotto interno lordo. Se un’università è considerata dalla società come un’organizzazione efficiente, le imprese e le entità locali hanno un maggiore incentivo a intraprendere nuove collaborazioni con le sue istituzioni di ricerca (effetto reputazione). In altre parole, le università più efficienti stimolano lo sviluppo di nuove idee e opportunità nella regione. E se un’università è efficiente, incoraggia comportamenti più virtuosi nei soggetti terzi con cui interagisce. Infine, in senso puramente tecnico, le università più efficienti producono più output di insegnamento, ricerca e terza missione per un dato livello di input utilizzati.
Effetti diretti e indiretti sul territorio
In un recente studio (pubblicato su Journal of Regional Science), abbiamo esaminato il ruolo delle università nel sostenere lo sviluppo locale nel nostro paese, testando l’esistenza di una relazione tra i risultati delle università e lo sviluppo economico delle aree dove sono localizzate.
Utilizzando un indicatore di efficienza che tiene in considerazione le principali attività svolte dagli atenei – quali la produzione di capitale umano (laureati), il trasferimento di conoscenza (ricerca accademica) e di tecnologia (terza missione) -, abbiamo dimostrato che la presenza di università efficienti promuove lo sviluppo economico locale. Effetti positivi di conoscenza si realizzano anche per le aree geograficamente vicine alle università efficienti.
Grafico 1
I risultati conducono a una serie di riflessioni e di possibili implicazioni per le politiche legate all’istruzione terziaria. Innanzitutto, l’evidenza empirica giustifica l’utilizzo di un indicatore di efficienza in sostituzione dei singoli indicatori di output, in quanto l’efficienza misura in maniera più completa l’effetto, sulla comunità locale, della capacità delle università di sfruttare al massimo le risorse a disposizione. I risultati confermano l’esigenza di considerare tutte le attività delle università, e in particolare la cosiddetta “terza missione”, quando si pensa allo sviluppo di modelli di incentivi e di distribuzione dei fondi e delle risorse al sistema universitario. Inoltre, essere vicino alle università più efficienti può portare a un incremento della conoscenza disponibile per le imprese e può rinforzare la relazione tra università e industria.
Ciò dà credito a nuovi interventi e investimenti nell’istruzione terziaria poiché le attività di queste istituzioni aumentano lo sviluppo economico del territorio in cui sono localizzate e delle aree vicine. I risultati suggeriscono non soltanto che le università contribuiscono allo sviluppo economico del loro territorio, ma anche che gli effetti sono maggiori nelle aree che hanno già un livello di crescita maggiore. Occorre dunque prudenza nel disegnare le misure politiche: infatti, si potrebbe creare una situazione nella quale le università più efficienti si trovano in territori caratterizzati da un più alto sviluppo economico che a loro volta le stimolano a raggiungere livelli ancora superiori di efficienza, con effetti incerti sugli atenei meno coinvolti nella crescita economica del loro territorio.
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Lantan
Considerazioni ed analisi condivisibili. Peccato però che una buona parte dei laureati – i migliori – se ne vadano dal nostro paese verso Germania, Olanda, Francia, UK… Quindi sarebbe più giusto dire che: le Università, soprattutto quelle di alto livello, non stanno contribuendo allo sviluppo locale (italiano) ma a quello di Francia, Olanda, Germania, UK… Al punto che, tra qualche tempo ai governi dei suddetti paesi converrà disinvestire o chiudere addirittura il loro sistema formativo universitario (con conseguente risparmio di denaro!) perché tanto i laureati arrivano già belli e pronti dall’Italia, dalla Spagna, dal Portogallo… Poi magari Olanda e Germania vengono a fare le pulci agli Italiani sul rapporto deficit/pil quando forse sarebbe il caso di considerare che ogni laureato che emigra oltralpe corrisponde a circa 150mila o 200mila euro che l’Italia “regala” ai paesi di destinazione. Perché non viene tenuto in conto nel bilancio degli stati – soprattutto di quelli dell’Europa del sud – anche la perdita finanziaria ed economica costituita dalla fuga dei laureati?
nicola savino
Soltanto in conclusione si accenna alle dinamiche negative per le università collocate nelle aree depresse; della conseguente necessità di promuoverle in misura particolare! DI fatto, accade il contrario.
Giorgio Ponzetto
Dire che “La presenza di una università contribuisce allo sviluppo sociale, economico e culturale di un territorio” è un’affermazione che richiede qualche precisazione. La tesi è vera se l’Università ha una certa dimensione e se è molto efficiente. Purtroppo negli ultimi decenni in Italia le università si sono moltiplicate senza alcuna programmazione, ma soprattutto per rispondere ad aspettative di tipo campanilistico e per la volontà di creare nuovi posti. Soprattutto si sono moltiplicate le sedi di corsi di laurea e di dipartimento sparsi qua e là sul territorio al di fuori di qualsiasi discorso di organicità e di efficienza. In questo caso si è avuto qualche ritorno economico soprattutto a favore di ristoratori e affittacamere, ma l’Università non ha certo avuto quel ruolo di propulsore dello sviluppo economico, sociale e culturale di cui si parla nell’articolo e che possono avere solo università di una certa dimensione e molto efficienti su cui andrebbero quindi concentrati gli investimenti pubblici.
Lorenzo Farina
Tenuto conto che correlazione non è causazione, potrebbe essere vero il contrario e cioè che lo sviluppo economico contribuisce allo sviluppo delle università