Al Forum per i primi venti anni di euro, Mario Draghi ha aperto a nuovi interventi della Bce per sostenere l’economia europea. La Bce ha già salvato l’Europa una volta dall’implosione finanziaria. Ora però è tempo di scelte politiche condivise.

Flessibilità sul debito

Il presidente della Banca centrale europea lo aveva già dichiarato nel corso dell’ultima conferenza stampa: se le condizioni macroeconomiche dovessero peggiorare, non solo la Bce è pronta ad agire facendo ricorso a tutti gli strumenti di cui dispone, ma dovrà giocare un ruolo altrettanto fondamentale anche la politica fiscale. Un messaggio ribadito, in maniera ancora più eloquente, nel corso del Forum dedicato al bilancio dei primi venti anni di moneta unica conclusosi il 19 giugno a Sintra.

Significativo è il fatto che ad aprire i lavori del Forum sia stato invitato Olivier Blanchard, che ha riproposto la tesi per cui, nelle condizioni attuali, il costo sociale del debito pubblico è prossimo a zero. Non solo, quindi, è oggi auspicabile un atteggiamento più conciliante da parte dei controllori del rispetto delle regole europee sul debito, ma sarà inevitabile nel caso di un ulteriore rallentamento congiunturale, anche per il fatto che il contributo anti-ciclico della politica monetaria si è pressoché esaurito. Attendersi che siano le riforme strutturali ad avere un effetto anti-ciclico, ha detto Blanchard, è una presa in giro (“a joke”). E d’altra parte, ostinarsi nel rispetto delle regole sul debito in una prossima recessione non farebbe altro che riprodurre le ben note conseguenze pro-cicliche di aggravamento della crisi. Blanchard si è dunque posto in una posizione che sta a metà tra l’atteggiamento più severo di chi considera prioritario il rispetto delle regole sul debito (come ad esempio quello di Charles Wyplosz) e quello più permissivo della Modern Money Theory che, riprendendo Abba Lerner, prescrive una politica fiscale svincolata dai limiti al debito e unicamente funzionale agli obiettivi di crescita e stabilità dei prezzi. Secondo Blanchard, l’Europa dovrebbe ricorrere all’adozione di una forma di “golden rule” che rimuova dal computo del debito le categorie di spesa ritenute nell’interesse dell’Unione economica e monetaria (Uem). Compito che andrebbe affidato a un’istituzione europea con lo specifico mandato di definire cosa rientra nella golden rule e cosa no.

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L’urgenza di una riforma fiscale europea

A rincarare la dose ci ha pensato Peter Praet. Con espressioni più esplicite di quelle adoperate finché era membro del Consiglio direttivo della Bce, Praet ha definito “urgenti” le riforme dell’Uem che comprendono il completamento dell’unione bancaria, l’introduzione di un’attività finanziaria comune senza rischio e la creazione di uno strumento fiscale comune che agisca da stabilizzatore del ciclo. In questo confortato da Marcel Fratzscher, presidente del DIW , che ha criticato il pensiero che oggi sembra dominare l’atteggiamento di alcune capitali europee, in primo luogo Berlino, e cioè che nessuna fondamentale riforma europea sia indispensabile e che sia sufficiente che i paesi membri realizzino in pieno le proprie riforme nazionali. Si tratta, ha detto, di una “pericolosa illusione” che alimenta i populismi anti-europei.

L’eredità del presidente uscente

Prossimo alla conclusione del suo mandato, Mario Draghi ha voluto formulare un messaggio riassumibile nella seguente proposizione: la Bce ha fatto, ed è disposta a fare, tutto ciò che è possibile per realizzare il suo mandato, ricorrendo a tutti gli strumenti a disposizione, ma ora tocca alla politica. Il quadro economico europeo e globale che Draghi ha delineato, con evidente preoccupazione, è connotato da un elevato grado di incertezza, frutto del protezionismo, così come dell’affermarsi di atteggiamenti critici nei confronti delle istituzioni internazionali e del multilateralismo (il riferimento nient’affatto velato è alla Casa Bianca di Donald Trump). Ciò che di diverso ha affermato rispetto alla conferenza stampa del 6 giugno è che la Bce sarà pronta ad agire non soltanto nel caso di un peggioramento della situazione congiunturale, ma anche in assenza di miglioramenti significativi. Aprendo così a nuovi interventi su tassi, Qe e “forward guidance” nei mesi a venire. Tuttavia, ha ribadito ancora una volta, c’è un limite a ciò che la Bce può fare. E la stessa efficacia della politica monetaria è inevitabilmente ridotta negli effetti, e allungata nei tempi, dall’assenza di uno strumento fiscale europeo. Se è troppo aspettarsi una riforma fiscale europea in tempi brevi, il semplice annuncio, ha detto Draghi, della condivisione in Europa di un tale obiettivo potrebbe fare la differenza.

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A fine 2011, nel pieno della bufera finanziaria nell’area euro, su queste colonne si sosteneva la necessità di un cambio di regime nella politica della Bce che consentisse l’acquisto dei titoli pubblici, si ritenevano infondati i timori tedeschi di inflazione, miopi i richiami alla disciplina e non rimandabile un intervento che fermasse l’incontrollata divergenza dei tassi d’interesse.

Quasi otto anni più tardi, è tempo di sostenere la necessità di un cambio di regime nel governo fiscale dell’Unione economica e monetaria. Un’Unione ancora incompleta, che la Bce ha già salvato una volta dall’implosione finanziaria, ma che non per questo è stata messa in sicurezza. La differenza tra oggi e allora è che un nuovo “whatever it takes” (“la Bce farà tutto il necessario”) non è più competenza esclusiva della Bce, ma dovrà scaturire dalle scelte politiche dei paesi che condividono il comune destino europeo.

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