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Quello scippo all’Inps passato sotto silenzio

Con il “decreto crescita” i “comunicatori professionali” sono passati dall’Inps all’Inpgi, la cassa dei giornalisti. Il risultato è un aumento del deficit del sistema previdenziale pubblico, senza risolvere i problemi dell’Inpgi, mal gestito da anni.

Lo scippo dei comunicatori

Lo scippo paventato in più occasioni si è consumato nel “decreto crescita”. I cosiddetti “comunicatori professionali” sono passati dall’Inps all’Inpgi, la cassa dei giornalisti che versa in pessime condizioni finanziarie. Il risultato è quello di aumentare il deficit del sistema previdenziale pubblico e di allontanare la risoluzione degli stessi problemi dell’Inpgi, che non può che passare attraverso un drastico ridimensionamento delle pensioni in liquidazione.

Il cosiddetto “decreto crescita”, convertito in legge nel luglio 2019, contiene molti provvedimenti che non hanno nulla, ma proprio nulla, a che vedere con la crescita. Tra questi una norma che non doveva passare inosservata, anche perché interessa direttamente chi fa informazione, la categoria dei giornalisti, ma di cui nessuno ha parlato. Il silenzio più fragoroso, però, è quello dell’Inps, principale vittima dell’operazione, perché perderà almeno 17 mila contribuenti, creando un pericoloso precedente e allontanando il risanamento di una cassa che rischia di venire trasferita all’ente previdenziale pubblico solo dopo che avrà accumulato ingenti debiti. Non era la prima volta che il provvedimento veniva presentato ai vertici dell’Inps, che in passato avevano espresso la loro ferma contrarietà. E certo l’Inps non era all’oscuro dell’operazione, tant’è che una relazione tecnica è stata chiesta ai suoi uffici e l’Istituto ha pure istruito la discussione parlamentare del provvedimento. Ma non ha voluto far sentire la sua voce a tutela di chi versa i contributi all’Inps.

L’articolo 16-quinquies del decreto crescita prevede che nel giro di 18 mesi si allarghi la platea dei contribuenti Inpgi. Anche se il testo non li menziona direttamente, le bozze iniziali e le relazioni tecniche ponevano sull’altare sacrificale i cosiddetti “comunicatori professionali” (portavoce, addetti alle pubbliche relazioni e così via) delle imprese pubbliche e private. Si tratterebbe di 17 mila persone, di cui 9 mila dipendenti privati, 5 mila pubblici e 3 mila lavoratori autonomi, con retribuzioni medie di circa 25 mila euro. Potrebbero però essere di più perché la legge fa riferimento a un ammanco per le casse dell’Inps di circa 200 milioni (che verrà messo a carico di tutti coloro che pagano le tasse). Non ci risulta che i diretti interessati abbiano avuto la possibilità di esprimersi. Peccato, perché si dovranno caricare sulle spalle le pensioni dei giornalisti, molto più ricche di quelle cui loro stessi potranno mai aspirare (una pensione Inpgi su tre oggi vale più di 5 mila euro) per un costo di 570 milioni all’anno.

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La fragilità delle casse private

Al di là dell’entità dell’ammanco per le casse dell’Inps, comunque non irrisorio, è grave il principio secondo cui, quando una cassa privata è in difficoltà, la si aiuta sottraendo forzatamente contribuenti alle pensioni pubbliche per trasferirli alle casse private. È un precedente molto pericoloso. Come se il sistema pubblico non avesse già un serio problema di peggioramento del rapporto tra contribuenti e pensionati. E come se bastasse il regalo fatto all’Inpgi per salvare una cassa mal gestita, che per anni ha concesso trattamenti troppo generosi, basati sul metodo retributivo, ai giornalisti che vanno in pensione e che non ha avuto la capacità di intervenire sulle pensioni in essere neanche di fronte alla grave crisi del settore, che ha fatto precipitare il numero di nuovi contribuenti ben oltre gli effetti del calo demografico.

Chi ha a cuore la sostenibilità del nostro sistema pensionistico, dovrebbe in primo luogo chiedere – e ottenere – l’impegno delle casse in difficoltà a tagliare i trattamenti in pagamento che non riflettono i contributi versati. Solo dopo, si dovrebbe discutere un possibile percorso di ingresso nell’Inps, comunque prima che queste casse brucino interamente il loro patrimonio.

C’è una fragilità strutturale nel sistema delle casse: comportano un’eccessiva concentrazione del rischio perché riguardano professioni molto specifiche. Il caso dei giornalisti è emblematico. Se il settore, la professione va in crisi, la cassa diventa non più sostenibile perché si riducono i contribuenti, quelli che pagano le pensioni a chi si è ritirato dalla vita attiva. Il vantaggio di portare un sistema a ripartizione (dove gli attuali contribuenti pagano le pensioni agli attuali pensionati) all’Inps risiede proprio nel permettere una maggiore condivisione del rischio. Per un settore, una professione, che va male, ce ne sarà un’altra che va bene e che sarà in grado di compensare la prima in caso di difficoltà.

Sarebbe perciò opportuno che i bilanci tecnici-attuariali delle casse, redatti secondo ipotesi standardizzate (quelle che si usano nel Documento di economia e finanza oppure le ipotesi Eurostat, comprese quelle sulla crescita del Pil e della popolazione, che dipende a sua volta dalle ipotesi su nascite, morte e immigrazione), venissero inviati a un organismo tecnico, indipendente, in grado di valutare quello che è il principale strumento di controllo del loro equilibrio. Ad esempio, si potrebbe affidare il compito alla Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) che già oggi offre una supervisione alla gestione dei patrimoni delle casse e che ha, al suo interno, le competenze per valutare, senza condizionamenti politici, i rischi insiti nel procrastinare decisioni difficili, mentre intanto le casse in difficoltà erodono progressivamente i loro patrimoni. Non deve più avvenire, come accaduto quasi sempre in passato, che una gestione pensionistica entri nell’Inps solo dopo aver bruciato interamente il proprio patrimonio e aver accumulato un debito esplicito e implicito molto alto in rapporto al numero di contribuenti. A quel punto, il passaggio all’Inps comporta un ingente trasferimento di risorse dai contribuenti Inps ai liberi professionisti, che hanno mediamente redditi molto più elevati di quelli del contribuente medio Inps.

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Così come l’Inps è diventato a tutti gli effetti un ente pubblico con il passaggio, nel 1919, alla contribuzione obbligatoria, le casse che oggi beneficiano di un regime di contribuzione obbligatoria sono, di fatto, enti di rilevo pubblico, che devono perciò avere gli stessi doveri di trasparenza e pubblicità dell’Inps. Poiché le loro prestazioni sono sostitutive di quelle dell’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), pongono in essere diritti soggettivi che possono essere fatti valere davanti a un giudice. Quindi l’Inps e, più in generale, lo stato italiano sono gli ultimi garanti delle promesse fatte dalle casse. Per queste ragioni non possono disinteressarsi di come sono gestite e di quale strada stanno percorrendo. È fondamentale che ci si assicuri ora – e non fra due, cinque o dieci anni – che siano su un sentiero di sostenibilità, pena il loro commissariamento. La strada imboccata per affrontare i problemi dell’Inpgi va esattamente nella direzione opposta.

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14 commenti

  1. Michele

    Non basta. Tutto il sistema delle casse cosi dette private dovrebbe essere eliminato e assorbito nell’inps: ne deriverebbero grandi risparmi di costi, maggiore trasparenza, minori rischi di malversazioni. L’aliquota contributiva dovrebbe essere unica. I meccanismi di calcolo unificati. Il tutto per adeguarsi a una economia dove la flessibilità e le carriere intermittenti sono sempre più la cifra del mercato del lavoro.

  2. Ugo

    Da come procedono i deficit INPS di anno in anno, credo che entro 20 anni l’accorpamento delle casse private (in testa la “ricca” Enpam) all’INPS sarà una necessità.
    Lei come la vede? Grazie (anche per il Suo lavoro pregresso all’INPS).

  3. Ugo Di Nisio

    Dottor Boeri, ritiene probabile che entro una ventina d’anni le casse private (in primis la “ricca” Enpam) vengano forzatamente fatte confluire nell’INPS, visti gli attesi, crescenti deficit dell’Ente?
    La ringrazio per la risposta (e per il suo pregresso lavoro all’INPS).

  4. ANTONIO B.

    Non capisco come mai nell’articolo non si parli della responsabilità della gestione in capo ai dirigenti dell’INPGI. Qualcuno dovrà pur pagare per i danni fatti, o no?

  5. Filippo Cartiglia

    Grazie Boeri per il bell’articolo. Non capisco pero’ la sorpresa per il fatto che la situazione INPGI non sia oggetto di scrutinio da parte della stampa. Azzardo la previsione che prima o poi la soluzione agli ammanchi dell’INPGI non sara’ “il drastico ridimensionamento delle pensioni” ma l’addossare il deficit e le pensioni troppo alte al contribuente. I giornalisti non hanno nessun interesse ad attirare l’attenzione su questa questione..

  6. Gianfranco Fabi

    Tito Boeri ha, come sempre, molte ragioni. Mi sorprende che non giudichi velleitaria l’ipotesi del passaggio dei “comunicatori” ( una figura che non ha alcuna identità giuridica) all’Inpgi. Sul resto l’unica soluzione è mettere in liquidazione l’Inpgi, ricacolcolare tutte le pensioni con i parametri attuali Inps e pagare con il residuo patrimonio il biglietto di ingresso all’Inps. Noi giornalisti dovremmo essere i primi a capire che il mondo è cambiato e che la crisi dell’editoria è irreversibile è strutturale.

  7. Fabrizio

    Il professor Boeri solleva un tema rilevante, non solo per l’Inpgi. Tuttavia, va precisato che – contrariamente a quanto si evince dall’articolo – il “furto” dei comunicatori, che passerebbero dall’Inps all’Inpgi, non si è consumato e resta al momento una possibilità. Non si tratta di una vicenda “passata sotto silenzio”. Il Sole 24 Ore ne ha scritto regolarmente. Tutti i blog di settore hanno ampiamente seguito il dibattito (e ancora lo fanno). Boeri stesso ne ha persino parlato in Tv, da Fazio, ben prima del decreto crescita, quando ancora presiedeva l’Inps.
    Ciò detto, le pensioni dei giornalisti sono certamente elevate, in molti casi “molto elevate”, come per altro elevate sono (e soprattutto, sono state) le retribuzioni della categoria.
    Il professor Boeri afferma che un terzo dei trattamenti supera i 5mila euro (netti? lordi? per 13 mesi o per 14?). I numeri dicono che l’Inpgi, su un totale di 9310 trattamenti, paga 431 pensioni superiori a 110mila euro lordi/anno, di cui 20 superiori a 200mila euro anni; gli assegni superiori a 75mila euro annui sono il 26% del totale. Il costo complessivo delle sole prestazioni Ivs è stato nel 2018 di circa 530 milioni di euro, con una media di 57mila euro per pensione. I contributi sono stati pari a 366 milioni, con un evidente e preoccupante squilibrio.
    Tuttavia, come Boeri sa benissimo, il punto non è l’importo della pensione (a meno che il professore non consideri di per sé ingiusto e iniquo percepire pensioni/stipendi elevati) ma piuttosto sapere se quelle pensioni così elevate siano o non siamo interamente coperte dai contributi versati. Nel caso dell’Inps, a esempio, sono spesso le pensione più basse a ricevere il “regalo” più consistente.
    Anzi, visto che il professor Boeri sembra conoscere molto bene questi dati, sarebbe interessante sapere da lui quante sono le pensioni dei giornalisti che restituiscono importi superiori ai contributi versati (e di quanto, naturalmente).
    Poi si può obiettare che se una Cassa è in crisi – e l’Inpgi lo è – anche i pensionati, specie i più ricchi, debbano essere chiamati a sopportare sacrifici (l’Inpgi già applica un contributo di solidarietà…). Ma questo è un altro discorso.

  8. Leo

    Gentile Prof. Tito Boeri,
    grazie per l’articolo.
    L’INPS in passato ha già messo in salvo (con i soldi di tutti i lavoratori) le pensioni dei Dirigenti!
    Spero che voglia proseguire in questa battaglia affinché simili scempi non si ripetano più.
    Per quanto mi riguarda gli enti previdenziali privati possono fare quello che vogliono ma, se poi salta il banco, ai pensionati aderenti deve spettare solo l’assegno sociale, ammesso che ne abbiano diritto; a queste condizioni, credo che i vari enti previdenziali privati metterebbero in atto immediatamente tutte le misure necessarie.

  9. Giuseppe GB Cattaneo

    Vero, tutto vero. Chi pagherà le pensioni ai giornalisti se non ci sono più giornali?

  10. toninoc

    Com è possibile che una notizia così importante per milioni di pensionati INPS non sia passata per le tv pubbliche? I tagli delle perequazioni biennali non bastano? Vorrei sentire cosa ne pensano le opposizioni in parlamento e sopratutto i pensionati inps che hanno votato Lega e 5Stelle.

    • Valerio

      I giornalisti Rai non ci dicono che i giornalisti hanno ottenuto un beneficio previdenziale negato agli altri contribuenti, ma che, comunque, dovranno pagare? Comportamento strano.

  11. Buongiorno Boeri. Da storico free-lance iscritto all’ODG per 35 anni sono riuscito a farmi cancellare da una gilda polverosa e giurassica che solo Bersani (fiancheggiato un po’ da Monti) cercò di sventolare altrove.
    Felice che scriva delle incompetenze e nefandezze dell’ordine dei giornalisti ma sono decadi che non sapendo gestire l’invidiabile (economicamente) cassa-pensioni dei giornalisti rubano altrove, ai contribuenti. Ovunque.
    Il cuore del problema è negli ordini ma soprattutto in quello poco etico dei giornalisti.
    grazie e buon lavoro
    andrea battaglini

  12. Maria Rosaria Di Pietrantonio

    Gentile Dott. Boeri,
    Qualcosa di analogo è accaduta pure a noi titolari di parafarmacia, nel 2008 quando una semplice letterina di un direttore generale INPS di allora,Ziccheddu Luigi, sentenziò che “chi vende anche 1 solo farmaco deve pagare obbligatoriamente Enpaf e non INPS”
    Quindi 4,000 farmacisti si sono visti bloccare a quel punto i contributi INPS con grave danno per le nostre pensioni, oltre che un danno anche per INPS a cui non abbiamo più potuto versare i nostri contribut. per versali solo a Enpaf.
    Esiste un sito NOENPAF da cui si può capire quanti problemi abbiamo con questa cassa, tipo costrizioni a pagare rate annuali se si rimane disoccupati per più di 5 volte, 4,500 euro,iscrizioni da 150 euro a fondo perduto per i dipendenti che lavorano hanno INPS ,e versamento di 5,000 euro a fondo perduto per i pensionati che ancora lavorano nelle proprie attivita,dalla pensione fino ai 70 anni,ma riduzione da questo anno a 2500 euro ma non per i Cumulandi o chi ha scelto la Totalizzazione, cancellazione senza motivi degli anni di laurea già riscattati,se si deve rimanere in salute a questo modo come Cassa,non sarebbe meglio evitare al professionista quali i farmacisti non titolari di essere iscritti a una cosi onerosa Cassa?
    Non sarebbe meglio la possibilità di scelta?Le casse servono?
    A noi no, ne faremmo volentieri a meno

  13. Barbara

    Caro Boeri una volta quando ti tenevano in un giornale a scrivere dopo un po’ se non ti assumevano potevi andare dal giudice. Si chiamava sfruttamento. Da anni non è piu così è lo è nei piccoli come nei grandi gruppi editoriali. Conosco corrispondenti da Bruxelles per grandi agenzie di stampa con partita Iva. Da vent’anni l’idea era indebolire il lavoratore. Ci sono riusciti con la complicità di editori e direttori di giornale. Ecco perché l’Inpgi è in crisi. Non solo. Così come accade in altri settori la sproporzione tra stipendi di vertici amministrativi e giornalistici e redattori è altissima.

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