Più volte il governo ha annunciato di voler revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia. Intanto, con una decisione dell’Autorità dei trasporti è stato modificato il metodo di determinazione dei pedaggi. Ma il contenzioso sarà lungo e incerto.
Una situazione complicata
Il proposito variamente annunciato di revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi) e la decisione di modificare il metodo di determinazione dei pedaggi autostradali – già sostanzialmente decisa per via indiretta tramite l’intervento dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) e adesso solo da perfezionare con il decreto del governo – creano una situazione molto complicata. Tanto per Aspi e le società che le stanno a monte – Atlantia, Sintonia ed Edizione Holding, fino agli azionisti di maggioranza (la famiglia Benetton) – quanto per il governo stesso.
Il primo aspetto è perfino ovvio: la revoca priverebbe Aspi dell’oggetto sociale e il cambiamento nel metodo di tariffazione ne comprimerebbe i profitti. È dunque facile prevedere una resistenza strenua, con il dispiegamento di risorse professionali difensive ingenti e di prim’ordine. Ma anche per il governo le due decisioni – soprattutto la prima, se effettivamente presa – comportano rischi notevoli, soprattutto nel medio-lungo termine. Il contenzioso che ne discenderà sarà presumibilmente lungo, perché tocca aspetti di diritto penale, civile, amministrativo e forse anche costituzionale. Ma sarà pure incerto, con la prospettiva che lo stato debba sobbarcarsi spese giudiziarie, e magari risarcimenti, consistenti.
La revoca della concessione
La revoca è stata annunciata dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti subito dopo il crollo del viadotto Morandi e ripresa da altri ministri, soprattutto del Movimento 5 stelle, prima di qualsiasi accertamento di responsabilità, sulla semplice base dell’esistenza del viadotto su una tratta autostradale gestita da Aspi. Si è talora alluso alla possibilità che potessero esservi state carenze (gravi) di manutenzione rispetto al viadotto e forse più in generale. Da questo, si è poi tratta una conclusione di definitiva compromissione del rapporto di fiducia, tra concedente e concessionario, che sta alla base della concessione.
Su questo aspetto getta luce, almeno per alcuni elementi, un parere legale appena reso pubblico, redatto da un apposito gruppo di lavoro nominato dal ministero delle Infrastrutture.
Nel parere si sostiene che la strada della revoca risulta percorribile, ma con prudenza, sia per quanto riguarda l’accertamento delle responsabilità, sia sulla determinazione dei danni e dei risarcimenti. A favore della percorribilità della procedura di revoca si portano argomenti giuridici che potrebbero trovare favore in sede giudiziaria, in particolare per quanto riguarda lo sbilanciamento della concessione a vantaggio del concessionario e a svantaggio del concedente. Per completezza di informazione, va detto che il gruppo di lavoro che ha redatto il parere comprende, in posizione di presidente, un consigliere di stato, con una discutibile connessione soggettiva tra organismo di consulenza e organismo potenzialmente giudicante.
Nel merito dell’accertamento delle responsabilità per il momento non si può dire nulla. Non è così sulla questione dei possibili risarcimenti. Il parere esamina infatti per esteso quanto previsto nella convenzione Mit-Aspi: sia nel caso di revoca unilaterale, sia nel caso di inadempienza del concessionario, a quest’ultimo deve essere riconosciuto un risarcimento pari al valore attuale di previsione dei ricavi futuri da pedaggio per il residuo periodo di durata della concessione, ossia fino al 2038.
L’equiparazione di queste due situazioni, che implicano responsabilità molto diverse, appare certamente singolare ed esposta a contestazione in sede giudiziaria. Tuttavia, se in tale sede si dovesse giungere all’abbattimento delle clausole rilevanti, quali conseguenze ne potrebbero derivare? Al netto dei danni che Aspi dovrà risarcire alle persone e alle cose (tra l’altro, in parte significativa, già pagati), alla società dovrà comunque essere riconosciuto un valore che tenga conto della valutazione di borsa o della profittabilità. In sostanza, può darsi che il risarcimento possa essere alla fine inferiore a quello previsto dalla convenzione, ma data la consistenza e la profittabilità di Aspi in ogni caso non potrà che essere ingente. E si porrà, inoltre, la questione dei danni dovuti all’invio imprudente di segnali preoccupanti per il mercato.
La modifica del metodo di tariffazione
La modifica del metodo di tariffazione è stata decisa dal cosiddetto “decreto Genova” (decreto legge 28 settembre 2018, n. 109 e successive conversioni e modificazioni). Si sono fatte rientrare nell’ambito di pertinenza della regolazione dell’Autorità dei trasporti anche le società già concessionarie, mentre una legge del 2011 stabiliva che il nuovo regime si potessero applicare solo alle nuove concessioni. Fino all’entrata in vigore del “decreto Genova”, si riconoscevano al concessionario aumenti annuali di pedaggio pari al 70% dell’inflazione. Ora invece, dopo le delibere dell’Autorità, gli aumenti saranno determinati con ricorso al metodo del price cap, ossia di un metodo che determina gli aumenti dei pedaggi in relazione, nell’essenziale, alle possibilità di efficientamento della gestione, andamento del traffico e al costo del capitale.
Il cambiamento è in linea con gli orientamenti prevalenti nella pratica regolatoria internazionale, ma è tale che, se effettuato in precedenza, avrebbe dato luogo ad aumenti più contenuti, così come ci si deve aspettare che faccia in futuro – in questo caso, con compressione dei margini di profitto (peraltro, con l’avvertenza che, almeno in alcuni aspetti, la delibera dell’Art potrebbe essere troppo punitiva). Ed è perciò facile pensare che a dettare la scelta del 2011 del legislatore fosse stata la remora a intervenire su una clausola stabilita nella convenzione, ossia per un accordo tra le parti. Difatti, nella reazione al documento di consultazione dell’Autorità, Aspi ha preso le mosse proprio dalla massima secondo la quale i patti devono essere rispettati.
Alla fine, in virtù di quest’ultima considerazione, può darsi che il corso del nuovo sistema tariffario sia legato all’esito, positivo o negativo, della procedura di revoca della concessione. Revocata la concessione, infatti, si libererebbe il terreno da ogni condizionamento del passato; senza la revoca, l’attuale sistema potrebbe probabilmente continuare a vivere.
Come finirà?
Perché dunque il governo ha espresso pubblicamente e reiteratamente, in condizioni di sostanziale ignoranza, un orientamento a revocare la concessione? Oggi, nell’arena politica, tendono a dominare le considerazioni di breve termine e gli annunci servono a mostrare capacità di reazione oltreché a richiamare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Le conseguenze arriveranno più tardi, magari in circostanze politiche e di sentire collettivo molto mutate. D’altra parte, maggioranze e governi sono instabili (specialmente in Italia) e chi è in carica può cercare di assicurare alle proprie decisioni condizioni che ne favoriscano la durata nel tempo. Nella drammatica vicenda del crollo del ponte Morandi, poi, è facile intuire come Aspi apparisse il capitalista forte su cui convogliare il risentimento popolare, indipendentemente dal costo futuro per la collettività.
Rimane comunque aperta la questione, a dir poco spinosa, dell’eventuale subentro, con la ventilata pretesa di continuità della gestione Aspi fino all’individuazione di una alternativa. Due sono le possibilità: una, meno probabile, è un assorbimento completo da parte di una unica impresa che operi in Europa (forse la francese Vinci? Forse l’Anas?). L’altra ipotesi è lo spezzettamento tra molti operatori italiani: una soluzione molto dubbia sul piano dell’efficienza dimensionale e gestionale.
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Savino
Sul ponte Morandi si continua a parlare solo delle inadempienze del concessionario e si trascura il ruolo decisivo di autorità competenti dello stesso Mit, dei Provveditorati e dell’ex Genio Civile per le opere pubbliche. Oltre ad Atlantia, si comincino ad evidenziare anche le responsabilità di dirigenti e funzionari pubblici che si sono volutamente girati dall’altra parte e che, a breve, collauderanno anche il nuovo ponte, magari.
Cyrano
E chissà perché, per cosa o per chi si giravano dall’altra parte? Per chi? Sorridere e scherzare ancora. Per chi ? cantavano i Gens.