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Tagliare l’Irpef costa tanto

Non c’è solo la flat tax della Lega. Anche il M5s vorrebbe riformare l’Irpef, portando a tre le aliquote. Se i vantaggi sono certi per gli autonomi, per i dipendenti a reddito medio-basso tutto dipende dal mantenimento o meno del bonus Renzi.

L’idea della Lega

Dopo aver evitato (per ora?) la procedura di infrazione da parte della Commissione europea, i partiti di governo sono tornati sul tema della riduzione delle imposte, in particolare dell’Irpef. La Lega insiste per un secondo modulo di “flat tax”, dopo che il primo ha riguardato gli autonomi fino a 65mila euro di fatturato.

Sembra regnare la confusione più totale: ogni giorno c’è una nuova ipotesi che, malgrado il nome, mai si riferisce ad una vera e propria flat tax. In generale, si continua purtroppo a ragionare su idee vaghe e slogan, mentre un approccio serio richiederebbe proposte ben più precise e dettagliate.

All’incontro di ieri con le parti sociali la Lega è tornata a una proposta di qualche mese fa, cioè un’aliquota del 15 per cento per tutte le famiglie con reddito fino a 55 mila euro, forse con base imponibile familiare, mentre ora ogni contribuente paga l’Irpef sul proprio reddito. Non è chiaro cosa cambierà per le famiglie sopra i 55 mila euro. Abbiamo già commentato questa ipotesi lo scorso marzo. Riassumendo: ne trarrebbero vantaggio soprattutto le famiglie monoreddito, mentre per quelle con due redditi cambierebbe poco o nulla rispetto a ora. La presenza di una soglia a 55 mila euro spingerebbe i contribuenti a non superarla per non pagare molto di più, incentivando a evadere o a lavorare di meno, soprattutto le donne. L’ex sottosegretario Siri ha dichiarato che intendono “restituire” circa 12 miliardi di euro a 20 milioni di famiglie, ovvero 600 euro per ogni famiglia in media, ma con forti squilibri a favore dei nuclei con un solo reddito. Sparirebbero tutte le attuali detrazioni (per tipo di reddito, spese sanitarie (che da sole valgono 3 miliardi), istruzione (750 milioni) ristrutturazioni (8 miliardi), affitto (450 milioni), ecc.), sostituite da una deduzione ancora vaga ma pare dipendente dal numero dei componenti.

Nei giorni precedenti invece diversi esponenti della Lega erano tornati sulla possibilità di un’aliquota “flat” del 15 per cento sugli incrementi di reddito dichiarato rispetto all’anno precedente. Discutiamo brevemente questa ipotesi, per poi passare alla proposta con 3 aliquote del Movimento 5 stelle, che forse può dare qualche spunto per capire come si vuole modificare l’Irpef, almeno come eventuale tappa intermedia verso la flat tax.

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L’idea di tassare al 15 per cento i soli incrementi di reddito rispetto all’anno precedente ha un immediato fascino, perché sembra incentivare l’emersione dal nero e la produzione di più reddito, ma ha molti problemi:

  • favorisce i redditi alti: se un reddito di 80 mila euro aumenta di mille euro, il risparmio di imposta su questo incremento rispetto alle regole attuali è di 280 euro (430-150); se un reddito di 20 mila euro aumenta di mille, il risparmio di imposta vale 120 euro (270-150). Si noti che questo prelievo sugli incrementi di reddito è del tutto proporzionale, non ha una deduzione come la quasi flat tax del contratto di governo;
  • viola l’equità orizzontale: due contribuenti con uguale reddito annuale possono pagare imposte diverse se uno dei due ha dichiarato meno dell’altro l’anno precedente. La capacità contributiva non sarebbe più misurata dal reddito annuo;
  • è iniqua tra categorie di reddito: i dipendenti e i pensionati hanno in genere variazioni molto piccole di reddito da un anno all’altro e sarebbero poco interessati da questa opportunità, che gli indipendenti potrebbero invece sfruttare di più, anche pianificando nel tempo la distribuzione del reddito dichiarato.

Vedremo cosa sarà di questa proposta.

La proposta del M5s

A medio termine, forse qualche indicazione più precisa su quello che ci aspetta può provenire dalla proposta dei Cinquestelle. Prima delle elezioni del 2018 suggerirono uno schema a tre aliquote, un modello in parte recentemente avallato dallo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria. Non sarebbe certo la flat tax, quanto (forse) una tappa di avvicinamento verso l’aliquota unica. Anche dell’Irpef pentastellata si sa poco: prima aliquota 23 per cento fino a 28 mila euro, 37 per cento da 28 mila a 100 mila, 42 per cento oltre. La no tax area salirebbe a 10 mila euro per tutti. Le famiglie con figli potrebbero essere esentate fino a 26 mila euro di reddito, ma non si hanno dettagli. Una nuova Irpef con queste caratteristiche favorirebbe davvero le classi medie? E di quanto?

La tabella 1 presenta, per un lavoratore dipendente senza figli (così evitiamo l’incertezza sulla nuova detrazione per figli), l’Irpef pagata oggi e quanto si dovrebbe pagare con la nuova Irpef. Ne proponiamo due versioni: con e senza il bonus Renzi. Se il bonus viene eliminato, il carico fiscale per chi ha un reddito tra 10 mila e 20 mila euro annui aumenterebbe con la nuova Irpef, mentre si ridurrebbe, con vantaggi crescenti al crescere del reddito, per redditi superiori. Viceversa, conservando il bonus tutti guadagnerebbero, come evidenzia anche un recente studio della Uil. In quest’ultimo caso, secondo le nostre simulazioni, il guadagno sarebbe tra i 500 e i 1.000 euro annui per gran parte dei dipendenti, e salirebbe in modo significativo solo oltre i 70 mila euro, arrivando a più di 3 mila euro per chi ne guadagna 100 mila. Se però il bonus Renzi fosse eliminato, la riforma non solo annullerebbe lo sgravio sui redditi medio-bassi, ma farebbe salire, per questi ultimi, l’imposta. Per evitare di aumentare l’onere sui redditi bassi bisognerebbe conservare il bonus, al costo però di circa 9 miliardi in più.

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Se per i dipendenti a reddito medio-basso l’impatto della riforma dipende in modo decisivo dal bonus, per gli autonomi il guadagno dovrebbe essere invece assicurato, perché oggi la loro no tax area è molto inferiore a 10 mila euro (4.800 euro) e non godono del bonus. Per molti di loro comunque potrebbe rimanere più conveniente restare nel regime dei minimi, che da quest’anno applica fino a 65 mila euro di fatturato l’aliquota del 15 per cento sul reddito calcolato in modo forfettario. Dal 2020 la soglia di reddito aumenterà a 100.000 euro.

Quanto costerebbe questa riforma? Qui sta il vero problema: la proposta dei 5 stelle si estende infatti anche ai redditi alti e genera una perdita di gettito non indifferente: se si conserva il bonus, il costo si potrebbe avvicinare a 23 miliardi all’anno. Si potrebbe scendere a circa 14 all’anno eliminando il bonus, peggiorando però la condizione dei dipendenti a basso reddito. Chiaramente l’unica proposta politicamente accettabile è quella che implica un esborso di 23 miliardi, che sommandosi alle risorse che devono essere trovate per non far scattare le clausole di salvaguardia Iva avvicinano il fabbisogno per il 2020 a circa 50 miliardi.

Esistono molte vie per ridurre l’Irpef senza mettere in crisi i conti dello Stato. Ridurre di qualche punto la terza aliquota, ad esempio, costerebbe pochi miliardi.

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  1. Savino

    1) Il tema dell’evasione non viene nemmeno citato in queste proposte; 2) Il concetto di ceto medio è troppo esteso, toccando situazioni di pieno agio; 3) i lavoratori dipendenti e pensionati non possono essere equiparati ai liberi professionisti; 4) tra le partite IVA, bisogna effettuare una ulteriore distinzione tra le agiate professioni tradizionali e quelle contemporanee 5) non sono citate le disuguaglianze generazionali; 6) non si vede traccia concreta di una mano per carichi di famiglia, soprattutto per le famiglie giovani; 7) Se l’IVA aumenta fino ad aliquote al 25,5 – 26,5% è tutto vanificato perchè è tutto a carico del cittadino-consumatore; 8) con l’eliminazione di detrazioni, deduzioni e dello stesso bonus di 80 euro è tutto vanificato 9) se le redini dell’economia non vanno a finire in mano ai giovani, i consumi non si riprenderanno mai.

    • Massimo Baldini

      Grazie, tutte osservazioni molto interessanti, ma l’articolo è già troppo lungo per le regole del sito… I commenti sono utili anche per approfondire.

  2. Steve Fuckiny

    Finalmente viene evidenziata l’impraticabilita’ politica dell’eventuale eliminazione del bonus Renzi/Gutgeld. Tradotto in soldoni: dato che in Italia gli stipendi dei dipendenti (pubblici e privati) sono mediamente bassi ed i percettori del suddetto bonus parecchi milioni di lavoratori-contribuenti, qualunque partito o governo che intendesse eliminarlo senza i dovuti contrappesi andrebbe incontro ad una sicura emorragia di voti e consensi. A buon intenditor…..

  3. Adele

    Io non ho capito. Individualmente io pago sono all’aliquota del 27%; il mio compagno a quella del 38%. Con la flat tax i nostri redditi si sommerebbero e andremmo a pagare l’aliquota del 38%. quindi perderemmo circa 6.500€ all’anno, in quanto anche il mio reddito sarebbe tassato al 38%. Inoltre io perderei gli 80 euro di bonus irpef. Ho capito male io oppure finirebbe veramente per costarci così tanto? Anche come figli a carico ne abbiamo uno, ma superando i 55.000 di poco finiremmo per non avere alcun tipo di agevolazione, mentre continueremmo a pagare il nido privato, mutuo, spese sanitarie.
    Grazie

    • Massimo Baldini

      Siri ha detto che resterebbe la possibilità di continuare a calcolare l’Irpef con le regole attuali se più convenienti. Certo si introdurrebbero soglie sotto alle quali sarebbe molto conveniente rimanere, con effetti su incentivi a lavorare e a dichiarare reddito.

  4. Carlo

    La proposta della Lega di fare un “falò” di tutte le detrazioni e deduzioni e fare un’unica aliquota è interessante perché disbosca la “giungla” formata da tutte le norme che si sono accumulate negli ultimi trent’anni per cui si hanno situazioni paradossali come le seguenti:
    1) aumento del 40% dell’aliquota fra secondo e terzo scaglione;
    2) la moglie od il figlio di un imprenditore che prende, ad esempio, 40 mila euro di dividendi o interessi risulta a carico;
    3) se speculo sui btp o titoli turchi pago il 12,5%, se faccio il conto deposito della mia banca pago il 26%;
    4) se prendo 10 giorni di aspettativa ho 355 giorni di detrazioni di lavoro dipendente; se io lavoro part time al lunedì per una ditta ed al venerdì per un’altra, ho due Cu ciascuna di 365 giorni per un totale di ben 730 giornate annue quindi ho più detrazioni rispetto al primo caso ma ho lavorato molti meno giorni e quindi sostenuto meno costi;
    5) nelle spese di ristrutturazione e risparmio energetico io cittadino comune devo presentare al fisco le fatture, i bonifici ed altre carte mentre il cittadino condomino basta che presenti una certificazione dell’amministratore;
    6) per decidere chi deve scaricare le spese dei figli o i bonifici basta scrivere un appunto a penna sul documento e ciò può favorire la pianificazione fiscale dei ricchi o degli evasori.

  5. Adele

    Personalmente, oltre a perdere gli 80 euro e le detrazioni da lavoro dipendente, quindi nel mio caso 200€ al mese, con il cumulo dei due redditi passo dal 27 al 38%. Se poi aumentano l’Iva… altre uscite. Niente più detrazioni nè deduzioni, quindi perderei quelle per mutuo e bonus mobili. Ma soprattutto tornerà l’evasione, niente più fattura dal dentista ad esempio. Infine, meno entrate per lo Stato significherà meno servizi: sanità (pensiamo agli screening gratuiti); scuola (se già oggi è un terno all’otto entrare in un nido comunale figuriamoci dopo); servizi sociali. Vorrei che tutti pagassimo le tasse e che così lo Stato possa dare più servizi. Perchè non si possono aumentare il numero delle attuali aliquote, abbassando magari la prima dal 23% al 15%, e nel contempo riordinare la giunga di detrazioni e deduzioni? Attualmente tra 15.001 euro e 28.000 euro sei al 27%; tra 28.001 euro e 55.000 euro sei al 38%; tra i 55.001 euro a 75.000 euro al 41%; sopra al 43%. Hai un balzo dal 27% al 38% e poi altre due aliquote nello spazio di soli 5 punti percentuali. Mi sembra che nessuno prenda in considerazione questo tipo di intervento e mi domando il motivo.

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