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Se la lotta alla plastica è folklore ambientalista*

La direttiva europea 2019/904 mette al bando alcuni oggetti di plastica monouso. È apprezzabile, ma sembra un provvedimento preso sull’onda delle emozioni più che basato sui dati. La plastica è infatti lo 0,7 per cento dei rifiuti prodotti in Europa.

La direttiva contro la plastica

Il Parlamento europeo ha di recente approvato la direttiva 2019/904 sulla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. La riforma contiene, tra l’altro, il bando di alcuni oggetti di plastica monouso: posate e piatti di plastica, cannucce, bastoncini cotonati, sacchetti di plastica osso-degradabili e contenitori per alimenti in polistirolo espanso.

La decisione ha avuto molto risalto sui mezzi di comunicazione, mentre sono passate sotto silenzio altre disposizioni importanti della stessa direttiva, per esempio sui target di raccolta e riciclo delle bottiglie di plastica.

La risonanza ottenuta dal provvedimento si deve probabilmente a quello che molti definiscono “folklore ambientalista”: si tratta di una sorta di distorsione cognitiva per cui molti dei nostri comportamenti sono guidati da false percezioni su ciò che è bene o male per l’ambiente.

Siamo però davvero sicuri di sapere cosa sia sostenibile e cosa no? Per esempio, quando in un negozio ci chiedono se preferiamo un sacchetto di carta o di plastica, siamo istintivamente orientati a scegliere la carta, perché, più o meno inconsapevolmente, associamo la plastica a immagini di tartarughe marine imprigionate nei sacchetti. Ma è veramente possibile definire un materiale amico o nemico dell’ambiente? Non dovremmo invece considerare il ciclo di vita di un prodotto, come viene disegnato, prodotto, consumato e smaltito? Uno studio del ministero dell’Ambiente danese lo ha fatto per diverse tipologie di sacchetti disponibili nei supermercati, arrivando alla conclusione che quelli in polietilene a bassa densità hanno un minore impatto ambientale rispetto ai sacchetti di carta o di stoffa.

La disposizione della direttiva europea arriva di fatto in risposta a un flusso di informazioni legate agli effetti deleteri della plastica dispersa nell’oceano, che rafforzano l’associazione mentale “plastica=male”. Contribuirà però a migliorare il sistema di gestione dei rifiuti e ridurre il problema della plastica negli oceani? Oppure siamo vittima di folklore ambientalista? Per rispondere, la strategia migliore è fare riferimento ai dati.

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I dati dell’inquinamento marino

Iniziamo dalla plastica nei mari. L’analisi condotta da alcuni ricercatori tedeschi mostra che il 90 per cento della plastica negli oceani proviene dai dieci fiumi più grandi al mondo, 8 in Asia e 2 in Africa. Ne intuiamo il motivo: milioni di persone, che fino a pochi anni fa vivevano in completa povertà, oggi possono indossare vestiti di fibre sintetiche, usare detergenti, mangiare cibo conservato, bere acqua in bottiglia; in altre parole, possono godere di uno stile di vita simile al nostro. Ma sulle sponde di questi fiumi non esistono ancora sistemi di raccolta e di gestione dei rifiuti, perciò buona parte delle materie plastiche finisce dispersa nell’ambiente, nei corsi d’acqua e, infine, in mare. Ben poco potrà fare la decisione europea per ridurre questo fenomeno.

Quanto al mar Mediterraneo, lo studio di Arcadis ha rilevato che la spazzatura dominante è la plastica (63 per cento), seguita da carta, cartone e mozziconi di sigaretta (22 per cento), rifiuti sanitari (7 per cento) e vetro (4 per cento). Il dato più interessante, però, è che solamente il 13 per cento arriva da lontano: la maggior parte dei rifiuti è abbandonata direttamente sulla spiaggia da bagnanti e turisti. E, dunque, forse non esistono materiali buoni o cattivi, ma comportamenti giusti o sbagliati. La dispersione dei rifiuti, in molti casi, è un problema di scarso senso civico e va affrontato educando i cittadini e migliorando i sistemi di raccolta. Certo non basta autodefinirsi “plastic free” come hanno iniziato a fare molte località balneari e molte istituzioni, contribuendo così indirettamente all’idea che la plastica sia da rifuggire come male assoluto. Per esempio, la Sicilia è una delle regioni più arretrate sul fronte della gestione dei rifiuti: con il 21,7 per cento ha il coefficiente regionale più basso d’Italia per la raccolta differenziata. Eppure, studia una normativa che le permetta di darsi la patente di prima regione “plastic free”.

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Ma qual è l’incidenza della plastica sul totale dei rifiuti generati in Europa? Nel 2016 nell’Unione sono stati prodotti oltre 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti (fonte Eurostat). Di questi, la plastica rappresenta lo 0,7 per cento, poco più di 17,5 milioni di tonnellate. Eppure, si moltiplicano le misure rivolte a questa categoria mentre poco si fa, per esempio, per migliorare gestione dei rifiuti definiti “minerari”, derivanti principalmente dal settore edilizia e costruzioni, una categoria che da sola costituisce in Europa il 70 per cento del totale.

Qualsiasi iniziativa volta a ridurre l’inquinamento, nelle sue varie forme, è sicuramente da apprezzare. Dovremmo però riflettere sulle priorità. Tanto più che l’industria italiana di stoviglie monouso in plastica è la più importante in Europa, con una quota di export superiore al 30 per cento, 1 miliardo di fatturato per circa 30 aziende e 3 mila addetti diretti.

* Le opinioni espresse nell’articolo sono da considerare personali dell’autore e non possono essere riferite all’azienda per cui lavora.

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28 commenti

  1. Enrico Motta

    Sullo studio del Ministero dell’ambiente danese, aggiungerei però che i sacchetti di stoffa si possono riusare tante volte, mentre quelli di carta o di polietilene no. Sull’argomento delle priorità per ridurre l’inquinamento, non userei il criterio economico o dell’occupazione; l’ inquinamento è ormai lui stesso prioritario; eventualmente ci sarà da sostenere i 3000 disoccupati, ma è un altra questione, certamente da tenere presente.

  2. pietro

    Molto bene.
    Il folklore ambientalista è molto simile al nostro folklore politico.

  3. Sebastiano Renna

    L’affermazione secondo cui il 90% dei detriti di plastica negli oceani del mondo proviene da soli 10 fiumi è un misunderstanding del citato studio dei ricercatori tedeschi. Lo studio in realtà sostiene che ai suddetti 10 fiumi risulta attribuibile dall’88 al 95% dei rifiuti di plastica totali complessivamente trasportati dai fiumi negli oceani, non dei rifiuti di plastica complessivamente presente negli oceani.

  4. Danilo Bastiani

    Tutto giusto, tutte le strategie sono utili, ma: io non mi stancherò a chiedere la diminuzione del numero delle persone sul pianeta terra. E’ la sempre maggior quantità di persone che contribuiscono a questo stato. (Uno sproposito) se ci fossero solo un miliardo di persone, non esisterebbe problema così grave.

  5. Paolo Bianco

    Ragionare in termini di peso è fuorviante perché i rifiuti di plastica (schiacciata) hanno una densità di 80 kg/m3, la carta 1000, i rifiuti minerari 3000+, perciò il potenziale inquinamento (che dipende dal volume di materiale) di 1 kg di plastica è circa 40 volte quello minerario, senza contare che la plastica appunto galleggia mentre le macerie e il cls non se ne vanno in giro portate dall’acqua ma se ne restano sul fondo, e non si degradano in micro frammenti che poi entrano nella catena alimentare.

  6. Giorgio Pezzuto

    E’ vero, non esistono materiali buoni o cattivi ma solo comportamenti tali. Quindi il concetto di “usa e getta” ha senso in un pianeta di 7,5 miliardi di persone che consumano risorse come se ne avessero più di 1 Terra a disposizione ? Direi di no, sia che si tratti di “usa e getta” di plastica (il più comune) o di altri materiali.

  7. Pier Luigi

    Anche se è solo lo 0,7% per l’Europa, il problema è che questo tipo d’inquinamento, è globale ed anche uno dei più difficili da smaltire.
    Anche se l’articolista, non trova che possa essere uno dei problemi prioritari, io invece trovo che lo sia.
    E’ comunque, un ottimo inizio, per far comprendere il problema e maturare quei comportamenti giusti, per i quali servano generazioni, prima di non vedere più un mozzicone a terra, o una bottiglia di plastica abbandonata.
    E’ anche il tempo di non dover solo guardare:”…che l’industria italiana di stoviglie monouso in plastica è la più importante in Europa, con una quota di export superiore al 30 per cento, 1 miliardo di fatturato per circa 30 aziende e 3 mila addetti diretti…” perchè tutto si può riconvertire. Se non si prenderà una consapevole presa di coscienza, le perdite di lavoro, le aziende e il fatturato, saranno falcidiate in brevissimo tempo.
    Se a questo problema, aggiungiamo il surriscaldamento totale, per il quale abbiamo solo una decina di anni, solo per contenerlo, mi piacerebbe leggere un suo commento a quella data, anche se statisticamente la natura non me lo consentirà. Le auguro un felice futuro!

  8. Giacomo Boschi

    Ma infatti ho sentito dire che la direttiva è stata fatta in risposta alla decisione della Cina di smettere di smaltire molti tipi di plastica provenienti dagli stati (difficile provare la relazione causa-effetto, ma i tpi tornerebbero), e il discorso della pulizia degli oceani è una scusa di facciata in quanto meglio spendibile verso l’opinione pubblica. Può tornare?

  9. Giacomo Boschi

    Ma infatti mi è già capitato di sentir dire (in particolare da Costantino de Blasi durante le giornate di Liberi e oltre) che la vera molla che ha fatto approvare la direttiva è stata la decisione della Cina di smettere di vendere lo smaltimento plastiche ai paesi esteri, cosa che ha reso lo smaltimento per un sacco di tipi di plastica estremamente costoso, e che invece il discorso dell’inquinamento degli oceani è solo una motivazione più facilmente vendibile dai politici al grosso pubblico. Le può tornare?

  10. Sebastiano Renna

    Segnalo che l’affermazione riportata nell’articolo, secondo cui il 90% dei detriti di plastica negli oceani del mondo proviene da soli 10 fiumi, è frutto di un misunderstanding (in cui è cascato anche il WEF) del citato studio del 2017. Christian Schmidt, principale ricercatore dello studio realizzato dal Centro di ricerca ambientale Helmholtz ha successivamente chiarito che la ricerca in realtà afferma che 10 fiumi (su 1.350) sono la fonte dall’88 al 95% dei rifiuti di plastica complessivamente trasportata negli oceani dai fiumi, non dei rifiuti di plastica complessivamente presenti negli oceani. La differenza non è di poco conto.

  11. Michele

    Folklore ambientalista e folklore negazionista si elidono. I problemi restano. L’attivismo delle lobby pure.

  12. Rosario Nicoletti

    Fa veramente piacere leggere qualche volta un articolo dal quale traspare il buon senso, al contrario del mare di baggianate che si leggono sull’inquinamento.

  13. Paolo Bianco

    Ragionare in termini di peso è fuorviante perchè il rifiuto pressato nei cassonetti della plastica ha una densità di circa 80 kg/m3, mentre la carta 1000 e i rifiuti minerari da 2500-3000 in su, quindi il volume di materiale inquinante che si disperde con la plastica è molto superiore a pari peso (rispettivamente 12 e 40 volte di più).
    A ciò va aggiunto il fatto che a differenza di quasi tutte le altre frazioni la plastica è più leggera dell’acqua, e quindi se ne va in giro trasportata dalle correnti, mentre le macerie e le rocce da scavo anche se disperse nei fiumi vanno semplicemente a fondo, e non si decompongono in microframmenti che poi finiscono nella catena alimentare di tutti.
    Il ragionamento per cui siccome altri inquinano molto di più non facciamo niente mi sembra senza senso (il mediterraneo è il nostro lago, non trasformarlo in pozzanghera è un problema nostro, mica del sudafrica o della thailandia), a quello per cui c’è in ballo 1 miliardo di euro di fatturato è facile rispondere che i turisti stranieri di miliardi nel 2018 ce ne hanno fatti fatturare 42, dando lavoro al 6% degli occupati (fonte: banca d’italia); il 53% dei flussi avviene nelle località costiere, metterli a rischio non è una grande idea.

    • o.

      “E, dunque, forse non esistono materiali buoni o cattivi, ma comportamenti giusti o sbagliati.”
      Forse occorre considerare congiuntamente i processi produttivi dei materiali, per una valutazione più complete.

    • salvatore

      Ragioniamo in termini di numeri. I dati ufficiali su i prodotti messi al bando dalla comunità europea, rappresentano solo lo 0,02% dei prodotti dispersi nei mari, questi però sono prodotti in Italia: Le bottiglie ed i flaconi sono il 26% dei rifiuti marini, ma non c’è stata nessuna immediata restrizione. Sostituire la plastica con un prodotto compostabile, significa sostituire un prodotto totalmente riciclabile con uno destinato ad essere smaltito nei centri di compostaggio. Molte regioni al sud non hanno i centri di compostaggio e pagano lo smaltimento fino a 300 euro a tonnellata. Non mi sembra un buon affare per la collettività. Si è voluto attaccare un solo settore non gestito dalle multinazionali per dare in pasto all’opinione pubblica l’idea di aver risolto il problema. Ma i numeri dicono tutt’altro anzi cresceranno le tonnellate da smaltire e gli affari per chi li gestisce.

  14. Luca Ba

    Articolo non molto chiaro a dire il vero. Prima parla della plastica che finisce negli oceani dicendo che proviene in gran parte da alcuni fiumi (in realtà non è così come hanno fatto notare altri) ma anche se non finisce nei fiumi la plastica deve essere comunque raccolta e smaltita. Si dice che la plastica sia lo 0,7 % dei rifiuti, ma io non ho trovato niente su Eurostat e mi viene il sospetto che tra quei rifiuti in realtà ci siano anche lo smaltimento di terre di lavorazione di cantiere che cubano volumi enormi ma (se non contaminati) hanno uno smaltimento molto più facile. Articolo incompleto sembra più voler dimostrare una tesi (la lotta alla plastica è folklore) che fare un’analisi seria.

  15. Michele

    Non sono d’accordo con quanto scritto. La metodologia LCA serve a calcolare il “costo ambientale” di un prodotto “dalla culla alla tomba”. E’ chiaro e non serve uno studio di questo dettaglio, per capire che la carta o altri materiali più durevoli, hanno un costo in termini ambientali molto più alti di un sacchetto in PP. Infatti la carta necessita, per esempio, di molta acqua ed energia per essere prodotta, al contrario della plastica. Quello che lo studio non dice (e che non deve dire essendo un LCA) è che le buste in stoffa, se correttamente usate, hanno si, un costo iniziale alto, ma poi possono durare moltissimo. Questo compensa l’investimento iniziale ma soprattutto la stoffa, o la carta, vengono degradate senza problemi, oppure possono ridare in energia il costo ambientale sostenuto per la loro produzione (hanno un alto potere calorifico). Gli studi LCA non sono fatti per considerare questi aspetti ma solo per misurare il “costo ambientale iniziale”, andrebbe considerata una LCA “Dalla culla alla reincarnazione” e non solo “fino alla tomba”.
    Nella seconda parte dell’articolo si dice che la plastica forma il 65% dei rifiuti, infatti stoffa e carta si degradano naturalmente per azione di luce ed acqua, a riprova del fatto che è la plastica il problema: anche avendo un costo ambientale iniziale basso, resta cioè per la plastica il problema della non degradabilità, dimostrato dall’alta percentuale dei rifiuti in mare che sono di plastica (il 65% appunto).

  16. Flavio

    Vorrei unirmi alle critiche a questo articolo che mi pare più superficiale rispetto alla qualità cui LaVoce ci ha abituati. Forse sono un po’ folcloristico ma mi pare che se i costi per risolvere il problema a valle sono troppo alti (educare i bagnanti uno ad uno mi pare difficile purtroppo ma proviamoci) devo cercare di risolverlo a monte, quando possibile ovviamente. Quindi mi pare razionale cercare di limitare non solo a valle ma anche a a monte l’uso e getta in tutte le sue forme. Vorrei anche invitare a leggere almeno il primo paragrafo di questo editoriale dell’Asvis come al solito basato su evidenze scientifiche: https://asvis.it/home/46-4282/questa-settimana-prepariamoci-a-un-mondo-da-10-miliardi-di-persone#

  17. Consolato Gattuso

    Forse si é un po’ troppo superficiali nel confondere inquinamento con impatto ambientale. L’ inquinamento puó essere combattuto con un sistema di smaltimento o di riciclo adeguati e l’ impatto ambientale si puó diminuire ottimizzando le risorse. Per fare un calcolo serio su quanto inquina ogni prodotto si devono prendere in considerazione diversi fattori come per esempio: Materie prime impiegate, energia di trasformazione e peso specifico risultante. Se teniamo conto di questi dati la plastica é nettamente vincente per esempio contro la carta, il vetro o il metallo per risorse naturali, energia e peso specifico risultante.

  18. Francesca

    Lo studio danese dice che il sacchetto di cotone biologico diventa inquinante quanto quello di polietilene dopo 150 utilizzi. Per il cotone non biologico “bastano” 50 utilizzi per pareggiare il conto.

  19. luigi

    A mio avviso il problema non è solo usare materiali meno inquinanti, o a minor impatto ambientale, ma favorire stili di vita (in particolare consumi) che producano meno rifiuti. es. passare da piatti monouso di plastica a piatti monouso di carta o biodegradabili può essere positivo, ma sarebbe meglio non utilizzare affatto piatti monouso.

    • clodoveo

      dopo aver letto l’articolo e i commenti mi rendo conto che il problema è molto complesso e non può essere trattato come “tifo da stadio”. Quanta strada da fare per maturare non solo su questo tema ma anche su altri consimili come la mutazione climatica, ma soprattutto, a mio parere, sulla capacità di dialogare civilmente.

  20. Mi rattrista leggere un messaggio così equivoco su Lavoce.info.
    In Italia produciamo circa 8 milardi di bottiglie di plastica l’anno. 8 MILARDI! è un’attività praticamente non tassata (contributo ambientale ridicolmente basso un paio di ordini di grandezza inferiore a quello pagato in paesi virtuosi europei).

    Secondo i dati di Legambiente l’80% dei rifiuti rivenuti in spiaggia sono di plastica. L’uso della plastica monouso nel nsotro paese è una follia. Questo articolo sembra voler difedere questa foliia. L’affiliazione dell’autrice rischia (ENI Corporate University?) rende quasi inevitabile il sospetto. Mi auguro che qualche economista ambientale possa replicare presto.

  21. clodoveo

    dopo aver letto l’articolo e i commenti mi rendo conto che il problema è molto complesso e non può essere trattato come “tifo da stadio”. Quanta strada da fare per maturare non solo su questo tema ma anche su altri consimili come la mutazione climatica, ma soprattutto, a mio parere, sulla capacità di dialogare civilmente.

  22. Federico

    Mi unisco alle critiche già espresse da altri lettori sul contenuto, a parte il titolo veramente infelice che ha l’evidente obiettivo di attuare i lettori. Sottolineare più volte le differenze in percentuale in peso tra plastica e altre categorie di rifiuti (organici, terre e rocce, inerti da edilizia) è fuorviante. Spero in un prox articolo meno di parte.

  23. Andrea De Angelis

    Trovo singolare leggere questo articolo nei giorni in cui i ricercatori scoprono la presenza di microplastiche nella pioggia e nella neve anche in località molto remote (https://www.sciencealert.com/us-geological-survey-finds-it-s-raining-plastic-in-the-rocky-mountains). E’ un articolo superficiale che offre una visione percepibilmente preconcetta. In due paragrafi successivi si afferma prima che nel Mediterraneo la percentuale di plastica tra i rifiuti è il 63% (prendo per buono il dato, ma il link è sbagliato), e poi che la plastica rappresenta solo lo 0.7% del totale dei rifiuti in Europa. Chiaramente c’è qualcosa di fuorviante o implicito che un inesperto come me non riesce a vedere. In generale, la logica dell’argomento “folklore ambientalista” è molto debole: come se di ambiente si occupassero solo degli sprovveduti, o come se le incomprensioni e distorsioni nei comportamenti del persone non interessassero ogni settore, dalla medicina alla politica. L’articolo mi ha comunque spronato a ridurre ulteriormente il mio uso dei piatti monouso in plastica. Visto che l’Italia è apparentemente un grande produttore, sarebbe il caso di impostare un ragionamento sulla riconversione di questo settore produttivo.

    • Giovanni Salzano

      Condivido pienamente questo commento! Il fatto che l’autrice sia una esperta ambientale in forza presso l’ENI credo spieghi chiaramente il paradosso! La bassa percentuale di plastica rispetto al totale dei residui non mi sembra un dato rilevante, soprattutto se tra i residui si considerano quelli liquidi e quelli biologici! Da meticoloso differenziatore dei miei rifiuti mi rendo conto che la proporzione di plastica rispetto ai residui che quotidianamente produco e’ notevole quantomeno in volume! Da anni mi interrogo sul perche’ i nostri legislatori non introducano incentivi per i supermercati a plastica zero, peraltro molto diffusi in Germania. Questo articolo di una esperta ambientale dell’ENI aiuta a fugare ogni dubbio sui motivi di questa latenza politica! Il fatto che questo articolo venga pubblicato su lavoce,info non mi meraviglia! Forse ci sarebbe bisogno di una “nuovavoce.it”!

  24. claudio

    complimenti all’autrice per il coraggio.Condivido pienamente il senso dell’articolo, ma è davvero difficile andare contro il vento forte partito dall’alto. Devono favorire alcuni tipi di produzione rispetto ad altre, devono distruggere l’economia europea, che è al secondo posto per produzione di plastica (compresa l’Italia con le tante industrie).E’ facile orientare il popolo vero l’una o l’altra tesi, ed invece di riflettere, le persone, buttano il cervello al macero. Non penso che si possa fare qualcosa contro questo vento così forte , ci trascinerà tutti, gli illuminati siamo pochissimi e perseguitati.

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