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Banche fallite, partono gli indennizzi per i risparmiatori

Dal 22 agosto, i risparmiatori che hanno subito un danno dalla sottoscrizione di titoli delle banche liquidate possono chiederne il rimborso. Resta però qualche perplessità, soprattutto per quanto riguarda i requisiti indicati per ottenere l’indennizzo.

180 giorni per le richieste

Dal 22 agosto, il giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale (n. 195) del decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze dell’8 agosto, è iniziato il conto alla rovescia dei 180 giorni a disposizione dei risparmiatori che ritengono di aver subito “un pregiudizio ingiusto” dalla sottoscrizione di titoli emessi dalle famose “quattro banche”, dalle “due venete” e dalle loro controllate, per chiedere il ristoro da parte del Fondo indennizzo risparmiatori (Fir), istituito con la legge di bilancio per il 2019 (commi 493-507 articolo 1 legge 145/2018) e disciplinato con l’articolo 36 del decreto legge 34 del 30 aprile 2019 (decreto crescita).

Quest’ultima norma ha messo nero su bianco il contenuto di un accordo raggiunto dal governo con le associazioni dei risparmiatori coinvolti nelle crisi bancarie, per attivare il fondo. Dopo l’approvazione della legge che lo ha istituito, il Fir è rimasto infatti congelato per timore che il proposito dei partiti che formavano il governo giallo-verde di risarcire i risparmiatori senza alcuna valutazione di merito della loro pretesa potesse costituire un’infrazione delle norme europee sugli aiuti di stato.

Il doppio canale di valutazione

Ora il governo pensa di non correre più questo rischio perché ha previsto due canali di accesso alle prestazioni. Uno dei due consente l’erogazione diretta dell’indennizzo a tutti i risparmiatori, in possesso dei requisiti indicati, la cui condizione rientra in una delle tipizzazioni delle “violazioni massive” commesse dalle banche. Alcune violazioni sono già individuate da un decreto del Mef del 9 maggio 2019 – emanato, quindi, prima ancora della conversione con la legge 58 del 29 giugno del decreto legge 34/2019 – sulle modalità operative di funzionamento del fondo; altre potranno essere definite dalla commissione tecnica istituita con il decreto. Il Mef stima che circa il 90 per cento delle domande dovrebbe riguardare risparmiatori incappati nelle “violazioni massive” delle banche, quelle che, pertanto, danno accesso all’indennizzo a seguito della sola verifica del possesso dei requisiti richiesti. Solo per il restante 10 per cento degli investitori, la concessione del ristoro dipenderà dall’esito positivo dalla valutazione di merito della commissione, per accertare di essere vittime di un ingiusto pregiudizio.

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I requisiti

Le nuove norme lasciano spazio a qualche perplessità. La più rilevante riguarda i requisiti richiesti per ottenere l’indennizzo. Sono stati definiti dal comma 502bis (aggiunto, con la legge di conversione del Dl 34/2019, all’articolo 1 della legge 145/2018). Quelli soggettivi riservano l’accesso al Fondo alle persone fisiche, agli imprenditori individuali, ai coltivatori diretti. Per la condizione economica, l’investitore danneggiato può ottenere il ristoro purché non superi uno di questi due limiti: a) reddito Irpef inferiore a 35 mila euro nel 2018; b) patrimonio mobiliare inferiore a 100 mila euro; il governo si è riservato di raddoppiare il secondo importo, autorità europee permettendo.

Poiché i due criteri non devono essere soddisfatti congiuntamente, potranno beneficiare del rimborso anche i risparmiatori che non versano in uno stato di bisogno: chi ha pochi spiccioli sul conto corrente, non ha Bot, obbligazioni o azioni potrebbe percepire uno stipendio, una pensione o un altro tipo di reddito di importo anche di decine di migliaia di euro ogni mese. A sua volta, chi non supera il limite di reddito indicato potrebbe essere proprietario di un patrimonio mobiliare immenso e di un consistente patrimonio immobiliare che, però, non è neanche considerato, avendo posto un limite al reddito Irpef e non all’Isee.

La misura dell’indennizzo e i requisiti

Il fondo è stato finanziato con l’importo complessivo di 1,5 miliardi di euro da spendere in un triennio. Il limite massimo dell’indennizzo può arrivare a 100 mila euro per ogni azionista e per ogni sottoscrittore di obbligazioni subordinate, senza superare rispettivamente il 30 e il 95 per cento del costo di acquisto del titolo; pertanto gli azionisti possono essere ristorati per investimenti fino a 330 mila euro e gli obbligazionisti per una spesa fino a poco più di 105 mila euro. Non sono propriamente importi da piccoli risparmiatori, soprattutto il primo.

Con le risorse disponibili, l’indennizzo massimo potrebbe essere erogato a 15 mila risparmiatori; se invece fossero spalmate su tutte le 300 mila persone che ne hanno diritto, secondo una stima delle associazioni dei consumatori, ciascuno di loro sarebbe risarcito con 5 mila euro. Anche se la situazione reale non è fotografata da nessuno dei due estremi, è probabile che il Fondo deluderà le attese, soprattutto perché potrebbe lasciare senza indennizzo un certo numero di risparmiatori.

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Né è del tutto chiaro chi deve rispettare i requisiti soggettivi e oggettivi indicati. Il comma 502bis stabilisce che l’accertamento da parte della commissione tecnica “esclusivamente dei requisiti soggettivi e oggettivi” fa acquisire il diritto all’indennizzo forfettario. Poiché in questa norma non vi è alcun riferimento alla valutazione di merito della commissione si può dedurre che quei requisiti valgono solo per i risparmiatori che possono avvalersi del canale diretto dell’erogazione, quello riservato al 90 per cento di investitori incappati in una violazione massiva tipizzata. I requisiti indicati non dovrebbero, pertanto, essere applicati agli investitori del secondo canale, i quali potrebbero ottenere l’indennizzo, anche se superano i limiti di reddito e patrimoniale, qualora l’istruttoria di merito condotta dalla commissione tecnica dovesse riconoscerli vittime delle malefatte delle banche. Se così non fosse non si giustificherebbe la disposizione (comma 502) che accorda la priorità di accesso al fondo ai “risparmiatori di cui al comma 502 bis”. Ogni dubbio al riguardo è comunque fugato dal nuovo decreto ministeriale dell’8 agosto scorso: “I risparmiatori che hanno i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dal comma 502 bis (…) sono soddisfatti con priorità a valere sulla dotazione del Fir”. Per contro, ritenere che il diritto a essere risarciti prioritariamente non derivi dalla condizione economica degli investitori, ma dall’essere vittime di una delle violazioni massive tipizzate, non avrebbe senso considerato che, lo dice il Mef, esse costituiscono la quasi totalità dei soggetti colpiti dai crack bancari.

Sull’estensione dei ristori anche agli investitori che superano i limiti sopra indicati, la Commissione europea avrà probabilmente qualcosa da dire circa la compatibilità dei risarcimenti con la normativa sugli aiuti di stato. D’altra parte, in questo modo la motivazione sociale di questa misura, già in parte resa dubbia dalle modalità di accertamento della condizione economica degli investitori da ristorare, sarebbe ulteriormente intaccata.

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Vietato sprecare il dividendo dell’uscita dei no-euro

  1. Henri Schmit

    Non mi convince la soluzione ora una fase di esecuzione. Si tratta di un intervento politico-sociale per placare la rabbia di elettori meno abbienti o di indennizzare vittime di “violazioni massive” delle regole. Se la seconda fosse la risposta giusta, allora come spiegare 1. i limiti reddituali e patrimoniali peraltro discutibili, 2. l’inclusione delle azioni bancarie (pura follia demagogica) per una % bassa nel piano di rimborso, e 3. il limite % delle subordinate. Ma sopratutto non si capisce chi è il colpevole delle violazioni massive non di una banca specifica mal gestita, ma quasi di un intero settore. Perché non sono state chiarite le responsabilità pubbliche? Il governo Renzi non intendeva indebolire il custode della stabilità del sistema bancaria nazionale fino a quando il governatore, probabilmente sollecitato, ha fatto la sua uscita sulla maggiore volatilità da attendersi nel ravvicinarsi del referendum, parole troppo deboli per accontentare i promotori della riforma. Da allora Renzi ha deciso di attaccare Bankitalia per le sue colpe nel disastro, ma è stato il presidente del consiglio a doversi dimettere per primo. La Commissione d’inchiesta a poche settimane dalle elezioni non poteva portare a nulla di buono. L’indennizzo dei risparmiatori defraudati non poteva quindi che prendere l’altra strada, quella politica che serve per coprire le falle del sistema che nessuno in questo paese ha il coraggio di guardare in faccia. Si occultano i fatti invece di risolvere.

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