Le nuove costruzioni ristagnano da anni, ma le compravendite di immobili hanno ripreso a crescere dal 2014. Le caratteristiche dell’Italia di oggi e un consumo di suolo elevato indicano che lo sviluppo del settore edilizio dipende dalle ristrutturazioni.
La crisi e la piccola ripresa del settore immobiliare italiano
Con i tassi d’interesse ai minimi, l’acquisto di una casa è oggi più allettante che mai, non solo per chi deve ricorrere a un mutuo, ma anche per quanti scelgono l’immobiliare per diversificare i propri investimenti.
In molti paesi il mercato immobiliare si sta surriscaldando, con il rischio di una bolla in città come Parigi, Amsterdam e Monaco di Baviera. Non sembra invece correre questo pericolo il mercato immobiliare italiano, zavorrato da una popolazione che non cresce e dal fatto che 6 giovani su 10 tra i 18 e i 35 anni vivono ancora con i genitori, spesso perché non possono permettersi l’acquisto di una casa.
Per anni il mattone è stato l’investimento per eccellenza degli italiani, capace di proteggere i risparmi dall’inflazione. Il prezzo delle abitazioni ha continuato a salire fino alla crisi dei mutui subprime e dei debiti sovrani (figura 1). Ma dal 2011 ha imboccato un trend di declino, da cui non sembra riprendersi.
Figura 1
Il calo dei prezzi è attribuibile quasi interamente alle abitazioni già esistenti (figura 2). In Italia le vecchie case hanno un valore catastale molto basso, dato che i registri non sono aggiornati da decenni, e perciò pagano Imu e imposte di registro decisamente inferiori alle nuove.
Figura 2 – Indice dei prezzi delle abitazioni nuove ed esistenti (base 2010 = 100)
Fonte: Istat
Il mercato immobiliare è fortemente ciclico ed è trainato principalmente dalle variazioni nella domanda. Questa, a sua volta, dipende dai prezzi delle abitazioni, dallo stock di risparmio accumulato, così come dal costo del finanziamento e dai redditi correnti e attesi. Le compravendite hanno quindi avuto una fase di forte crescita nel decennio 1996-2006, seguito da un altrettanto forte calo nel periodo 2006-2013 (con il crollo maggiore avvenuto nel 2012). Dal 2014 le compravendite hanno ripreso a crescere aiutate dai tassi in discesa dovuti alla politica monetaria accomodante e dalla mini-ripresa economica del triennio 2016-2018 (figura 3). Un trend confermato anche nei primi due semestri di quest’anno, in cui l’aumento rispetto a quello precedente è stato rispettivamente dell’8,8 e del 3,9 per cento.
Figura 3 – Numero indice delle compravendite residenziali
Fonte: Agenzia delle entrate
Guardando i dati per aree geografiche, emerge come a trainare la ripresa delle compravendite siano stati il Nord e le città capoluogo (figura 4). Tra queste, Milano risulta l’unica che ha visto crescere ininterrottamente le compravendite dal 2014.
Figura 4
Nonostante la ripresa degli ultimi anni, l’indice delle compravendite residenziali è ancora ben inferiore rispetto ai valori pre-crisi e solo i comuni di dimensioni maggiori hanno recuperato almeno i livelli pre-2012.
Inoltre, nei primi sei mesi del 2019, sebbene le compravendite siano aumentate in tutte le cinque macroregioni, tra i principali capoluoghi solo Roma, Milano e Bologna riportano tassi di crescita positivi.
Anche la fotografia scattata dal Sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia mostra luci e ombre. Se da un lato aumenta la quota di agenzie che hanno venduto almeno un immobile nell’ultimo trimestre, d’altro lato peggiorano le attese future, mentre si stabilizzano i prezzi e lo sconto medio effettuato. In un contesto in cui l’80 per cento delle compravendite immobiliari è finanziato da mutui, che coprono in media tre quarti del valore della transazione, da settembre è espolso un vero e proprio boom delle surroghe. Molti beneficiari, infatti, hanno rinegoziato il proprio mutuo con un’altra banca a tassi più vantaggiosi, scegliendo spesso il tasso fisso. Grazie al calo dello spread, il tasso medio di un mutuo ipotecario è oggi circa la metà rispetto a un anno fa.
Le ragioni della crisi e le opportunità di rilancio
C’è però un altro aspetto di cui tener conto. L’Italia è il sesto paese europeo nella classifica di quelli con il maggior consumo di suolo: al netto dei ripristini, riguarda in media un’estensione pari a 15 campi da calcio al giorno, in palese violazione dell’obiettivo europeo che ne prevede l’azzeramento. Così, da un lato la necessità di limitare nuove edificazioni di terreni e dall’altro la dinamica demografica in stagnazione spiegano, almeno in parte, perché il mercato delle costruzioni edilizie non possa più essere quel volano di crescita che è stato negli anni del boom economico.
A tutto ciò si aggiunge una burocrazia farraginosa. Dal 2011 la produzione nelle costruzioni e i permessi edilizi son calati del 40 per cento per poi rimanere pressoché stabili (figura 5). A differenza degli altri paesi europei, il settore in Italia non sembra riprendersi dalla crisi, con 539 mila posti di lavoro persi nel decennio 2008-2018.
Figura 5
Tuttavia i dati ci dicono che oggi il 75 per cento del valore della produzione nelle costruzioni proviene dalle ristrutturazioni ordinarie e straordinarie, rispetto al 58 per cento nel 2007. Gli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie come l’ecobonus, il bonus ristrutturazione o il bonus facciate, recentemente introdotto, hanno giocato, e potranno giocare in futuro, un ruolo fondamentale per stimolare gli investimenti in un settore altrimenti in profonda crisi. Infatti, secondo l’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, il 31,1 per cento dei 701 miliardi di euro investiti in manutenzione straordinaria degli edifici nel decennio 2007-2017 sono stati mossi dagli incentivi fiscali. E la riqualificazione energetica degli edifici, nonché la messa in sicurezza dal rischio sismico e idrogeologico offrono molte opportunità di investimento nel settore edilizio italiano.
Come in ogni situazione di crisi, sta al tessuto industriale ed economico reinventarsi e sapersi adattare alle nuove sfide.
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Henri Schmit
Articolo interessante in una materia talmente essenziale che meriterebbe una specializzazione di laurea alle facoltà di economia. No so se ora ci sia. Anche se ci fosse esistono comunque alcuni fattori determinanti che buttano l’Italia fuori dai parametri comuni: la rigidità e la complessità normativa e fiscale del riparto immobiliare trattato come settore protetto e irrigidito a danno degli operatori, utenti e bisognosi per quanto riguarda l’abitativo, la giungla con tutti i vizi peggiori immaginabili delle concessioni edilizie e pratiche amministrative, l’incertezza e i tempi delle procedure e dei processi in caso di inadempienza, l’assenza di garanzia effettiva dello stato di diritto. Ai vizi strutturali si aggiungono debolezze congiunturali dovute in parte ai vizi strutturali: bassa crescita del PIL, dei redditi e degli investimenti soprattutto privati, condizioni fondamentali per l’aumento dei prezzi di mercato (quelli catastali non c’entrano, non capisco perché l’autore li menziona). Il fattore finanziario che ha sostenuto la crescita immobiliare dal 2000 al 2007, cioè i tassi bassi non sono merito delle politiche nazionali, ma di quelle decise a Francoforte, Berlino e Parigi, tranne il differenziale ormai tristemente famoso. Conclusione: senza trasformare il settore più fondamentale dell’economia, ma anche più facile da proteggere in un mercato aperto, liquido e trasparente con transazioni sicure c’è poca speranza per l’efficienza e la crescita dell’economia in genere.
Savino
Permettete ai giovani di farsi un futuro e di costruirsi una prima casa per abitarci e ne riparliamo. Anche il mattone è oggi da vecchi, che hanno talmente tanti soldi e tanta ingordigia che non sanno più dove andarli a buttare gli sterminati capitali.
Mahmoud
Non posso che concordare con Savino rispetto alle possibilità di investimento da parte dei giovani (con capitali loro), praticamente nulle. Il settore varia inoltre in base alla zona che si prende in considerazione. Nella cerchia della circonvallazione interna di Milano con meno di mezzo milione di euro non trovi un bilocale decente. Ora ditemi chi può accendere un mutuo da mezzo milione di euro. Chi con il reddito da lavoro riesce a mantenere sé stesso (poniamo anche non abbia figli o altri familiari a carico) e risparmiare almeno 25mila euro l’anno, quindi risparmiare oltre 2mila euro al mese? Evidente che il mattone sia pura speculazione fatta con capitali già accumulati in passato e che si vuole ancor più remunerare, almeno a Milano. Per ordine Costituzionale (oltre che morale) l’abitazione avrebbe altra funzione che remunerare gli speculatori, ma i proletari si adeguano alla giusta remunerazione del risparmio privato, come sempre.