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Se si apre il vaso di Pandora delle spese fiscali*

Il costo politico della revisione del regime delle spese fiscali è alto. Ma una riforma è necessaria. Oltre ai problemi, i politici dovrebbero sottolineare i benefici connessi a un sistema tributario meno complesso, più coerente, equo ed efficiente.

Il costo politico di una riforma

La materia fiscale è molto delicata, spesso è chiaro cosa si dovrebbe fare ma poi, nel momento delle scelte, quando sono in gioco gli elettori, i governi faticano a prendere decisioni difficili: ad esempio, la revisione del regime delle spese fiscali (tax expenditures), che di fatto equivale a una misura di contenimento della spesa pubblica.

Nessuno vuol aprire il vaso, ma il mito racconta che Pandora disubbidì a Zeus e lo scoperchiò, provocando una catastrofe. In questo i politici si dimostrano coerenti perché capiscono la posta in gioco: forse non conoscono a fondo la teoria economica, ma conoscono molto bene i costi politici dell’apertura del vaso “spese fiscali”. Ci sono due punti cruciali su cui riflettere per sollevare almeno il coperchio.

Il primo è che quasi tutti i paesi Ocse presentano un livello importante di spese fiscali.  Secondo i confronti internazionali l’Italia è tra i paesi Ocse con le spese fiscali più elevate  – è bene evidenziare però che i confronti vanno presi con cautela perché i metodi di misurazione nei diversi paesi non sono del tutto comparabili. Il numero delle agevolazioni, nel corso degli ultimi vent’anni, è comunque decisamente aumentato, come il costo in termini di gettito.

Il motivo è semplice: introdurre nuove spese fiscali paga politicamente, mentre il costo di una loro riduzione, anche se da tutti ritenuta in linea di principio meritevole e spesso evocata per recuperare preziose risorse, è molto elevato, sia per gli interessi specifici che andrebbe di volta in volta a colpire, sia perché, da sola, comporterebbe un aumento della pressione fiscale.

Si possono suggerire scelte razionali dal punto di vista economico (ad esempio, basate sugli effetti redistributivi perversi, su quelli distorsivi dell’efficienza, sulla coerenza con il sistema tributario complessivo), ma perché ciò non resti un, seppur nobile, esercizio accademico, va trovata comunque una maggioranza disposta ad approvarle in Parlamento, la vera cassa di risonanza delle lobby.

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C’è una lezione da trarre, almeno sul piano della politica economica: un piano di riduzione delle spese fiscali deve essere simultaneo e il più ampio possibile, con una revisione generale e diffusa nei vari settori, evitando misure concentrate solo in alcuni comparti. I tentativi fatti in passato per ridurre le spese fiscali in alcuni paesi Ocse, e anche in Italia, con una strategia “voce per voce” hanno incontrato molte difficoltà e spesso sono falliti per la reazione dei vari gruppi coinvolti.

Tante piccole agevolazioni

Il secondo punto è la strategia percorribile per fare realisticamente qualcosa di concreto. Qui occorre distinguere fra diverse tipologie di agevolazioni. Le spese fiscali hanno il più delle volte un costo limitato in termini di gettito e un numero di beneficiari molto contenuto, che hanno però una notevole forza mediatica.

Dall’ultimo rapporto della Commissione ministeriale appositamente incaricata di redigere annualmente l’elenco delle spese fiscali emerge che quasi il 30 per cento delle agevolazioni ha un costo in termini di gettito inferiore a 10 milioni (con un costo complessivo, nel 2020, di 367 milioni) che interessano complessivamente poco più di 667 mila beneficiari, mentre solo tredici (il 2,4 per cento del totale) hanno un costo totale superiore a 42 miliardi e coinvolgono complessivamente più di 80 milioni di beneficiari. Inoltre, più del 45 per cento delle agevolazioni riguardano l’Irpef e l’Ires, con un costo complessivo superiore a 45 miliardi.

Alcune di queste agevolazioni (si pensi, solo per fare un esempio, al bonus di 80 euro, che vale più di 9 miliardi) potrebbero essere riviste nell’ambito di un piano di riforma fiscale complessivo (aliquote e scaglioni). Si potrebbero allora lasciare pochissime spese fiscali, quelle sistematiche, ad esempio, come le detrazioni per lavoro dipendente e per carichi familiari, che influenzano “strutturalmente” l’aliquota media. Le altre dovrebbero essere largamente riviste.

Un’alternativa meno virtuosa, ma comunque utile perché politicamente subito percorribile, potrebbe essere quella di definire misure orizzontali di riduzione, che prevedano un intervento generale per tutti i contribuenti – ad esempio, sugli oneri detraibili o su quelli deducibili. In modo simile si potrebbe introdurre un tetto in percentuale del reddito sull’insieme delle spese fiscali. Un altro approccio orizzontale potrebbe essere quello di rivedere il regime caotico di franchigie e tetti massimi di deducibilità, effettuando una loro standardizzazione. Infine, si potrebbe prevedere una decrescenza lineare delle detrazioni: questa soluzione, in parte intrapresa con il disegno di legge bilancio presentato dall’attuale governo, potrebbe avere un profilo decisamente progressivo, ma per dare un gettito consistente dovrebbe riguardare per intero gli oneri detraibili ed essere ripida, a partire da livelli alquanto contenuti di reddito.

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Questione molto importante è poi decidere l’utilizzo del gettito recuperato per neutralizzare l’altrimenti inevitabile aumento della pressione fiscale. L’uso del gettito aggiuntivo per aumentare l’avanzo primario contribuirebbe al risanamento della finanza pubblica, ma equivarrebbe a un aumento della pressione tributaria, che andrebbe evitato.

Non sappiamo se c’è qualche Pandora in giro che avrà il coraggio di aprire seriamente il vaso. Non si può che auspicare, tuttavia, che sia non solo in grado di affrontarne le conseguenze politiche, ma anche capace di far emergere subito, assieme ai problemi, la “speranza” dei benefici connessi a un sistema tributario meno complesso, più coerente, equo ed efficiente.

* Mauro Marè è il presidente della Commissione per le spese fiscali del ministero dell’Economia e delle Finanze; Silvia Giannini è componente della stessa Commissione. Le opinioni qui espresse sono a titolo personale e non coinvolgono la Commissione.

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  1. Luca Melindo

    Ridurre le tax expenditures certamente si può ma nel nostro Paese i politici di ogni schieramento concepirebbero quest riduzione non già come uno strumento per rimodulare il carico fiscale ma per finanziare nuova spesa. Quindi, anche no….

  2. Paolo Bianco

    Può essere condivisibile l’obiettivo di recuperare risorse eliminando trattamenti di favore concessi a microgruppi di potere.
    Attenzione però che le detrazioni ires-irpef hanno anche il fondamentale obiettivo di recuperare un minimo di equità in un paese dove l’evasione è di 200 miliardi di imponibile e il 50% dei presunti contribuenti non versa di irpef neppure un euro.
    Ok la razionalizzazione, ma a livello di valore complessivo le tax expenditures alle persone fisiche sarebbero da ampliare, “travasandoci” dentro trasferimenti diretti in denaro che non fanno altro che favorire gli evasori.

  3. Motta Enrico

    Se si chiede ai contribuenti cosa sono le spese fiscali, la risposta nella stragrande maggioranza dei casi sarà : le tasse da pagare. In un certo senso, è vero il contrario. Nel tradurre il termine “tax expenditure”, non si poteva trovare una soluzione meno orrenda e fuorviante? Stavolta gli anglomani l’hanno combinata grossa. Salvo poi lamentarsi perché la gente capisce poco di economia e tasse.

  4. Asterix

    Gli economisti dovrebbero parlare di economia non di Fisco. Molte delle c.d. tax expenditures fanno parte della struttura dei tributi e non possono essere eliminati, salvo una riforma complessiva della tassazione. La maggior parte delle spese fiscali interessano l’IRPEF e sono a vantaggio della “fu” classe media del nostro Paese come segnalato da anni dalla Corte dei Conti. Non esiste alcun “tesoretto” nascosto e sarebbe ora che si finisse di raccontare favole per ingannare i cittadini sugli “enormi sprechi” di risorse pubbliche. L’unico risultato di un intervento “radicale” sulle tax expenditures sarebbe un ulteriore incremento del prelievo fiscale per deprimere ulteriormente il nostro PIL (già particolarmente elevato), peggiorare il rapporto debito/PIL ed incrementare le richieste di “ristrutturazione”. Gli economisti italiani si occupassero della riforma del MES e del sistema bancario europeo. Lì sarebbe necessario il loro aiuto. La politica tributaria la lasciassero ai fiscalisti.

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