Mentre si aspetta di sapere se si terrà o meno il referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari, si discutono altre modifiche costituzionali, che riguardano il Senato. Facciamo il punto sul dibattito in corso in Parlamento.
Le riforme accessorie
La riduzione del numero dei parlamentari, di recente approvata dai due rami del Parlamento e ora in attesa dell’eventuale referendum confermativo, non è l’unica riforma costituzionale su cui le due Camere si sono impegnate nei primi venti mesi di legislatura. Per quanto riguarda il Senato, c’è il ricalcolo del numero dei delegati regionali per la nomina del Presidente della Repubblica, il passaggio dall’elezione su base regionale a quella su base circoscrizionale e la proposta di abbassare a 18 anni l’età di elettorato attivo.
Sulle prime due, in particolare, si concentra un recente dossier a cura del Servizio studi del Senato. Qui ci limitiamo a illustrare le modifiche proposte, senza entrare nel merito delle criticità che derivano dai loro contenuti e di eventuali riforme alternative.
La prima riforma riguarda la composizione del collegio per l’elezione del Presidente della Repubblica. Il comma 3 dell’articolo 83 della Costituzione prevede che il Parlamento in seduta comune sia integrato da tre rappresentanti per ogni regione (uno solo per la Valle d’Aosta). La proposta è di abbassare il numero a due (resta il singolo delegato per la Valle d’Aosta). Con il taglio dei parlamentari, infatti, il peso dei delegati regionali passerebbe da circa il 6 per cento a circa il 9 per cento, mentre con la riforma tornerebbe a un valore più simile a quello iniziale.
Dal punto di vista matematico, l’intervento non fa una piega, naturalmente. E c’è anche qualcuno che ritiene la riforma irrilevante, in quanto l’aggregazione dei voti non avviene sulla base della provenienza territoriale quanto su base partitica. Tuttavia, un aspetto che rimane critico potrebbe essere quello della “sovra-rappresentanza delle minoranze”: il fatto che debbano essere rispettate a norma della Costituzione, potrebbe comportare che alla fine le minoranze ottengono più delegati di quanti gliene spetterebbero.
La seconda riforma riguarda il primo comma dell’articolo 57 della Costituzione che attualmente stabilisce che il Senato è eletto “a base regionale”. Un Senato ridotto nella dimensione, alla luce anche delle enormi differenze di popolazione tra le regioni italiane, potrebbe portare a grosse difformità di rappresentanza. Nonché alla creazione di collegi elettorali troppo ampi per l’elezione dei senatori. La riforma propone di passare formalmente alla “base circoscrizionale”, il che permetterebbe di superare anche parecchi dei problemi del passato relativi alla necessità delle leggi elettorali di adattarsi alla previsione costituzionale. Sostanzialmente, la finalità della modifica è di “lasciare alla legge la determinazione dell’ambito territoriale delle circoscrizioni per l’elezione dei senatori”, sottraendola alla rigidità della Costituzione. Curiosamente, la proposta non modifica il comma quarto dello stesso articolo 57 (ripartizione dei seggi su base regionale), cosicché l’applicazione del nuovo principio potrebbe rivelarsi problematica.
L’ultima revisione riguarda l’equiparazione di elettorato attivo per Camera e Senato (18 anni). Da un certo punto di vista, è una notizia positiva che va nella direzione di responsabilizzare maggiormente l’elettorato giovane e, corrispondentemente, anche gli eletti. D’altro canto, si assottiglierebbe ancora di più la differenza tra le due camere, esasperando la perfezione del nostro bicameralismo.
Perché tanti interventi diversi?
Al di là dei contenuti delle riforme, preme qui soffermarsi su due curiosi aspetti procedurali. Il primo riguarda l’opportunità di affrontare in proposte diverse aspetti che sono tra loro complementari o comunque collegati. Per essere approvata, ogni modifica costituzionale richiede molto tempo, estrema diplomazia politica e anche un po’ di fortuna (l’iter non deve essere interrotto dalla fine della legislatura). Una riforma coerente deve contenere tutti gli elementi che la rendono tale. Il rischio di suddividere in varie leggi costituzionali una riforma di questo tipo è che alla fine nasca zoppa o inapplicabile. Certamente, la scelta potrebbe essere giustificata dal fatto che, secondo il legislatore, i vari aspetti non sono effettivamente collegati in maniera imprescindibile. Ma il sospetto che il tutto sia stato motivato solo dalla fretta di portare a casa una riforma fondamentale per l’elettorato del Movimento 5 stelle è molto forte.
L’altro aspetto, collegato al primo, riguarda l’entrata in vigore delle riforme. Cosa succederebbe se solo una fosse definitivamente approvata, ma non le altre? La diminuzione dei parlamentari potrebbe funzionare da sola, ma avrebbe comunque bisogno di ulteriori interventi più o meno marginali per essere resa applicabile e coerente. La modifica del collegio elettorale per l’elezione del Presidente della Repubblica sarebbe anch’essa certamente applicabile da sola, ma che senso avrebbe senza la diminuzione del numero dei parlamentari? Insomma, un complesso e arzigogolato sistema di ipotesi, richiami e rimandi che certamente non semplifica il quadro normativo. Che, a sua volta, è ulteriormente complicato dalla delega per la definizione dei collegi elettorali con le “Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari” (legge 51/2019), che avrà esito diverso a seconda che la riforma sulla base elettorale del Senato sia approvata o meno.
Non resta che attendere per capire, nelle prossime settimane, se ci sarà o meno il referendum sulla diminuzione del numero dei parlamentari e se almeno il primo passo del processo sarà diventato effettivo.
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Henri Schmit
L’elezione incluso il riparto definitivo “su base circoscrizionale” è un’ottima idea, ma andrebbe applicata alla Camera. Il comune denominatore delle ultime riforme costituzionali (2006, 2016 e ora) è lo snaturamento del Senato promosso da esperti remunerati e politici incompetenti in fondo populisti che vorrebbero far passare novità incoerenti nell’interesse proprio come richieste dell’opinione pubblica. In alternativa a tutto ciò sarebbe preferibile 1. sopprimere la seconda camera sempre più omogenea (un’assurdità ora celebrata come pregio) e fare del Senato un organo consultivo autorevole, eletto indirettamente e selettivamente, senza poteri vincolanti, salvo veto sospensivo su questioni cruciali, come garante della coerenza e della costanza delle leggi, e 2. perfezionare la Camera con una legge elettorale semplice e conforme e 3. il governo rinforzando i poteri del Presidente del Consiglio incluso quello di revocare incarichi ministeriali, introducendo il vincolo della sfiducia costruttiva e una corsia prioritaria per i progetti del governo con tempi parlamentari certi. Per fare questo servirebbero menti indipendenti che vedono le cose in una prospettiva lunga pensando al passato, soprattutto al periodo fra le due guerre in Italia e in Germania, e al futuro, almeno ai prossimi 20 anni. Nonostante l’inflazione senza paragone in alcun paese democratico di costituzionalisti e politologi e in netto contrasto con i tempi della costituente, queste menti sembrano mancare.