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Chi sono i ragazzi che non sanno leggere. E perché

I risultati dell’indagine Ocse-Pisa hanno fatto scalpore. Ma in Italia manca un adeguato programma formativo di base, benché l’obbligo scolastico sia di dieci anni. Un ciclo 5+5 garantirebbe a tutti quel diritto allo studio che oggi è solo sulla carta.

Una questione di diritto allo studio

Sono usciti in questi giorni i risultati dell’indagine Ocse-Pisa 2018, focalizzata in particolare sulle competenze dei quindicenni in “lettura” (misurata come capacità di analisi critica delle informazioni che ci circondano). I giornali hanno titolato più o meno “I ragazzi italiani non sanno più leggere” perché relativamente pochi raggiungono i due livelli più alti della scala 1-6 dei test. Se guardiamo ai livelli 4-6, le percentuali di ragazzi dei vari paesi che li raggiungono sono, per esempio, Usa 35 per cento, Germania 32,8, Giappone 32,1, Portogallo 28,3. Ma nei licei italiani siamo al 35,8 per cento, quindi almeno una parte dei nostri ragazzi sa leggere. Il problema è che nei licei c’è solo il 55 per cento degli iscritti totali e i risultati Pisa dell’altra metà fanno accapponare la pelle: negli istituti tecnici solo 12,7 per cento raggiunge i risultati migliori e nei professionali solo il 3,4 per cento. Non è facile trovare di peggio nelle tabelle: c’è la Georgia, col 2,6 per cento (Pil pro capite 3.500 euro l’anno). Questa zavorra fa scendere la media italiana al 22 per cento, che è molto bassa rispetto al 30-35 per cento dei nostri paesi concorrenti – su venti ragazzi noi abbiamo quattro potenziali innovatori, loro sette.

I risultati non devono sorprendere. In Italia ci sono ragazzini di tredici anni che all’uscita della scuola media si iscrivono al corso di “Tecnico dei servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera” opzione “Prodotti dolciari artigianali e industriali” e lì restano confinati per cinque anni. Di fatto a questi ragazzi il diritto allo studio è negato – e questo è un problema (c’è anche un problema Sud, di cui parleremo separatamente).

La scuola media fu creata nel 1923 con la riforma Gentile, che portò l’obbligo scolastico a 8 anni e per attuarlo allungò le elementari da 4 a 5 anni e creò il triennio a seguire. In realtà, il passo in avanti sostanziale fu solo l’anno in più di elementari perché alla scuola media c’erano due percorsi, uno col latino che permetteva l’accesso alle superiori e uno senza che portava in fabbrica o nei campi.

La “scuola media unificata e gratuita”, che rendeva effettivo il diritto allo studio di 8 anni per tutti, fu introdotta nel 1963 (ministro Luigi Gui, governo Dc-Psi). Poi, alla fine degli anni Novanta, Luigi Berlinguer portò l’obbligo formativo a 10 anni – ma, piccolo particolare, non modificò la struttura dell’offerta, che rimase quella del 5+3 pensata per l’obbligo di 8 anni. E nessuno lo fece mai più. A tutt’oggi, per assolvere l’obbligo di 10 anni, si dovrebbero frequentare i 2 anni iniziali delle scuole superiori – che ovviamente sono rivolti a chi è lì per completare il quinquennio.

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Ma l’obbligo formativo, in una democrazia moderna, non può essere visto come un obbligo dello studente. Deve essere visto come l’obbligo della società di dare a tutti la possibilità di usufruire del diritto allo studio, che si assolve offrendo un adeguato programma formativo di base. Perciò, se crediamo che un tale programma debba durare 10 anni, questo programma – un ciclo 5+5 – è necessario crearlo, perché non esiste. È necessario crearlo perché per la metà dei nostri ragazzi l’istruzione “unificata e gratuita” si conclude a tredici anni, ed è troppo poco per loro e penalizzante per il sistema paese.

I vantaggi del 5+5

Oltre a trasformare il diritto allo studio da lettera morta a fatto concreto, una vera scuola dell’obbligo di dieci anni avrebbe a nostro avviso molteplici vantaggi. In primo luogo, il posticipo di due anni della scelta della scuola superiore ridurrebbe le asimmetrie informative che la caratterizzano: al termine di un percorso comune che definisce più organicamente cosa si “deve” sapere, la scelta di cosa si “vuole” imparare verrebbe attuata in modo più responsabile e informato.

In secondo luogo, un ciclo 5+5 aiuterebbe a ridurrebbe gli stereotipi di genere verso le materie scientifiche e matematiche. Perché nei licei classici il rapporto femmine-maschi (circa 70 a 30) è ribaltato rispetto ai licei scientifici (30 a 70)? Il problema nasce evidentemente alle scuole medie. Imporre la scelta della scuola superiore così presto tende a veicolare facilmente le ragazze al classico e i ragazzi allo scientifico. Spostarla più avanti aiuterebbe a non imporre precocemente come suo punto di riferimento (cioè come status quo) la segmentazione tra materie umanistiche e scientifiche, un male culturale profondo della scuola italiana. Una larga quota delle occupazioni del futuro richiederà competenze digitali (in senso lato). Incidere sugli stereotipi di genere in un paese in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi dei paesi Ocse è una sfida cruciale per lo sviluppo e la cittadinanza.

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In terzo luogo, i corsi di completamento dell’istruzione secondaria, di tre anziché cinque anni, potrebbero essere più focalizzati sugli obiettivi che intendono raggiungere. Vale per i licei, ma ancor più per la formazione tecnica e professionale. Questo settore fondamentale, in cui l’Italia è molto indietro, trarrebbe enorme giovamento dall’avere in ingresso ragazzi con una preparazione più solida. E una accresciuta competenza tecnica andrebbe a vantaggio ovviamente del sistema produttivo, ma anche dell’istruzione terziaria. Non dimentichiamo infatti che i ragazzi di “Prodotti dolciari artigianali e industriali” che non hanno di fatto un diritto allo studio degno di questo nome hanno “in compenso” il diritto di iscriversi all’università – un vero pasticcio.

E qui arriviamo al punto intorno al quale forse gira tutto: la valutazione e conseguente selezione degli studenti, che va (secondo noi) coraggiosamente riformata introducendo le classi per materia. In pratica: oggi uno studente passa dalla classe n alla classe n+1 in tutte le materie contemporaneamente (a meno di non essere bocciato); con le classi per materia si passerebbe da n a n+1 separatamente per materia. In tal modo si eviterebbe di mettere insieme alunni con livelli di preparazione troppo diversa. Le “bocciature” lungo il percorso sarebbero meno traumatiche (per esempio, se si è insufficiente nel secondo livello di italiano, lo si deve ripetere); e alla fine di un ciclo varrebbe l’ultimo voto ottenuto superiore alla sufficienza, di nuovo per materia. Per fare un esempio: se alla fine del percorso di istruzione secondaria sono previsti cinque livelli, uno studente può diplomarsi con 7/10 del quinto livello di scienze e 6/10 del terzo livello di inglese; e potrà essere ammesso ai corsi universitari o di altro tipo compatibili con quei livelli. L’essenziale è che le valutazioni siano “cieche” (come è per le prove Invalsi), perché sono le uniche eque e non manipolabili.

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28 commenti

  1. davide445

    Scusate ma invece di allungare l’obbligo scolastico che richiederebbe ulteriori investimenti, perché non valutare e aggiornare le metodologie di insegnamento e di valutazione? Per un anta come me che ha passato tutti i cicli di istruzione fino a quella universitaria, aggiungendo poi un ulteriore master e specializzazione, é veramente difficile capire come anche nelle scuole del ricco nord provincia autonoma dove vivo (quindi in teoria nelle condizioni migliori possibili in Italia) si riesca ad imparare qualcosa in classi dove la quantità ha sostituito la qualità, dove i genitori sono obbligati a fare i compiti dei figli, dove non esiste selezione né incentivo tra gli allievi, dove enormi disparità di capacità di apprendimento vengono mischiate in una gara verso il basso, dove gli insegnanti non hanno alcuna autorità.

    • Hai ragione, crediamo che la sperimentazione sia importante a scuola come in qualunque processo produttivo. Pensiamo si possano fare parecchie modifiche “micro” (per dirne una, meno interrogazioni orali che fanno perdere un sacco di tempo) e anche più sistemiche per esempio nell’assegnazione degli insegnanti alle classi e nella loro numerosità, ma crediamo che vadano dibattute insieme agli insegnanti piuttosto che proposte in un articolo come questo.

  2. Giampiero Lupatelli

    L’articolo e stimolante e mi è piaciuto molto
    Non mi è chiarissima la proposta conclusiva su ciò che accede a conclusione del ciclo quel che ho capito è che la scelta sul prosieguo è condizionata dai risultati del ciclo precedente. Ho capito bene?

    • Sì, i passaggi devono essere condizionati ai risultati ottenuti anche se si può lasciare flessibilità/discrezionalità in entrata. L’essenziale è che le valutazioni siano cieche in modo da essere affidabili

  3. Marcello Romagnoli

    Teniamo conto che questi test stimano, non misurano la preparazione. È normale che ci sia una variabilità statistica. Una variazione di 10-20 punti su 400 non è significativo. Una tempesta in un bicchiere d’acqua. Un non senso statistico.

  4. Tonino

    Che razza di stupidaggini che ho appena letto. Quindi la colpa sarebbe dei famigerati istituti professionali, e i risultati non avrebbero nulla a che fare con la preselezione che viene alimentata da articoli come questi.
    E’ davvero più facile credere nelle mistiche proprietà dei licei o della stessa scuola secondaria di primo grado? Sarà che i docenti di tecnici e professionali sono inferiori? Ci saranno lauree inferiori per formare docenti di bassa lega?

    Interessante l’idea secondo la quale per migliorare l’istruzione tecnica si dovrebbe RIDURRE il numero di anni di tali discipline. Parcheggiare dei quindicenni/sedicenni dentro una scuola media (con quali materie?) sarebbe più produttivo?

  5. Francesca MARCHETTA

    Caria autori, sono d’accordo sul fatto che sia importante dare un’istruzione comune piu’ lunga a tutti i ragazzi (in francia per esempio la scuola media dura 4 anni). Ma non credo che questo farebbe cambiare significativamente le statistiche PISA. Purtroppo le competenze cognitive dei bambini in età adulta possono essere predette sulla base delle loro competenze nei primi anni di scuola elementare. E’ sulla pre-scuola, sulla scuola materna, sull’inizio della scuola elementare che sarebbero necessari gli interventi piu’ sostanziali. Sopratutto nelle regioni e nei contesti sociali piu’ disagiati dove i bambini piccoli sono spesso in casa con genitori e nonni che non sono hanno i mezzi per poterli stimolare intellettualmente come si dovrebbe.
    Sono invece totalmente d’accordo con il fatto che bisognerebbe cercare di essere piu’ creativi e, perché no, pensare ad una progressione degli alunni differenziata secondo le competenze che hanno acquisito, piuttosto che secondo la loro età. Sarebbe ora di superare l’idea secondo la quale ad una certa età tutti i bambini devono essere capace di fare le stesse cose!

    • Non potremmo essere più d’accordo sull’importanza degli anni pre-scolari. Non potevamo dire troppe cose in un articolo… ma lo diciamo nel prossimo, che dovrebbe uscire a breve.

  6. sergiofirpo

    La proposta del 5+5 appare interessante le difficoltà nascono dopo; c’è la disponibilità politica a non concepire le superiori come liceo? c’è la capacità ad accettare una differenziazione di preparazione sui contenuti?il passato dice di no

  7. andrea

    Sono un docente di discipline aziendali, quest’anno in un istituto alberghiero: perchè tanto livore proprio contro questo indirizzo di studi? Perchè addirittura ritiene che il diritto allo studio sia negato a questi studenti? Chiedo senza polemica, ma solo per capire il suo punto di vista. Fra l’altro, nel caso da lei citato, l’articolazione pasticceria (noi la sintetizziamo così…) viene scelta dallo studente solo al terzo anno del percorso scolastico e il biennio è comune a tutte le articolazioni. Al di là questo punto, sono assolutamente d’accordo con la proposta di un vero obbligo scolastico 5+5 (o magari un 6+4) con un esame finale nazionale sullo stile dei test invalsi per certificare in modo oggettivo l’acquisizione delle competenze di base in italiano, matematica e lingua straniera.

    • L’idea è che nel biennio che fa lo studente che poi deve fare pasticceria si spinga poco; quindi il suo diritto allo studio non è pieno come per altri.
      Sul 6+4: potrebbe essere, c’è un lavoro empirico che dice che funziona meglio. Sono dettagli da discutere, per es Finlandia ed Estonia hanno un ciclo unico (in una singola struttura) 7-16 anni.

      • Claudio Tombari

        La formazione professionale regionale che con la riforma Moratti ha ottenuto la dignità di secondo canale dell’istruzione, è un vero punto critico e non serve a nessuno (tranne a chi la eroga e riceve finanziamenti) ed è la vera responsabile del non raggiungimento di quelle serie competenze trasversali, utili a incorporarne di specifiche durante la vita prof.le in relazione alle innovazioni. Gestire localmente il rapporto formazione lavoro è cosa necessaria, ma bisogna piantarla con gli investimenti regionali (Lombardia e Veneto soprattutto) in istruzione di serie B solo per finanziare preti, suore e feudi elettorali.

  8. Catullo

    D’accordo completamente sull’estensione a cinque più cinque della scuola dell’obbligo, meno su altri punti. Non capisco come migliorerebbe l’accesso alle facoltà scientifiche, la gran parte delle studentesse evidentemente preferisce studiare altro (nessuno punta una pistola alla loro tempia per costringerle a studiare cose che non vogliono. Faccio un esempio, quando cominciò l’avvento dell’informatica le scuole dove si insegnava erano a grande prevalenza femminile, lo ricordo bene perché da adolescenti andavamo a cercare le tante ragazzine che frequentavano tali istituti. Adesso è un feudo maschile, cosa è successo? Io non l’ho capito. E poi sulla vecchia scuola alberghiera faccio presente che la percentuale di ragazzi stranieri o di origine straniera è altissima, non è che anche questo fa diminuire la comprensione di un testo in italiano? Perché non si citano le altre materie?

  9. alberto

    E’ – in fondo – un gran pippone praticamente dice elementari più Ginnasio, senza usare la parola gentiliana.
    Cosa che su sarebbe dovuto fare già nel ’63: ma l’importante era disfare le scuole professionalizzanti.

  10. Chiara Fabbri

    Il disallineamento tra l’obbligo scolastico e la durata dei cicli e’sicuramente un tema, ma cio’ che andrebbe veramente considerato e’, come propone l’autore, un sistema in cui il rendimento di ciascuna materia determini l’avanzamento al corso successivo per quella materia e non in maniera onnicomprensiva all’anno successivo. Un simile sistema potrebbe anche scardinare il malcostume italico della predominanza dei professori di lettere nel collegio dei docenti, per cui le sorti degli alunni vengono decise principlamente dal loro rendimento nelle materie letterarie, anche a discapito delle loro competenze scientifiche. Non si tratterebbe di una riforma a grosso impatto economico in quanto si tratterebbe solo di riorganizzare il sistema dalla classe alla materia, ma avrebbe il grosso merito di consentire ai ragazzi di affrontare il percorso scolastico secondo i propri punti di forza e debolezza, e consentirebbe anche di differenziare la classe docente tra chi, ad esempio, puo’insegnare matematica base e chi matematica avanzata o corsi di recupero (e venire pagato di conseguenza?). Peraltro esiste gia’nel sistema italiano un modello di scuola di questo genere, e’la scuola Montessori, a volte non serve inventare nulla, basta guardare a quello che funziona e estenderlo.

  11. GIANNI TREZZI

    Se verso la fine degli anni ’90 si fosse dato seguito alla ristrutturazione della scuola proposta da Giovanni Berlinguer (la cosiddetta “Riforma dei cicli”) probabilmente le cose sarebbero cambiate in meglio. Purtroppo la furia iconoclasta delle successive maggioranze e governi hanno fatto perdere al nostro Paese un’occasione storica di avere finalmente una scuola all’altezza delle migliori d’Europa e dell’OCSE…

  12. bob

    qui c’è un problema di fondo : si confonde scuola con cultura!

  13. Luigi Calabrone

    Qui si vola troppo alto. Stiamo più a terra. I ragazzi del Sud, che danno i risultati peggiori vengono da scuole dove si parla troppo in dialetto, sia tra gli allievi, sia da alcuni insegnanti che si rivolgono agli scolari in linguaggio misto. A casa si parla solo in dialetto e ci sono pochi o nessun libro/giornale. Si capisce bene un testo se si ha abitudine alla lettura; chi non legge mai, farà sempre fatica a capire. (I ragazzi stranieri che frequentano le scuole spesso sono più motivati a studiare e capire perché i genitori li stimolano maggiormente; le ragazze provenienti da ambienti in cui le donne sono svantaggiate sono ancor più motivate ad apprendere). Rimedio: biblioteche scolastiche e libri interessanti, non accademici. Si impara a scrivere anche leggendo libri gialli, di avventure, di divulgazione scientifica, di cucina, manuali tecnici ben scritti. (per sfortuna, pochi). Esercizi di scrittura/comprensione: metà della classe scrive un testo su argomento concreto/operativo, e l’altra metà lo interpreta, eccetera.

  14. Michele De Russi

    Articolo buono, ma che però non spiega perché questa riforma non si fa. In Italia la maggioranza della gente pensa che “un ragazzo su quattro per natura non ce la fa a stare sui libri” e questa sua natura secondo loro non può essere modificata da nessun ambiente famigliare e da nessuna scuola e dunque è un bene che si torni ad abbassare l’obbligo fino alla terza media, che si abbiano meno diplomati e che le scuole debbano essere divise in “chi è più bravo a stare sui libri” e in “chi è più bravo a zappare o saldare” (ovviamente, i primi devono studiare in più le materie “marcatrici di bravura” cioè latino e filosofia) in quanto dimostrerebbe la selezione dei pochi meritevoli (e ignora casi come la Corea del Sud che ha avuto nel 2018 il 69,6% di laureati nel 2018 tra 25-34enni e contemporaneamente 5 sue università tra le 100 migliori università del mondo, dimostrazione che ci può essere una scuola e università di massa senza abbassarne la qualità). Bisogna scardinare questo assunto innatista ma per farlo bisogna non avere alla scuola dell’obbligo filologi o biochimici di serie B ma avere insegnanti di italiano e scienze di serie A, dunque anche per insegnare alle medie ci dovrebbe essere un percorso simile a quello di scienze della formazione, ovvero laurea abilitante a ciclo unico con unico sbocco l’insegnamento e con molto, molto, molto tirocinio prima della laurea..

  15. Marco Gori

    Ma un programma formativo di base che garantisca il diritto allo studio a tutti non dipende principalmente dalla formula, 5+5 piuttosto che 5+3+2 come è adesso. Quello che fa la differenza sono i programmi, la didattica e il livello qualitativo degli insegnati.
    Personalmente preferirei riportare a 8 gli anni obbligatori (perché se fatti bene non bastano a garantire il diritto allo studio?) facendoli seguire, per chi vuole continuare, da un primo biennio di superiori uguale per tutti, istituti professionali, istituti tecnici e licei.
    Questo oltre a mantenere i già da lei citati vantaggi ne avrebbe anche altri. Primo tra tutti la fattibilità dell’operazione rispetto al 5+5 che costringe a ridisegnare la struttura delle scuole, poi eliminerebbe la farsa degli esami integrativi per chi alle superiori decide di cambiare scuola. Infine, diciamolo chiaramente, toglierebbe dalle scuole chi ci va solo nell’attesa di arrivare al decimo anno obbligatorio, rallentando la didattica e lo svolgimento dei programmi durante l’anno e questo è un fatto.
    Perfettamente d’accordo sul punto cruciale della valutazione che dovrebbe prevedere anche procedure ‘cieche’. Che poi la valutazione sia in voti, giudizi o livelli poco cambia nella sostanza. Difficile l’inserimento delle classi per materia, però potrebbe essere fattibile per chi arriva a fine percorso obbligatorio con ancora lacune in alcune materie. Si potrebbe pensare a corsi per materia a completamento delle competenze minime richieste.

  16. Andrea Sarlo

    Le proposte sono in linea con quello che da sempre penso sulla scuola. Le basi formative che si riuscirebbero ad ottenere con il 5+5 e con la separazione delle discipline, associata ad una valutazione per obiettivi didattici, sono indispensabili per costruire una cultura solida su cui innestare ciò che si vuole imparare. Tre anni di superiori mi sembrano sufficienti, quando ben spesi, per essere il trampolino di lancio nel mondo del lavoro o nel ciclo universitario. Agli studenti dovrebbe essere detto in modo chiaro quali sono le competenze da raggiungere e lo sbarramento all’accesso universitario servirebbe a far in modo che i test finali di valutazione fossero il vero obiettivo di tutti, studenti e docenti, senza gli alibi o le illusioni che oggi affievoliscono i processi di valutazione.

  17. amadeus

    Il commento sarebbe potenzialmente lungo ma cercherò di riassumerlo brevemente. Problema: come migliorare le performance degli studenti italiani in 2^ superiore. Soluzione proposta: allungare la scuola media da 3 a 5 anni e accorciare la scuola superiore a 3 anni. La soluzione proposta potrebbe (condizionale d’obbligo) migliorare la paerformance di coloro che puntano solo al raggiungimento dell’obbligo scolare e che oggi sono costretti ad iniziare il biennio delle superiori, tipicamente nelle scuole meno impegnative. La soluzione è piuttosto debole: già oggi i presidi delle scuole superiori più impegnative lamentano il fatto che lo studente uscito dalla scuola media è impreparato di fronte al tipo di studio richiesto dalle scuole superiori. Per plasmare lo studente alla nuova realtà servono quasi 2 anni. proprio quelli che si vorrebbero togliere per lasciarli alla scuola media. Il rischio concreto è quindi quello di un appiattimento al ribasso. Esattamente l’opposto dell’obiettivo cercato. Il vero problema è che nessuna istituzione scolastica è disposta ragionevolmente ad investire su quegli studenti che stanno per abbandonare gli studi allo scadere dell’obbligo di età. Anche utilizzare gli insegnanti migliori potrebbe essere uno spreco se poi gli studenti abbandonano. L’unica soluzione sensata è quella di investire maggiormente sulla formazione professionale.

  18. Giovanni

    In attesa di riforme più o meno complesse, si potrebbe intanto riabilitare alle elementari il riassunto, che, a quanto mi consta, è stato messo da parte forse perché non stimolerebbe la creatività. Per poter fare un riassunto bisogna leggere con attenzione cercando di capire, da esso l’insegnante potrà rendersi conto del grado di comprensione del singolo alunno e lavorarci sopra.

  19. La scuola media però fu creata con la riforma Bottai del 1940 (legge 889).

    Per il resto, è un ottima proposta, non molto lontano da quanto propone anche Condorcet Ripensare La Scuola

  20. Gian Michele

    Al di la della formula , credo abbiate centrato il vero problema della scuola Italiana: la valutazione. L’abbassamento delle conoscenza minime richieste, testimoniato dalla percentuale bulgara di promossi, ha di fatto eliminato quel processo selettivo che è alla base della creazione di una società consapevole e capace anche di un riscatto sociale attraverso la conoscenza. Diventa ormai necessario consentire ai docenti di esprimere in modo netto e chiaro la propria valutazione su un ragazzo, senza che questa venga edulcorata o addirutura stravolta, dal consiglio di classe, in nome di un buonismo fasullo che nasconde sempre l’utilitaristica convinzione che promuovendo si salva il posto di lavoro e si è bravi insegnanti e bocciando no. Chiaro appare altresì , che se si persegue l’utopica convinzione che tutti possono fare tutto, anche senza faticare, che tutti sono uguali, che ogni uno vale quanto gli altri uno, allora poi è normale che si arrivi a questi risultati rilevati dall’indagine. Ma poi, visti i profili di molti giovani politici, figli di questa scuola, che occupano posizioni apicali, era proprio necessaria questa indagine per capire cosa sta succedendo in Italia?

    • Giovanni

      La scuola delle competenze e delle abilità , ha distrutto quello che dovrebbe rappresentare l’essenza di ogni percorso di apprendimento: la conoscenza. La scuola di oggi dice di riprendere in toto quella di Don Milani, decontestualizzandolo completamente e facendone un totem indiscutibile. Il prete di Barbiana operava in un periodo in cui a scuola andavano solamente i figli dei benestanti ed oggi non mi pare più così, ma soprattutto prendere alla lettera “lettera ad una professoressa”, mi sembra deleterio. E questo è stato fatto. E non in Italia e basta. Tutta l’Europa sta distruggendo la lezione frontale, lo studio individuale, la capacità di sintetizzare un discorso anche mentalmente, in nome di una fumosa creatività. Mentre proprio adesso che a scuola ci vanno tutti i livelli dovrebbero tendere all’eccellenza, si abbassano gli obiettivi con la scusa di non lasciare nessuno indietro. Così si crea analfabetismo, e, in ogni caso i figli dei benestanti se la caveranno comunque.

  21. Marta

    Da una parte ci sono troppi psicologi a scuola e questo influisce sul senso del dovere e del comportamento dei ragazzini che si sentono giustificati in ogni cosa che fanno. L’insegnante ha perso la sua autorevolezza. Ma è anche vero che l’insegnante ha perso anche il suo dovere di insegnare, delegando i genitori a seguire i bambini su quello che dovrebbe insegnare lui o lei. Ecco che escono dalle medie analfabeti con un 6 — e due calci nel sedere, mentre ragazzini in gamba, solo per antipatia verso un genitore, iniziano a odiare il sistema scolastico. Mettiamo quindi i puntini sulle “i”: i bambini devono apprendere a scuola, non a casa a spese dei genitori. I ragazzini delle medie devono essere bocciati anche più volte se non raggiungono risultati di alto livello. Gli insegnanti devono lasciare a casa simpatie e antipatie e puntare più sulla qualità dell’insegnamento. Direi che l’ultima prova nazionale ha fatto chiaramente emergere che la gran parte di coloro che vorrebbero insegnare, alla fine, non conosce neppure il programma di terza liceo. Male. Molto male!

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