Quella di Alitalia è ormai una crisi industriale come tante altre nel nostro paese. Un fatto che sembra diventato chiaro anche al governo. Perciò il commissario unico prima di vendere la compagnia, dovrà ristrutturarla. E i costi li pagheranno i contribuenti.
Una crisi come le altre
A suo tempo, scrivere di Alitalia era una sfida intellettuale abbastanza contro corrente, con maggioranze che blateravano di salvare l’italianità e nonsense del genere. Molti in realtà continuano a temere la perdita di italianità della compagnia aerea, ma scriverne è diventato noioso, e ripetitivo come gli errori che si sono commessi e che si prefigurano ancora all’orizzonte.
Il primo errore? Prestare tanta attenzione ad Alitalia. Vent’anni fa la compagnia impiegava circa 23 mila persone, oggi meno della metà. Di piloti e tecnici di volo ne impiegava circa 2.500, oggi forse un po’ più di metà.
Vent’anni fa Alitalia era probabilmente il principale vettore degli italiani, oggi RyanAir e EasyJet ne muovono senz’altro di più. E se ci si concentra sui voli internazionali, anche Lufthansa è più importante come vettore da e per l’Italia. La verità è che la crisi di Alitalia è una crisi industriale come tante altre nel nostro paese, purtroppo. Sicuramente accanto agli esuberi annunciati di Ilva e Unicredit, quelli di Alitalia non rappresentano una situazione facile da gestire, ma il vero problema oggi sul tappeto è questo e non altro.
Se poi Alitalia resterà una compagnia aerea autonoma, poco importa. Il brand, immagino, resterà perché ha un valore che chiunque decidesse di accaparrarsene le spoglie vorrà sfruttare e accrescere. Il resto a questo punto – spero – non resterà. Ne abbiamo avuto abbastanza. E le recenti vicende lo confermano.
Dai tre commissari al commissario unico
Il 2 maggio 2017 Alitalia è stata posta in amministrazione straordinaria. Le abbiamo immediatamente fatto (noi cittadini) un prestito di 600 milioni, cresciuti di altri 300 a ottobre dello stesso anno, quando il prestito è divenuto oneroso, sperando così di evitare gli strali di Bruxelles. Era previsto un tasso del 10 per cento annuo, interessi mai pagati, anzi cancellati (per 145 milioni, fino a maggio 2019) dal governo Conte 1. La Commissione sta indagando per “valutare se il prestito ponte di 900 milioni di euro dell’Italia a favore di Alitalia (…) sia conforme alle norme dell’Ue in materia di aiuti di stato”. Non ci hanno fatto fretta, diciamo la verità. Sono circa due anni che il dossier è aperto e ancora non siamo stati sanzionati – evidentemente non amano sparare sulla Croce rossa. E comunque dal punto di vista competitivo Alitalia fa davvero poca paura. Anche se normalmente i prestiti per salvataggio e ristrutturazione di imprese non dovrebbero essere concessi per più di sei mesi.
Ai tre commissari nominati a maggio 2017 era stato dato l’obiettivo di vendere salvaguardando l’unità aziendale. Ora, nuovo mandato, nuovo commissario.
Ormai sembra chiaro che – così come è – nessuno si compra Alitalia, neppure chi in Italia ha già in mano le ferrovie o le autostrade ed è quindi ricattabile dal potere pubblico. Non è difficile immaginare che il comportamento del nostro sistema politico sulla ex Ilva abbia pesato. Siamo un paese che ormai sembra strutturalmente incapace di mantenere gli impegni presi. Chiunque si prenda Alitalia oggi sa che o acquista un’impresa già risanata oppure si vedrà scaricare sul suo bilancio tutti i problemi irrisolti della compagnia. Nessuna promessa vale, e comprensibilmente anche gli amministratori delle nostre ferrovie statali non se la sentono di caricare sul loro bilancio il risanamento di un’impresa che loro per primi sono tutt’altro che certi di potere e sapere risanare. Vedere cammello, pagare denaro: prima risani Alitalia e mi lasci asset che potrò sicuramente usare in modo ragionevole, poi acquisto. Con anni di intenso lavoro autodistruttivo abbiamo deciso di mandare la credibilità del paese alle ortiche, e questo è quanto ci troviamo.
Negli ultimi mesi Alitalia ha perso tutto il perdibile. Anche se i commissari non hanno pubblicato un vero bilancio, la stima di una perdita di circa 1 milione al giorno è purtroppo ragionevole. Ma riguarda solo la parte operativa: nei primi sei mesi del 2019 Alitalia ha perso circa 1 milione al giorno (164 milioni) prima di considerare ammortamenti e imposte, che sicuramente spingono il risultato finale ancora più in basso.
Senza investimenti – che certamente una gestione commissariale non poteva effettuare – l’azienda non si poteva risollevare. Ma nessuno compra un’azienda che continua a perdere se prima non la si risana, visto che (una volta acquistata) il nostro stato irragionevole potrebbe impedirci di farne ciò che vogliamo. Finalmente, questo è risultato chiaro anche al nostro governo – che, quanto meno, sembra mostrare una lucidità superiore ai precedenti – così che ai tre commissari “venditori” si sostituisce un commissario “risanatore”. Non nel senso che ci si aspetta da lui che riporti Alitalia in utile, ma nel senso che dovrà ritagliare ciò che è vendibile da ciò che non lo è, mantenendo la seconda parte a carico dello stato e cedendo rapidamente la prima.
Compresi gli interessi, negli ultimi due anni Alitalia ha già drenato dalle casse pubbliche ben oltre 1 miliardo di euro. E i 400 milioni appena concessi si aggiungono al conto che va a gravare sulle nostre tasche. A un tasso di interesse ragionevole data la situazione aziendale, dovremmo parlare di oltre 1 miliardo e mezzo – giusto per avere un parametro, si tratta di quasi 150 mila euro per ciascun dipendente. Quali sarebbero stati i costi di chiuderla allora? Fatico a credere che sarebbero stati superiori.
Un risultato pessimo, ampiamente previsto fin dall’inizio, le cui responsabilità politiche sono equamente divise tra i governi (e i ministri preposti al settore) che si sono succeduti da maggio 2017 a oggi.
L’unica offerta vincolante oggi sul tavolo è quella di Fs, corredata da garanzia bancaria, ma condizionata alla individuazione del partner industriale, che però non si è riusciti a indicare in modo fermo e concreto. E se non è saltato fuori in oltre due anni di tentativi, difficilmente si materializzerà rapidamente. Se non con costi sociali pesanti e con conseguenze sul nostro sistema tutte da scoprire.
Se ormai sembra inevitabile che lo stato si debba accollare la maggior parte dei costi dell’operazione, cerchiamo almeno di vendere ciò che Alitalia ha ancora in sé in modo razionale, senza svenderlo, e controllando gli effetti che questa infausta operazione avrà sul sistema aeroportuale e sulla concorrenza. Fatta una costosissima frittata, cerchiamo di non farne una seconda.
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umberto
il vero problema che non è mai “politically correct” rompere teste
davide445
Fa sempre piacere leggere una analisi lucida ed obiettiva.
Certo che se i risultati erano ampiamente prevedibili, sarebbe molto più interessante capire il perché ci si é arrivati.
Ma questa storia forse nessuno la vuole scrivere.
Henri Schmit
La situazione dell’Alitalia è colpa del GOVERNO inteso come istituzione, potere esecutivo e autorità, indirettamente eletta e responsabile, ma inefficiente, incostante, interessata solo all’effetto immediato, incurante delle conseguenze strutturali, demagogico. In tutti i paesi le compagnie “nazionali”, private e pubbliche, sono state risistemate (con più o meno successo, effimero o duraturo) oltre 20 anni fa. Perché da noi no? È l’esecutivo che né è responsabile, la colpa è sua e di coloro che l’hanno scelto. Non voleva Berlusconi introdurre la responsabilità civile dei magistrati? Allora chiediamogli i danni, a lui e ai suoi alleati nazionalisti, per quello che hanno combinato nel 2008, pur di vincere le elezioni in parte su questo programma: teniamoci la nostra compagnia, pontificavano, formiamo una cordata di imprenditori italiani che la gestirà a “nostro” vantaggio, una cosa nostra insomma, fra cassa integrazione, commissari e litigi giudiziari, le eccellenze (pubbliche) del paese. E oggi il nazionalismo becero e nostalgico è più affermato, più forte di allora.
Giovanni Rossi
nessuna forza politica e nessun governo italiano di dx e sx degli ultimi 25 anni ha mai NEI FATTI DIMOSTRATO la volontà di far si che i destini della ormai ex compagnia di bandiera fossero affidati al mercato ed alla concorrenza; certo; il tema è sempre quello; in assenza di un welfare che garantisca il lavoratore e non il posto del lavoro sarà quasi impossibile trovare soluzioni a problemi che vengono gestiti da politici raccontaballe ed italiani che li votano.