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Nuove famiglie per l’Italia di domani

L’immigrazione in Italia assume sempre più un profilo familiare. Ma ricongiungere le famiglie immigrate è solo un primo passo. Bisogna aiutarle a ricominciare un percorso di vita comune, attraverso misure e servizi che favoriscano l’accoglienza.

Il profilo familiare dell’immigrazione

Quando in Italia si parla di famiglia e di valori familiari, quando si organizzano convegni e iniziative a sostegno della famiglia, scatta una sorta di riflesso condizionato: le famiglie che si vogliono (giustamente) tutelare sono immaginate e rappresentate come italiane, per nascita, cittadinanza, formazione culturale. Per converso, quando si parla d’immigrazione, l’immaginario più ricorrente evoca giovani uomini soli, oggi soprattutto africani e sbarcati dal mare.

Forse ad alcuni potrà apparire sorprendente, ma l’immigrazione in Italia, come negli altri paesi sviluppati, sta assumendo sempre più un profilo familiare (per approfondimenti, rimando al mio recente libro: Famiglie nonostante. Quando gli affetti sfidano i confini, Bologna, Il Mulino, 2019) Anche nel 2018, come negli anni precedenti, la maggioranza dei nuovi permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi extra-Ue (il 52,4 per cento) sono stati concessi per motivi familiari. I cittadini dell’Ue non ne hanno bisogno, così come i lavoratori ad alta qualificazione: possono portare con sé le famiglie senza particolari vincoli. In aggiunta, degli oltre 5 milioni di stranieri residenti 1,1 è nato in Italia da genitori stranieri. Mediante le famiglie cresce la mescolanza e si formano nuove identità culturali. Le popolazioni immigrate diventano sempre più simili a quelle autoctone, fino a confondersi con loro.

Come aiutare le “nuove” famiglie italiane

Questi processi non sono tuttavia privi di tensioni e difficoltà. Nell’epoca contemporanea le famiglie immigrate raramente arrivano insieme. I primi a muoversi sono di norma giovani adulti, uomini e donne (la maggioranza in Italia e in Europa), che lasciano i familiari in patria. L’immigrazione comporta una separazione delle famiglie: una fase in cui gli affetti vengono tenuti vivi da telefonate e (oggi) videochiamate, dagli aiuti materiali e dai doni inviati a casa, dalle visite quando è possibile. Rendere più agevoli i ricongiungimenti familiari, consentire a genitori e figli di ritrovarsi e vivere insieme, favorire la “cittadinanza genitoriale”, dovrebbe essere il primo obiettivo di politiche familiari davvero inclusive.

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Ricongiungere la famiglia, però, è solo un primo passo: dopo anni di lontananza tutti i protagonisti si accorgono di essere cambiati, e non soltanto perché i figli sono cresciuti. Il ricongiungimento non è un lieto fine, ma un nuovo inizio, carico di incertezze, sfide, nuovi equilibri da conseguire. Il secondo obiettivo dunque dovrebbe essere quello di accompagnare i processi di ricongiungimento, aiutare le famiglie immigrate a ricominciare un percorso di vita comune. Penso per esempio a famiglie-tutor che in ambito locale si “gemellino” con quelle neo-arrivate, diventando un punto di riferimento per orientarsi in un ambiente sociale per molti versi sconosciuto.

L’inserimento dei figli nel nuovo contesto è un altro passaggio cruciale. Più sono cresciuti, più diventa difficile per loro adattarsi. Serve una scuola accogliente, ma servono anche luoghi extrascolastici in cui possano sviluppare esperienze di socialità e apprendimento informale. Già oratori, doposcuola, società sportive fanno molto in questo campo. Forse però occorre andare oltre la spontaneità, sviluppando consapevolezza, competenze, cammini più strutturati.

Quando i figli sono nati qui (ormai, la maggioranza), i luoghi extrascolastici accessibili e a basso costo risultano parimenti preziosi per offrire opportunità di aggregazione, divertimento, sviluppo educativo, a cui altrimenti le famiglie con pochi mezzi avrebbero difficoltà ad arrivare.

Vanno infine ricordate le coppie e famiglie miste: oltre il 12 per cento dei matrimoni. In più di tre casi su quattro, sono uomini italiani che sposano donne straniere, provenienti perlopiù dall’Europa orientale. Qui le occasioni di scambio culturale e integrazione sociale sono per definizione esaltate, ma sorgono anche questioni delicate e complesse, che spaziano dalle reazioni dell’ambiente, al rapporto con le famiglie di origine, agli squilibri di potere, all’educazione religiosa dei figli che nascono da unioni interconfessionali. Anche in questo caso, accoglienza e accompagnamento possono fornire un apporto decisivo. E le coppie miste possono diventare un esempio per le comunità.

Il futuro di un paese cammina insieme alle sue famiglie. È ora di renderci conto che le famiglie dell’Italia di domani sono anche queste, arrivate da lontano per ringiovanire un paese in declino.

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Cosa ci insegna il caso Atlantia

  1. Alice Crosilla

    Lungimirante

  2. Savino

    Gli italiani sono diventati talmente egoisti da odiare e non aiutare nemmeno i propri figli.

  3. Mahmoud

    Invertire i rapporti causa-effetto è sempre qualcosa di pericoloso. L’Italia è in declino da quando la tassazione su chi non evade costringe i suoi giovani cittadini più brillanti ad espatriare. Fondi sperperati anche nell’accoglienza di cittadini di Paesi stranieri, ad esempio nelle loro cure mediche in un Paese di cui non sono cittadini ma in cui la sanità è universale. Probabilmente una adatta soluzione sarebbe quella di aumentare i vincoli per ottenere i rilasci di permesso di soggiorno per motivi familiari, iniziando dall’imponibile minimo dichiarato negli ultimi anni di permanenza in Italia da parte del componente che chiedere da qui il ricongiungimento. Parimenti occorrono maggiori controlli sulla validità di fatto dei numerosi matrimoni contratti da cittadini autoctoni con cittadini stranieri. Questo a maggior ragione poiché l’integrazione ha un costo altissimo, economico oltre che sociale. Ricordiamo che le persone nate in Italia ma non cittadine italiane hanno sempre cittadinanza di altro differente Stato, verso il quale è presumibile presto o tardi facciano ritorno, non sono apolidi che altrimenti vedrebbero riconosciuta cittadinanza italiana ben prima del raggiungimento della maggiore età. Anche potenziare i fondi per i rimpatri volontari assistiti dei cittadini stranieri presenti sul territorio sarebbe in ottica di lungo periodo un importante investimento per il sistema Paese. Occorre maggiore coraggio politico in queste direzione ma sono personalmente fiducioso.

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