Il decreto del governo cerca di garantire un ombrello protettivo del reddito a un grande numero di lavoratori e di favorire la conciliazione famiglia-lavoro. Alcune categorie però restano escluse. Forse si dovrebbe ascoltare di più il terzo settore.
La protezione dei lavoratori
I contenuti del decreto “cura Italia” segnalano un apprezzabile sforzo di fornire un ombrello protettivo del reddito al più ampio numero di lavoratori possibile, estendendo alcune misure e introducendo altre.
L’ampliamento delle possibilità di ottenere l’assegno ordinario di integrazione salariale e l’estensione della cassa integrazione dovrebbero comprendere tutti i dipendenti, di tutti i settori produttivi che hanno dovuto chiudere o ridurre la loro operatività, salvo le collaboratrici domestiche e badanti, di cui viene confermato lo statuto anomalo rispetto al rapporto di lavoro: dipendenti, ma senza tutti i diritti dei lavoratori dipendenti, incluso quello del congedo genitoriale – ordinario, e anche ora quello straordinario, per il Covid-19 . È poi prevista una indennità di 600 euro per una serie, distinta per categorie di lavoratori autonomi, co.co.co., stagionali, forse anche colf e badanti, non chiaro se in base a criteri di reddito e se con le stesse regole. Oltre a mantenere gradi di protezione molto diversi tra lavoratori dipendenti (nel privato) e altri lavoratori, non è chiaro perché questi ultimi vengano distinti in categorie che suggeriscono la possibilità che, appunto, si adottino criteri differenti per ciascuna. Pur nell’estensione delle coperture, restano infatti distinzioni categoriali e anzi se ne creano di nuove, con il rischio che qualcuno rimanga escluso del tutto.
In secondo luogo, accanto alla lodevole parola d’ordine che nessuno deve perdere il lavoro, vi è molto poco per chi il lavoro l’ha già perso, il cui contratto non è stato rinnovato, o non è stato perfezionato perché è scoppiata l’emergenza. Se va bene, avranno diritto, a seconda dei casi a un po’ di Naspi o Dis-Coll, curiosamente non nominate nel decreto come misura che dovrà essere rafforzata anche sul piano finanziario. Se va male, avranno accesso a un nuovo Fondo per il reddito di ultima istanza per “i lavoratori dipendenti o autonomi che … hanno cessato o ridotto la loro attività”, per ricevere una indennità di importo non quantificato. Non si capisce davvero l’utilità, e l’opportunità, di creare un nuovo “reddito di ultima istanza” quando esiste il Reddito di cittadinanza, che, oltre a non essere una tantum, in questa situazione dispiegherebbe il proprio ruolo principale, appunto, di sostegno al reddito. Sarebbe stato più opportuno rafforzare e adattare questo, per fronteggiare il probabile aumento di aventi diritto, tanto più se, nel calcolo dell’Isee, si tenesse conto, come sarebbe opportuno, del reddito corrente e non di quello dello scorso anno e si scontasse una parte di quello guadagnato con il lavoro. Se si mantiene il riferimento all’anno precedente, infatti, molti dei lavoratori non coperti dalla cassa integrazione in deroga, specie se appartenenti alla categoria “residuale”, potrebbero non ottenere né i 600 euro una tantum previsti – se l’anno scorso hanno superato i 10 mila euro di reddito –né il reddito di cittadinanza, anche se hanno perso il lavoro o comunque hanno subito forti perdite di reddito.
Su questi temi si è aperto anche un dibattito sul Forum diseguaglianze e diversità.
Le misure per le famiglie
Anche il positivo impegno per la conciliazione famiglia-lavoro di chi, occupato, ha responsabilità di cura verso i più piccoli o verso un famigliare disabile o non autosufficiente non è accompagnato da una più generale attenzione per altri tipi di grave criticità sperimentati dalle e nelle famiglie a causa dell’emergenza. La chiusura delle scuole, dei centri educativi, dei centri diurni, dell’assistenza domiciliare, non solo rende difficile l’organizzazione famigliare per chi lavora, da casa o fuori. Lascia a tutte le famiglie, a tutti i caregiver, un peso e una responsabilità enorme e apre un vuoto di azioni e relazioni che non tutte sono in grado di colmare. Se parte dei fondi andasse a sostenere le iniziative che, meritoriamente, molte associazioni di terzo settore, da sole o in collaborazione con le scuole e con i servizi comunali, stanno mettendo in campo per cercare di contrastare questo vuoto, si conterrebbe il rischio di trovarci alla fine dell’emergenza con caregiver distrutti, persone che hanno visto peggiorare la propria disabilità, bambini lasciati indietro, ragazzini depressi e sfiduciati. Sono questioni su cui quotidianamente richiamano l’attenzione associazioni di caregiver, Forum del terzo settore, associazioni che si occupano di sostegno ai diversi tipi di fragilità, i network Alleanza per l’infanzia e Investing in children.
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Alfredo
Il sostegno al reddito delle baby sitter lo offrono ancora una volta le famiglie che le hanno regolarmente assunte e regolarmente pagano i contributi. Così come per la malattia. E zero flessibilità contrattuale. Alla faccia del sostegno alle famiglie e della conciliazione famiglia lavoro. In questo periodo lavori da casa coi bimbi intorno e continui a pagare la tata regolarmente.
andrea
Premetto di parlare per interesse personale. Mi chiedo perchè non siano stati inseriti interventi per aiutare le famiglie indebitate per finanziamenti e prestiti al consumo. Nel mio nucleo familiare mia moglie, lavoratrice stagionale nel settore turistico, quasi sicuramente non percepirà alcun reddito e cercheremo di far fronte all’emergenza disinvestendo alcune somme da piccoli investimenti (ovviamente in perdita dato il crollo dei rendimenti nelle ultime settimane) ma purtroppo immagino decine di migliaia di famiglie che non riusciranno a saldare gli impegni con banche e finanziarie.
bob
ieri sera a Porta a Porta alla domanda posta da una P. IVA al ministro Patuanelli sulle modalità per ottenere il contributo di 600 euro la risposta è stata” non lo so devono essere attuati i decreti”