Nel 2020 per la prima volta da anni si registrerà un calo della domanda di petrolio. L’epidemia di coronavirus ha determinato una frenata delle richieste dalla Cina. Ma sul prezzo del barile influiscono anche le divergenti strategie di Russia e paesi Opec.

Il coronavirus e la domanda di petrolio

Possiamo lanciarci in una facile previsione: questanno la rivista Time, anziché luomo o la donna dellanno, sceglierà come protagonista del 2020 il coronavirus. È molto probabile, infatti, che la crisi provocata dallemergenza sanitaria abbia conseguenze (non solo economiche) che potrebbero proiettarsi anche nel lungo termine. Un elemento di ulteriore incertezza riguarda la differente dinamica e tempistica con cui la crisi si è manifestata: Cina, Italia e Stati Uniti, giusto per fare un esempio, sono stati attaccati dal contagio in tempi differenti.

Come in tante altre crisi e recessioni più o meno recenti, al completo recupero sul piano economico vengono attribuite forme differenti: a forma di U, V, W o una più tragica L. Non è certo un caso che lultimo Economic Outlook dellOcse, pubblicato a marzo 2020, si intitoli Coronavirus: the world economy at risk.

Mentre la Cina ha adottato immediatamente misure forti in risposta allinsorgenza della crisi, la situazione sembra ora peggiorare in tutto il mondo, con oltre 60 paesi che segnalano casi di contagio. Limpatto sulleconomia mondiale sta diventando via via più evidente. LEconomic Outlook definisce il virus come “una minaccia senza precedenti per leconomia mondiale” e prevede una riduzione delle stime sulla crescita economica nel 2020 (figura 1).

Secondo le previsioni dellAgenzia internazionale dell’energia, entro la fine del primo trimestre 2020, l’epidemia sarà da considerare sotto controllo in Cina, mentre prosegue la sua diffusione in molti altri paesi, con Stati Uniti ed Europa ai primi posti. Le misure di contenimento imposte alla popolazione in queste aree dovrebbero avere un effetto minore sulla domanda di petrolio rispetto a quello registrato in Cina.

Secondo lAgenzia, nel primo trimestre dellanno, la Cina vedrà una riduzione della domanda annuale di petrolio di 1,8 milioni di barili/giorno, per via della chiusura delle fabbriche e per la sostanziale riduzione della domanda di benzina o gasolio per i trasporti dovuta al contenimento della popolazione.

Nel secondo trimestre, man mano che la situazione migliorerà nel paese asiatico, la domanda di petrolio diminuirà in alcune altre grandi economie, come Giappone, Europa e Stati Uniti, ma nel complesso a livello mondiale sarà solo leggermente inferiore rispetto a un anno fa. Via via che ci inoltriamo nella seconda metà dellanno, poi, la domanda dovrebbe aumentare, crescendo di 1,1 milioni di barili al giorno rispetto allo stesso periodo del 2019.

Per il 2020 nel suo insieme, lentità del calo nella prima metà dellanno porterà a un declino globale della domanda di petrolio di circa 90mila barili/giorno, il primo dal 2009.

A rendere la situazione più complicata, si deve registrare un crollo del prezzo del petrolio dovuto in parte al calo della domanda e in parte alle tensioni tra Russia e paesi Opec, con lArabia Saudita quale principale attore.

Guerra del prezzo tra Russia e paesi Opec

Sul lato offerta la situazione è più complessa e vede laspro confronto tra tre blocchi principali che corrispondono ai tre produttori più importanti, ovvero Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita.

Negli ultimi anni, laccordo tra Opec e Russia aveva reso possibile una sorta di equilibrio sul mercato. Ma proprio quando unimportante riduzione della domanda renderebbe necessaria una stretta disciplina sul lato dell’offerta con lobbiettivo di mantenere il prezzo, i contendenti non solo non sembrano intenzionati a ridurre la produzione, anzi, al contrario, sembrano voler competere sul mercato per ottenere una fetta maggiore di una torta che va fatalmente restringendosi.

In questo scenario, il ministro saudita per lEnergia, il principe Abdul Aziz Bin Salman (fratello del più noto Moḥammad Bin Salman, figlio dellattuale re Salman e principe ereditario), ha operato insieme ai paesi Opec un taglio alla produzione pari a 1,5 milioni di barili al giorno per i prossimi tre mesi in risposta al crollo della domanda globale a causa dellepidemia di coronavirus. Ma non ha trovato alcuna sponda da parte della Russia, il che ha anticipato la disdetta del cosiddetto accordo Opec+, ovvero quellintesa tra i paesi dell’organizzazione e la Russia che scadeva il 1° aprile.

Quasi a volersi avvantaggiare della politica Opec, Mosca ha annunciato attraverso lazienda petrolifera pubblica Rosneft di voler incrementare la propria produzione di 300 mila barili/giorno.

Condurre una battaglia sulle quantità contro lArabia Saudita non è mai stata una grande idea, almeno fino a oggi, e non hai mai portato alcun bene. Non solo perché la dinastia saudita controlla un quarto delle riserve mondiali di greggio, ma anche perché può vantare il minor costo di estrazione del mercato. LArabia Saudita ha in programma di incrementare ulteriormente le esportazioni di petrolio tra aprile e maggio, raggiungendo un record di oltre 10 milioni di barili al giorno. Laumento di circa 250 mila barili al giorno mostra che il regno è determinato a proseguire con la sua politica di offerta dopo la fine dellalleanza con la Russia.

Mosca e Riyad sono in queste ore impegnate in una guerra dei prezzi che ha spinto il greggio Brent, il punto di riferimento globale, a meno di 30 dollari a barile e ha indotto le compagnie energetiche, tra cui Exxon, a comunicare al mercato grandi tagli agli investimenti.

Quale sia il livello di tenuta dei prezzi al ribasso è difficile da dirsi perché ciò dipende da molti fattori tra loro interdipendenti. Nel contro-shock del 2014 si toccò un minimo sui 25 dollari (dai 110 di partenza), per oscillare poi in un intervallo 45-55 fino alla seconda metà del 2017 e quindi risalire con la ripresa della domanda.

Certo è che per la Russia infilarsi in una guerra di prezzo con lArabia Saudita non sembra essere una strategia particolarmente saggia. Il breakeven price dichiarato – ovvero il prezzo minimo che i due contendenti dichiarano di poter sostenere – sia molto diverso: attualmente oltre gli 80 dollari per lArabia Saudita, circa 40 dollari per la Russia. Tuttavia, qualche giorno fa Mosca ha dichiarato di poter resistere a prezzi del petrolio di 25-30 dollari al barile per 6-10 anni. Riyad, nel frattempo, potrebbe probabilmente permettersi petrolio a 30 dollari al barile, ma solo se riuscisse a vendere più greggio per ammorbidire il colpo alle sue entrate. Si apre una stagione molto interessante, che alla fine potrebbe avvantaggiare il primo produttore a mondo, ovvero gli Stati Uniti. Hanno una struttura più flessibile, anche se un prezzo che finisce sotto i 30 dollari – e ci rimane per un qualche tempo – porterebbe decine di aziende dello shale oila chiudere i cancelli. Un ulteriore problema per Donald Trump, in vista della rielezione.

Figura 1

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Sei le variabili nelleconomia del petrolio che, a cerchi concentrici, ne saranno più colpite: prezzi, domanda, produzione, investimenti, competitività intra-fuel; economie produttrici/consumatrici. Il primo cerchio è quello dei prezzi. In sole sei sedute, quelle dal 20 al 28 febbraio, il brent dated, in parallelo ai mercati azionari, è sceso del 15 per cento – da 59,3 a 50,5 dollari al barile (idem per il gas naturale) – per subire poi, il 9 marzo, un improvviso crollo del 24 per cento, a circa 35 dollari.

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