Il turismo italiano si è fermato. Non per una crisi di domanda, ma per un preciso divieto, del nostro e di molti altri paesi. Però i turismi non sono tutti uguali, così come gli operatori. La segmentazione fa capire come stanno le cose. E come andranno.
Il turismo tra tempo libero e mobilità
Perché esista il turismo di vacanza è indispensabile che la domanda disponga di tempo libero, di reddito disponibile e atteso e di mezzi per muoversi. Oltre che di voglia di farlo, che dipende da tanti altri fattori sociali, culturali, di “moda”.
Oggi di tempo libero ce n’è fin troppo, di reddito meno che un anno fa, ma soprattutto è vietato muoversi. La voglia non mancherebbe, come dimostrano i tentativi di farlo anche infrangendo le norme.
Diverso è il discorso per i turismi “obbligati” come quello di studio e di lavoro, che hanno regole proprie, e normative diverse, anche nel caso del Covid-19: vietata la mobilità per studio, solo in parte quella per lavoro.
Anche se sembra un’eternità, dal blocco totale del 12 marzo sono passati solo pochi giorni. In un periodo di tempo così breve non ci sono dati statistici consuntivi (arrivi e presenze in particolare, che sono fermi al novembre 2019) ma solo dati fattuali, relativi soprattutto a sistemi che li raccolgono e li elaborano in continuità, come i trasporti pubblici ridotti all’osso, i beni culturali non più accessibili, gli impianti di sci tardivamente chiusi, e così via.
Questi dati sono ovviamente determinati dal quadro normativo, in termini di decreti legge e ordinanze italiane (direttive nazionali/regionali/locali), e degli altri paesi emettitori (turismo internazionale verso l’Italia) o ricettori di turismo (italiani che vanno all’estero).
In che momento cade la scure del Covid-19
Il turismo italiano non è omogeneo, e quindi non è mai tutto attivo. Risente molto dei fattori stagionali, che hanno effetti diversi e talvolta opposti a seconda dei periodi dell’anno.
Escludendo il mese di gennaio 2020, che non ha registrato eccessivi problemi, una rassegna dei principali turismi e segmenti italiani con riferimento a un anno “normale” indica che il turismo italiano nei mesi di febbraio e marzo si presenta così:
Con queste considerazioni non si vuole certo sminuire la portata dell’attuale momento, ma valutarla nella sua reale portata.
I mesi non sono tutti uguali
Il grafico 1 mostra visivamente la situazione dei vari comparti per mese. Al di là della montagna invernale, del tutto anti-ciclica, il primo mese “pesante” dell’anno è quello di aprile, che spesso come nel 2020 comprende anche le vacanze pasquali.
In media, febbraio pesa il 4 per cento in termini di notti di presenza, che possiamo per semplicità assumere come una approssimazione del fatturato. Il mese di marzo pesa per il 5 per cento, aprile il 6 per cento, maggio il 7 per cento, giugno il 12 per cento.
Simile la distribuzione della spesa dei turisti stranieri ripresa da Banca d’Italia 2019: febbraio 4 per cento, marzo 6 per cento, aprile 8 per cento, maggio 9 per cento, giugno 10 per cento.
Allo stato attuale, stimando che tutte le attività turistiche si siano totalmente fermate nei mesi di febbraio e marzo (il che non corrisponde al vero), potremmo valutare i minori fatturati del sistema nella misura del 9 per cento su base annua. Un valore che crescerebbe rispettivamente al 15, 22 e 34 per cento cumulando in sequenza aprile, maggio, giugno. La spesa degli stranieri invece sarebbe già calata del 10 per cento entro fine marzo, e i minori incassi salirebbero al 18 per cento a fine aprile, 27 per cento a maggio, 37 per cento a giugno.
Ci sono comparti dove il Covid-19 morde di più
Alcune situazioni di particolare criticità sono comunque già chiarissime, soprattutto:
-nelle città che sommano cultura, affari e congressi, con sensibili risvolti nel comparto alberghiero;
-nell’organizzazione di congressi e fiere e dei turismi scolastico e religioso, per i quali la primavera del 2020 è irrecuperabile;
-nelle attività di organizzazione di viaggi, sia incoming sia outgoing.
Alcuni problemi ulteriori di oggi e in prospettiva riguardano il flusso di cassa, e sono dati dai rimborsi richiesti e dai mancati introiti da prenotazioni non effettuate; dipendono però anche dalle politiche aziendali di riprogrammazione e riprotezione e dalla solidità finanziaria delle imprese.
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bob
le statistiche i dati sono come la nitroglicerina molta prudenza nel maneggiarla. Poi esiste l’ottimismo e la comunicazione il primo aiuta a livello psicologico, la comunicazione spesso rovescia la realtà nel bene o nel male. Impatto Covid-19 sul settore Balneare dire NULLO è dato reale al momento ma nella realtà credo che sia il comparto anche viste le dimensioni che sarà il più colpito. Non riesco a credere che tra prenotazioni annullate e imposizioni di non fare assembramenti si possa dire che l’impatto è NULLO . Inoltre non penso che una volta cessato l’allarme la gente per vari motivi ( timore, mancanza di fondi etc) riempie spiagge e litorali in un secondo
Nicola
Penso che l’artico intendesse impatto nullo ad oggi.
stefano landi
esatto Nicola, grazie per la precisazione. Colgo l’occasione per precisare, e non è questione di lana caprina, che non si può parlare di fatturato “perso” a meno che non si sia provveduto a rimborsi su ricavi già percepiti. Il fatturato si può prevedere e preventivare in bilancio, ma deve sempre essere realizzato. Le aziende, a meno che non abbiano in portafoglio contratti pluriennali, iniziano un anno o una stagione sempre “a base zero”.
Lucrezia
Vero che marzo pesa il 5% ma viene per la maggioranza delle dopo sei mesi di bassa stagione dove la liquidità va a zero quindi quel 5 % grava molto di più in termini di indebitamento e se parliamo di rischio default per imprese nuove o con margini di guadagno bassi pesa ancora di più.
Se poi consideriamo la cancellazione quasi totale delle prenotazioni e una riapertura con un mercato italiano con minor potere di acquisto e una concorrenza altissima di strutture vuote ecco che un marzo e un aprile bloccato possono fare il 100%
Fattoria poggio di dante
stefano landi
grazie del commento, molto pertinente. La fotografia a fine marzo non poteva che tenere conto dello stato momentaneo della domanda. I fatturati futuri dipendono da molti fattori, ma certamente, al di là degli anticipi, le prestazioni vengono prima erogate e poi pagate. Le politiche di rimborso degli anticipi stessi variano da azienda ad azienda, e a quanto mi consta molte di esse propongono con successo la formula “rinvia ma non cancellare”, o offrono voucher spendibili successivamente magari con vantaggi scontistici o di upgrade. A partire da Pasqua la situazione si farà certamente più grave anche per le località balneari, anche se non ritengo che si possa al momento affermare, come alcuni fanno, che la stagione estiva è irrimediabilmente compromessa.
Marco De Antoni Ratti
Grazie per l’interessante articolo. Probabilmente, il dato dovrebbe essere nettificato degli introiti derivanti dalla neonata forma di “turismo sanitario”, inteso come l’occupazione di alberghi sfitti da parte di contagiati da COVID-19 allontanati dalla famiglie e dimore di residenza per essere posti in uno stato di quarantena.
Siamo sicuri che tutti gli albergatori si siano offerti a mero titolo volontario, dati i nuovi poteri di requisizione sulle strutture private nominalmente attribuiti dalla legge in capo alla Protezione Civile? Se è vero che lo Stato ha pagato per anni un quid quotidiano a quanti si facevano carico di ospitare un clandestino, ci chiediamo se non sia realistico ipotizzare l’esistenza di un sussidio statale simili anche per indennizzare quanti “offrono “nobilmente le loro stanze sfitte a tutti i cittadini italiani.
Saluti
Marco De Antoni Ratti
stefano landi
grazie del commento. Non so quale sia il trattamento economico riservato agli hotel che si sono offerti di ospitare persone in questa circostanza. Nel caso del terremoto del 2016 ad Amatrice ricordo che le strutture ricettive rimaste agibili furono saturate dagli operatori dei soccorsi, per i quali il Commissario all’emergenza, gli enti e le associazioni di appartenenza pagavano per vitto e alloggio. Gli operatori locali chiamavano questo reddito “il pane del diavolo”, ma almeno ha consentito loro di sopravvivere in un momento in cui ogni altra forma di domanda era azzerata. Non mi sento di biasimarli.