I virus si diffondono attraverso reti sociali. Studiando questi processi possiamo mettere a punto strumenti di contrasto al contagio complementari a quelli sanitari. Per esempio una app che sia una sorta di radar delle infezioni.
Covid-19, un virus “sociale”
I virus sono microrganismi sociali. Si diffondono attraverso processi di replicazione, diffusione e contagio – cioè attraverso reti sociali. Per capire come Covid-19 si muova nelle reti delle nostre comunità, bisogna capirne le modalità e i processi di diffusione.
Le modalità di diffusione derivano dalle caratteristiche biologiche del virus, ma hanno effetti rilevanti sui processi di diffusione sociale. Di Covid-19 ad oggi sappiamo che si diffonde tra le persone attraverso contatto diretto (la co-presenza fisica e simultanea di due o più persone nello stesso spazio) e indiretto (attraverso superfici o negli spazi chiusi tramite aerosol). Le modalità di contagio influenzano i due processi di diffusione che si possono ipotizzare sulla base delle evidenze oggi a disposizione. Il primo è la diffusione all’interno delle comunità(attraverso processi di contagio in comunità chiuse – network closure – (Figura 1). In contesti ad alta densità di contatti, il virus si diffonde perché gli infetti contagiano i non infetti attraverso contatto ravvicinato. Questo primo meccanismo giustifica l’imposizione di misure di distanziamento sociale. Il secondo meccanismo di network è la diffusione tra le comunitàin termini di reti aperte – network openness – (Figura 2). Alcune persone creano ponti tra comunità altrimenti distanti tra loro, diffondendo in questo caso il virus.
Studiare questi processi di network aiuta a formulare alcune indicazioni che potrebbero essere utili per affrontare la crisi oggi e il domani dell’emergenza, soprattutto se dovesse perdurare nel tempo, rendendo restrizioni alla circolazione e alla vita sociale non sostenibili.
Una app come radar delle infezioni
Per mappare e possibilmente contenere il contagio, è necessario sapere non soltanto il numero di morti e casi gravi/ospedalizzati, ma è ancora più importante conoscere e monitorare tempestivamente il denominatore dell’equazione di ogni contagio: Il numero di contagiati. Il fatto che il virus si diffonda a velocità elevata e che vi siano persone con sintomi lievi rende questa operazione particolarmente complessa. Allo stesso tempo è una operazione imprescindibile, perché se non si ha un quadro epidemiologico chiaro di quanti siano contagiati, dove vivono e chi frequentano, si rischia che, una volta allentate le misure restrittive, il contagio possa ripartire, come sembra stia accadendo in parte a Singapore. Per provare a conoscere il denominatore, sono possibili due strade. La prima, richiesta a gran voce da molti virologi, è il campionamento a tappeto della popolazione attraverso tamponi, in modo da intercettare il numero maggiore possibile di contagiati, sintomatici o no, e così facendo isolare/mettere in quarantena tutti coloro che risultino positivi, e con essi i loro contatti diretti, in modo da spezzare metaforicamente la catena del contagio. È il metodo adottato dalla Korea del Sud e dalla regione Veneto con risultati interessanti. È un metodo, però, che presenta alcuni limiti rilevanti, a partire dal fatto che il tampone negativo oggi non esclude che possa essere positivo domani. In un contagio prolungato, fotografie isolate nel tempo non catturano adeguatamente l’evolversi di una situazione di per sé fluida. Inoltre, vincoli di risorse rendono la somministrazione di tamponi a una fetta rilevante di popolazione non praticabile.
Seguendo l’esempio olandese proposto dall’istituto nazionale di salute pubblica (Rivm), si potrebbe alternativamente creare una piattaforma online o addirittura una app che possa servire da radar delle infezioni. Prendendo in considerazione, su base volontaria, un campione statisticamente rappresentativo della popolazione di decine o centinaia di migliaia di persone, monitorandone su base quotidiana o settimanale eventuali disturbi fisici potenzialmente correlati al virus (come misurazione della temperatura, presenza di tosse, problemi respiratori) e chiedendo al contempo – sempre su base volontaria e nel rispetto delle normative sulla privacy – informazioni sui contatti diretti di questi partecipanti campionati, si potrebbe creare un radar sostenibile nel tempo e completamente informatizzato in grado di rappresentare un termometro dinamico dell’infezione. Questo sistema sarebbe facile da realizzare, si fonderebbe su un patto di fiducia e collaborazione tra cittadini e istituzioni, richiederebbe poche risorse in quanto basato sull’automonitoraggio, sarebbe sostenibile nel lungo periodo nel caso in cui il contagio continuasse, e darebbe un ampio ventaglio di dati dinamici utilissimi per mappare l’infezione a livello micro e macro-territoriale.
A complemento, nel tempo si potrebbe anche mappare in maniera continuativa la presenza del virus nelle le acque nere territoriali, e nelle superfici di determinati luoghi pubblici oggetto di forte afflusso di persone (ad esempio aeroporti, uffici pubblici, metropolitane).
Un approccio modulare alle restrizioni: apertura e chiusura
Una chiusura semi-totale delle attività socio-economiche può essere una scelta utile nel breve periodo ma nel medio e lungo periodo, se l’infezione dovesse continuare per mesi, non sarebbe praticabile per i costi economici e sociali che comporta. Quindi, che fare? Seguendo un approccio su cui stanno lavorando, tra gli altri, anche all’Imperial College London, nel medio periodo proponiamo un approccio modulare. La presenza di un dato statisticamente solido del livello di contagio nelle diverse comunità, offerto in tempo reale dal radar delle infezioni proposto, potrebbe far scattare un meccanismo di apertura e chiusura, di freni e di accelerazioni, in grado di contenere l’eventuale diffondersi del virus in maniera incontrollata. Fatto 100 il livello medio di relazioni sociali in una comunità, dato dalla somma di determinate attività economiche, sociali e interpersonali, a seconda dell’aumento del livello di contagio, le autorità potrebbero attivare tempestivamente misure volte a ridurre il livello di relazioni sociali a 70, 50 o 30, a seconda delle esigenze e per il periodo necessario per ridurre il contagio (Figura 3). Chiaramente, la riduzione della socialità modulare dovrebbe essere studiata in maniera da ridurre l’impatto economico e sociale e allo stesso tempo – nel caso di una infezione prolungata del tempo – avere non l’obiettivo impossibile di azzerare il contagio, ma di contenerlo e cosi di mitigarne le conseguenze.
In conclusione, conoscere i meccanismi di diffusione del contagio richiede conoscenze sulle reti sociali complementari ma non sovrapponibili a quelle epidemiologiche. Queste conoscenze aiutano a studiare i comportamenti e le relazioni sociali nell’immediato, nella loro evoluzione e nelle loro conseguenze, tre elementi fondamentali per fronteggiare l’emergenza e i suoi sviluppi di medio e lungo termine.
Figura 1. Meccanismo di network di diffusione del virus dentro le comunità.
Figura 2. Meccanismo di network di diffusione del virus tra le comunità.
Figura 3. Esempio di restrizioni modulari sulla base del rischio monitorato di contagio.
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