Per i dati italiani bisognerà aspettare maggio, ma alcuni numeri da America e Nord Europa possono dare una prima idea dell’impatto devastante che il coronavirus avrà sul mercato del lavoro di tutte le economie colpite.
Effetto coronavirus sul mercato del lavoro
Nella terza settimana di marzo il Covid-19 ha cominciato a mostrare i devastanti effetti che l’epidemia avrà sull’economia occidentale. Tutti i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada, gli stessi che fino a pochi giorni prima tendevano a minimizzare la diffusione del virus e la sua pericolosità, hanno optato per la chiusura delle scuole e della maggior parte delle attività produttive. Sono decisioni prese sull’onda di quanto accaduto in Italia, con un altissimo numero di contagi e decessi che hanno presto cominciato a manifestarsi anche negli altri paesi.
L’impatto sul mercato del lavoro è stato immediato e fortissimo, anche se difficile da misurare visto il consueto ritardo con cui arrivano i dati sul mercato del lavoro: per l’Italia i primi numeri sulla situazione di marzo saranno disponibili a maggio. I 339 mila lavoratori autonomi che hanno tentato di fare richiesta per il bonus Inps mercoledì 1° aprile, comunque, danno una prima dimensione di quanto la crisi metterà in difficoltà il mercato del lavoro nei prossimi mesi.
Ci sono però paesi, come gli Stati Uniti, che pubblicano settimanalmente o mensilmente i dati sulle richieste per il sussidio di disoccupazione. Come è facile immaginare, il numero di persone che richiedono protezione sociale sono una prima buona approssimazione del numero di lavoratori che hanno perso il proprio impiego in questo periodo.
Le richieste di sussidi in Canada e Stati Uniti
Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha annunciato che nella settimana tra il 16 e il 22 marzo 929mila persone hanno fatto domanda per un sussidio di disoccupazione (Employment Insurance). Il dato è estremamente preoccupante, soprattutto se si considera che il record storico precedente, che tra l’altro riguardava un intero mese, era di 500mila nuovi disoccupati, registrato nel 1957. Il numero di persone coinvolte rappresenta il 5 per cento degli occupati canadesi. A parità di forza lavoro, il tasso di disoccupazione nel paese salirebbe dal 5,7 al 10,3 per cento.
Un dato altrettanto preoccupante è giunto dal Dipartimento del lavoro statunitense: i nuovi disoccupati nella settimana tra il 15 e il 21 marzo risultano 3 milioni e 283 mila. Il numero è talmente grande da essere complicato da rappresentare su una scala lineare. La situazione è ulteriormente peggiorata nell’ultima settimana di marzo: oltre sei milioni e mezzo di persone hanno fatto domanda per un sussidio, il 3,65 per cento della forza lavoro statunitense.
Non si erano mai visti numeri di questo tipo, giustificati dallo stop quasi totale della più grande economia al mondo, ma impressionanti se confrontati con qualsiasi altro dato simile prodotto finora. Con questi numeri, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dovrebbe salire al 10 per cento dal 3,5 attuale. Un risultato che non si vedrà nei dati pubblicati il 3 aprile, perché la sampling week è collocata nella prima metà del mese.
Per fare un confronto, è sufficiente comparare il nuovo picco con il record precedente: 695mila nell’ottobre del 1982. Anche durante la grande recessione del 2008 i picchi settimanali sono stati di gran lunga inferiori: circa 650mila nelle fasi più acute della crisi. Bisogna ricordare, comunque, che durante i periodi di maggiore tensione sul mercato del lavoro, i picchi erano distribuiti in un lasso di tempo più ampio. Nell’intero mese di aprile 2009, ad esempio, circa 3 milioni e mezzo di persone fecero richiesta per un sussidio. L’aspetto positivo di questa crisi è che, essendo legata a un fattore esogeno, dovrebbe finire velocemente nel momento in cui il fattore esogeno scomparirà. Ma nel frattempo, tutte le persone che si trovano senza lavoro per il lockdown devono poter sopravvivere anche senza un salario, un fatto che molto probabilmente trasformerà la crisi di offerta in una crisi di domanda più lunga. L’incertezza legata alla durata del blocco preoccupa le molte persone che potrebbero dover contare a lungo sulla rete di protezione sociale statunitense. Si tratta infatti di un sistema tradizionalmente poco efficace nel garantire un sostegno adeguato, a differenza di quello dei paesi europei, più inclini a integrare il reddito dei disoccupati per un periodo più lungo e in modo più sostanziale.
In questi dieci anni di espansione, negli Usa il numero di persone che ricevono un sussidio si è stabilizzato intorno a 200mila ogni settimana. Gli ultimi numeri sono il doppio di quelli della settimana precedente, che erano già rispettivamente 12 e 15 volte superiori a quelli di una e due settimane prima. I governi statali e quello federale saranno in grado di sostenere un aumento così forte e improvviso?
Cosa succede in Norvegia e Danimarca
Norvegia e Danimarca possono darci un’idea di ciò che sta accadendo nel nostro continente, anche se il loro mercato del lavoro non è paragonabile a quello dell’Europa meridionale. Entrambi gli stati registrano ogni giorno il numero delle nuove richieste di sussidio e lo rendono disponibile il giorno successivo con un bollettino. Dai grafici si nota come la Norvegia abbia registrato un picco nei giorni lavorativi tra il 16 e il 20 marzo, con le richieste che sono crollate nel fine settimana e sono tornate stabili in quella successiva, pur rimanendo al di sopra della media di due settimane prima.
È successo qualcosa di simile in Danimarca, che però mantiene un valore più elevato rispetto alla media anche nella seconda e nella terza settimana.
I numeri delle due stati europei sono ben più bassi di quelli americani, ma importanti in termini percentuali: nella settimana tra il 16 e il 22 marzo il 7,4 per cento degli occupati in Norvegia ha fatto domanda per un sussidio.
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