Con l’attuale ordinamento si rischia il paradosso di avere milioni di persone ferme mentre molte imprese, anche nei settori essenziali, non trovano manodopera: un disincentivo che non ci possiamo permettere. Gli esempi in Europa non mancano.
Uno strumento utile ma non privo di costi
Per contrastare l’impatto sociale conseguente alla paralisi delle attività produttive il governo ha allargato di molto le maglie della cassa integrazione guadagni (Cig) estendendo la cassa in deroga a tutte le imprese, indipendentemente dal settore produttivo e dalla dimensione occupazionale. Non è una specificità italiana, anzi: l’80 per cento dei paesi Ocse ha esteso o introdotto misure di riduzione del tempo di lavoro (dalla famosa Kurzarbeit in Austria e Germania allo chômage partiel in Belgio e Francia fino ai nuovi schemi introdotti in Australia e Regno Unito) e anche la Commissione europea ha presentato un piano (Sure) per aiutare gli Stati a finanziare questi strumenti.
A differenza di un’indennità di disoccupazione (la Naspi in Italia), le misure di riduzione dell’orario come la Cig consentono di conservare in vita il rapporto di lavoro, sospendendone l’esecuzione. Si tratta di uno strumento particolarmente utile nei casi di riduzione o blocco temporaneo dell’attività produttiva. Il congelamento dei contratti di lavoro in essere è importante non solo per salvaguardare la prospettiva occupazionale dei lavoratori, ma anche per conservare intatto il patrimonio di competenze professionali che serviranno alle aziende per agganciare senza ritardi la ripresa delle attività produttive. Durante la crisi finanziaria questo ha permesso di salvare milioni di posti di lavoro in diversi paesi europei.
Tuttavia non si tratta di uno strumento privo di costi. Una delle controindicazioni più discusse è legata al suo possibile utilizzo distorto in sostituzione del sussidio di disoccupazione: se il lavoratore viene bloccato in un’impresa senza prospettiva si riduce la mobilità lavorativa verso altre imprese, necessaria alla ripresa. Un problema meno dibattuto riguarda la possibilità di cercarsi un impiego temporaneo durante il periodo di sospensione – parziale o integrale – dell’attività lavorativa principale. La normativa italiana scoraggia fortemente l’occupazione temporanea in un altro lavoro regolare durante il periodo di riduzione dell’orario, vietando il cumulo additivo tra retribuzione e trattamento di cassa integrazione. Oggi, infatti, i lavoratori sospesi in Cig si vedono sottrarre dal trattamento di integrazione salariale quanto da essi percepito a titolo di retribuzione (a meno che il nuovo lavoro non si svolga in orari diversi da quelli coperti dalla cassa integrazione, come nel caso di due lavori part-time). Chi aveva un lavoro a tempo pieno non ha nessuno incentivo a cercarne un altro durante il periodo di Cig, a meno che il secondo lavoro non sia in nero.
In tempo di Covid-19 tale disincentivo rischia di diventare un problema molto serio perché, se da un lato numerose aziende sono costrette temporaneamente a chiudere, dall’altro ci sono settori “essenziali” che invece non trovano mano d’opera (in particolare nella catena agroalimentare ma anche nell’e-commerce, nella logistica e nella sanità). Questo squilibrio è probabilmente destinato a perdurare e a crescere se, come sembra, la riapertura sarà graduale e selettiva. Nei prossimi mesi potremmo trovarci nel paradosso di avere un numero mai così elevato di persone che non lavorano mentre alcune imprese non trovano manodopera.
Una proposta
È necessario quindi liberare le professionalità “congelate” in Cig rimuovendo ogni ostacolo alla possibilità di lavorare temporaneamente in altre imprese senza dover rinunciare al posto di lavoro rimasto sospeso, come ha chiesto anche Tito Boeri su Repubblica del 31 marzo.
In altri paesi è possibile. In Francia, per esempio, a meno di clausole di esclusività nel contratto e nel rispetto dei principi di lealtà e non concorrenza, il lavoratore può impiegarsi altrove percependo sia lo chômage partiel sia lo stipendio del nuovo lavoro; nelle ultime settimane questo è stato esplicitamente incoraggiato per aiutare la filiera agroalimentare.Discorso analogo per il nuovo schema che il Regno Unito ha messo in piedi per questa crisi e che sarà operativo nei prossimi giorni: è possibile lavorare per un altro datore di lavoro senza perdere l’indennità di “cassa integrazione”, che è pari all’80 per cento del salario. Nella Kurzarbeit tedesca solitamente il cumulo non è possibile ma nel contesto di questa crisi è stato autorizzato (con alcuni limiti) per l’impiego in attività “essenziali” come la distribuzione di cibo e di dispositivi medici di supporto vitale.
In Italia, è urgente superare il tabù rappresentato dal divieto di cumulo additivo tra retribuzione e trattamento di cassa integrazione offrendo ai lavoratori sospesi in Cig un piano di riqualificazione professionale e garantendo il mantenimento, almeno parziale, del trattamento di integrazione salariale anche qualora prestino attività presso un altro datore di lavoro. Per esempio, a fronte di un lavoro full-time svolto con un’altra impresa, si potrebbe mantenere il diritto del lavoratore a ricevere dall’Inps una quota pari al 50 per cento del trattamento di cassa integrazione. Ciò consentirebbe di: a) incentivare l’attivazione e la riqualificazione dei lavoratori in Cig; b) mettere rapidamente a disposizione del sistema delle imprese competenze qualificate e immediatamente disponibili; c) ridurre la spesa per le prestazioni di cassa integrazione e aumentare il gettito fiscale e contributivo.
Lo stato ci guadagnerebbe, i lavoratori avrebbero una possibilità regolare di integrare il proprio reddito e le imprese che operano nei settori “essenziali” avrebbero maggiori possibilità di trovare la manodopera di cui hanno bisogno.
* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non investono la responsabilità delle organizzazioni di appartenenza.
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Isa Muzzarelli
Complimenti per la lucida e chiara analisi. Spero si attivi il prima possibile.
I centri per l’impiego però probabilmente hanno già molti nominativi da sottoporre, potrebbe essere necessario un CONTROLLO a queste strutture pubbliche in questa emergenza. (Anche impiegare questa parte di popolazione percettrice di NASPI produrrebbe un guadagno per lo stato e potrebbe instaurare un rapporto di lavoro non solo temporaneo).