In tutte le situazioni di crisi la violenza domestica aumenta. Oggi c’è l’aggravante dell’isolamento, con vittima e assalitore chiusi nella stessa casa. Ecco perché diminuiscono drasticamente le richieste di aiuto. Gli effetti si faranno sentire a lungo.
Situazioni di crisi e violenza sulle donne
Fra le cause di aumento della violenza domestica, molti studi includono le situazioni di crisi, soprattutto in relazione all’incremento del livello di stress psicologico e finanziario, alla crescita del grado di incertezza e a una generalizzata sensazione di perdita di controllo sulla propria vita.
Oggi, poi, la politica dello “stare a casa” espone le donne vittime di violenza domestica alla presenza costante del loro assalitore e la violenza di genere aumenta esponenzialmente nei momenti di prossimità familiare: diverse ricerche (1, 2, 3) stimano un aumento nella probabilità degli episodi nei weekend, tra la sera e le prime ore della mattina e durante le vacanze.
Sono risultati coerenti con le prime evidenze prodotte dalla crisi attuale. L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che l’emergenza coronavirus ha causato un ampio incremento nei casi di violenza domestica e il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si è appellato ai governi perché intervengano per contrastare il fenomeno durante la pandemia. Da tutto il mondo, pervengono i dati e le testimonianze agghiaccianti di attivisti, cittadini e lavoratori dei centri antiviolenza sulle violenze subite dalle donne durante il lockdown. Dalla Cina, che ha attraversato la crisi con largo anticipo rispetto al resto del mondo, arrivano i primi dati. Wan Fei, ex poliziotto di Junzouh (nella provincia di Hubei) e fondatore di un’organizzazione non profit contro la violenza sulle donne, riporta un raddoppio delle violenze domestiche dall’inizio della quarantena. La polizia francese ne ha denunciato un aumento a livello nazionale di circa il 30 per cento dall’inizio del lockdown. In Turchia, secondo le statistiche del dipartimento di polizia di Istanbul, con la riduzione della circolazione nel mese di marzo si è registrato un calo dei reati su base annua del 14,5 per cento (dai furti agli omicidi), ma un aumento del 38,2 per cento degli episodi di violenza domestica segnalati.
In Italia, Emiliano Bezzon, comandante della polizia municipale di Torino, riporta un aumento preoccupante dei Tso (ricovero forzato di pazienti con problemi psichiatrici potenzialmente pericolosi). Nel solo 19 marzo, a Torino ne sono stati eseguiti nove, un incremento esponenziale rispetto alla media annuale di meno di uno al giorno. Un chiaro segnale di crescita dei comportamenti violenti e potenzialmente rischiosi.
Cosa succede in tempi di lockdown
La politica del lockdown aggiunge anche una drammatica aggravante a questa generale esplosione di violenza: l’isolamento. Il supporto sociale è stato stimato come fattore protettivo contro la violenza domestica e, mai come in questi giorni, le donne che ne sono vittima si trovano nell’impossibilità di chiedere aiuto e ottenere sostegno psicologico, proprio a causa della costante presenza dei loro assalitori. Per gli Stati Uniti, il report del 2014 del National Resource Center stima che durante le vacanze le chiamate alla National Domestic Violence Hotline (linea nazionale per le vittime di violenza) si riducono di circa l’11 per cento durante la settimana del giorno del ringraziamento e fino al 43 per cento nel giorno di Natale.
Nelle prime due settimane di marzo, in Italia le chiamate al centralino del Telefono rosa sono diminuite del 55,1 per cento rispetto all’anno precedente.
Non è sorprendente che in un periodo di crisi e di prossimità familiare, da un lato, aumenti la probabilità di atti di estrema violenza che richiedono l’intervento della polizia e quindi cresca il numero di chiamate alle forze dell’ordine e, dall’altro, diminuiscano le telefonate alle linee antiviolenza. Infatti, più della metà delle chiamate a queste linee sono collegate al bisogno di supporto psicologico o alla richiesta di informazioni e la costante presenza del partner rende impossibile per le vittime parlare liberamente al telefono. Al contrario, la decisione di chiamare le forze dell’ordine è per lo più indipendente dalla presenza del proprio aguzzino, sia perché le segnalazioni vengono spesso effettuate da parti terze (come vicini o passanti), sia perché la maggior parte delle donne vi ricorre solo in casi estremi, in cui il timore per la propria vita prevale sulla paura del proprio assalitore. L’Istat ha stimato che nel 2019 solo il 17,7 per cento delle vittime che hanno chiamato il 1522 ha in seguito deciso di denunciare il proprio assalitore (tabella 1).
Alla luce delle informazioni provenienti da tutto il mondo sull’incremento delle violenze durante il lockdown e della letteratura scientifica, possiamo escludere che in Italia la diminuzione delle chiamate al 1522 sia sintomo di una diminuzione della violenza. Dal cambiamento della loro tipologia risulta invece evidente come il crollo rifletta la difficoltà delle vittime di chiedere aiuto. Una psicologa del Telefono rosa racconta di vittime che bisbigliano nelle cornette, chiamano dalle docce o chiudendosi in macchina, mentre la presidente dell’associazione Differenza Donna, Elisa Ercoli, parla di telefonate fatte con palese disagio, molto brevi e sussurrate, fatte da donne evidentemente sotto controllo continuo.
Né va dimenticato che questa mancanza di supporto avrà effetti anche nel lungo periodo: non parlare con nessuno delle violenze subite in famiglia espone le donne a una maggior probabilità di diventarne nuovamente vittime e aumenta il grado di trasmissione del rischio alle generazioni future.
L’Oms definisce la violenza domestica come un grave problema di salute pubblica e una violazione dei diritti umani delle donne. L’organizzazione stima che al mondo circa il 30 per cento delle donne che hanno avuto una relazione abbiano subito qualche forma di violenza fisica o sessuale da parte di un loro partner nel corso della vita. Se già in condizioni di normalità la violenza domestica è così diffusa, non possiamo permetterci di aggiungere alle vittime dirette del coronavirus anche le donne vittime delle misure di contenimento.
Questo articolo è pubblicato in versione più estesa su inGenere.
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emilio
La violenza non è mai un fatto positivo e ritengo che per contrastare la violenza i telefoni delle strutture di supporto non offrano davvero un gran sollievo a medio lungo termine. In ogni caso ci vorrebbe invece oltre al calo delle richieste di supporto una indagine che riveli se le violenze sono aumentate (chiamate alle forze dell’ordine come cita l’articolo di vicini e altri e non mi sembra i dati confermino tali ipotesi). Forse in questo momento di forte incertezza tutti violenti e coloro che li subiscono sono più concentrati su altri aspetti e come dicono alcuni psicologi si distraggono dalla violenza… Poi aggiungerei per parità di genere che nessuno parla di un’altra forma di violenza che subiscono i padri nel momento in cui questa crisi è una ulteriore scusa per allontanare i padri dai figli che sono stati “collocati” (vocabolo giuridico che serve ad aggirare la norma dell’affido condiviso) presso le madri. E’ una forma di violenza molto più subdola e forse molto più ampiamente praticata soprattutto in classi più abbienti di quelle in cui si annida la violenza domestica sulle donne e su cui da sempre i magistrati e in generale la legge non fa altro che girarsi dall’altra parte se non addirittura giustificarla….
Alfredo
Se è per questo non possiamo permetterci di aggiungere alle vittime dirette del coronavirus anche il disagio di quei padri separati costretti ad abbandonare la propria casa, a stare lontano dai figli, a pagarsi l’affitto, financo a vivere nelle automobili