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Lockdown dell’economia, un primo bilancio

Il blocco delle attività produttive ha contribuito a contenere la diffusione del coronavirus? Dalle prime analisi sui dati disponibili non si ricavano indicazioni chiare. Per guidare le scelte sulla “fase 2” servirebbero invece indagini dettagliate.

Quando iniziare la “fase 2”

Per contrastare la diffusione del Covid-19 l’Italia ha deciso, come molti altri paesi, di limitare al minimo indispensabile la libertà di movimento e i contatti interpersonali, fermando anche larga parte delle attività produttive. Le misure adottate, come è naturale, hanno avuto ripercussioni rilevanti. Gli ultimi dati indicano un declino dei contagi (figura 1). E si inizia a discutere di come riavviare l’economia.

Figura 1 – Andamento infetti a livello nazionale.

Come sempre, le opzioni possibili sono più di una. Ognuna con i suoi costi e benefici. Per quanto i dati disponibili siano spesso parziali, a volte fuorvianti, e l’analisi non sia semplice, è fondamentale ancorare valutazioni e scelte ai numeri. Perché il rischio è evidentemente quello di allentare le restrizioni troppo presto, causando un nuovo aumento dei contagi. Ma, d’altra parte, c’è anche il rischio di allentarle troppo tardi. Ogni giorno in più è un giorno di sofferenza per la nostra economia.

Blocco delle attività e numero di contagi

La prima cosa da capire è se il contenimento dell’epidemia sia stato effettivamente una conseguenza del lockdown. Per valutare l’efficacia delle misure sarebbe opportuno stimare di quanto ogni giorno di blocco abbia ridotto il numero di contagi e quante vite siano state salvate con il provvedimento. In particolare, il decreto del 23 marzo ha ristretto di molto le attività economiche indicando un limitato elenco di attività consentite. Queste restrizioni si aggiunte a quelle precedenti, introdotte tra il 9 e 11 marzo, che invece limitavano il commercio all’ingrosso e al dettaglio, prevedendo (tra l’altro) la chiusura di bar, ristoranti e palestre. Uno studio recente suggerisce che il primo lockdown dell’11 marzo abbia in effetti rallentato la dinamica dei contagi. Tuttavia, è importante capire se ciò sia vero anche per il secondo blocco. La chiusura delle attività produttive ha un impatto potenzialmente molto ampio sull’economia italiana e occorre valutarne i costi e benefici.
In teoria, sfruttando la diversa prevalenza sul territorio delle attività consentite, è possibile valutare se il rallentamento nella diffusione del virus sia stata più marcata proprio dove un maggiore numero di lavoratori è stato interessato dalla chiusura delle attività produttive. Cosa suggeriscono in merito i dati attualmente disponibili? La Protezione civile pubblica ogni giorno il numero totale di persone positive al Covid-19 a livello provinciale (e offre altri dati a livello regionale, come numero di decessi, tamponi effettuati o pazienti ospedalizzati). Inoltre, prendendo gli ultimi dati disponibili (2017) sul numero di addetti delle unità locali per settore Ateco (2 e 3 cifre) a livello comunale, si può effettuare un primo calcolo della frazione di addetti attivi e non attivi aggregati a livello provinciale. Semplicemente, si è calcolato il numero di addetti totali per provincia nei settori Ateco indicati negli allegati ai decreti del presidente del Consiglio dei ministri come settori la cui attività è consentita. Viceversa, gli inattivi sono gli addetti totali nei settori non ricompresi in tali elenchi. Per ottenere la frazione di attivi/inattivi si è poi diviso il numero degli inattivi per il numero totale di addetti per provincia. Naturalmente, dato che alcune attività erano già state limitate dai decreti del 9-11 marzo, per valutare gli effetti del blocco produttivo del 23 marzo, occorre prendere in considerazione la variazione della frazione degli inattivi dopo quella data. La variabile è la differenza tra la frazione degli inattivi secondo i Dpcm del 9 e 11 marzo e la frazione degli inattivi secondo il Dpcm del 23 marzo. La mappa che segue mostra la variazione nella frazione di inattivi a livello provinciale.

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Figura 2 – Aumento frazione addetti inattivi dopo il lockdown.

Si è quindi cercato di capire se, sulla base di questi dati, emerge un chiaro effetto del lockdown sui contagi, ovvero se una maggiore frazione di inattivi a livello territoriale indichi una diminuzione della dinamica dei contagi nel periodo dopo il blocco (dopo 23 marzo) rispetto al periodo antecedente il blocco (12-23 marzo). Come analisi preliminare, la figura 3 mostra la variazione giornaliera nel numero totale di individui positivi al Covid-19 nelle province sopra (blu) e sotto (rosso) la mediana regionale in termini di variazione della frazione di inattivi post-lockdown.

Figura 3 – Dinamica dei contagi.

La figura 4 mostra una dinamica analoga restringendo il campione alle sole province con un numero di contagiati sopra la mediana nazionale alla data del lockdown (23 marzo).

Figura 4 – Dinamica dei contagi (solo province sopra mediana contagi al 23 marzo).

I due grafici non sembrano dare una chiara indicazione positiva sull’effetto del lockdown: le province con un maggior numero di lavoratori inattivi non hanno una dinamica di aumento dei contagi significativamente più contenuta nel periodo dopo il blocco delle attività.
Naturalmente questi dati “grezzi” non tengono conto di importanti fattori di eterogeneità territoriale e di variazioni temporali nelle dinamiche dei sistemi sanitari regionali (come ad esempio il numero di tamponi). Alcuni di questi possono essere catturati in un modello di regressione lineare con effetti fissi a livello di provincia e di regione-giorno. I primi permettono di catturare l’eterogeneità tra diverse province. I secondi permettono di tener conto di variazioni complessive all’interno di una data regione e di un determinato giorno. La tabella 1 mostra l’impatto sul numero di positivi al Covid a livello provinciale della frazione di inattivi interagita con una dummy post-lockdown.

Tabella 1

Risultati analoghi si ottengono considerando numero di positivi pro-capite (e relativi lag temporali pro-capite). Nonostante il segno dei coefficienti sia negativo (coerentemente con l’idea che la riduzione dell’attività economica riduca la diffusione del virus), i risultati dell’analisi preliminare non forniscono una chiara indicazione di effetti significativi del lockdown sul numero di contagi (i coefficienti non sono statisticamente diversi da zero e sono stimati con intervalli di confidenza troppo ampi).

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Servono dati più dettagliati

Naturalmente, l’analisi va interpretata con molto cautela per varie ragioni. Per esempio, i dati epidemiologici sono disponibili solo a livello provinciale (il numero di contagi) o regionale (come il numero di tamponi effettuati) e non comunale. E non è possibile condurre l’analisi mostrata usando il numero di decessi o di ricoveri a livello comunale. Inoltre, il numero complessivo di contagi non corrisponde al numero di “nuovi contagi”, in quanto dipende anche dal dato sui pazienti guariti o deceduti e potrebbe essere molto diverso dall’effettivo numero di infetti per la presenza di pazienti asintomatici. Infine, la variabile chiave (variazione nella frazione di inattivi a livello provinciale) ha una bassa variazione all’interno di ogni regione che limita la capacità di stimare effetti con precisione.
Per uno studio in grado di dare chiare indicazioni, sarebbe utile avere dati Ateco più disaggregati per attività produttiva (per esempio a più cifre a livello comunale) e sui settori non ricompresi nel registro delle unità locali. Oltre alla variabilità geografica, sarebbe importante considerare anche le eterogeneità nel rischio di contagio dei lavoratori operanti in diversi settori produttivi.
Una disponibilità di dati più ampia e più puntuale è fondamentale per analisi che consentano a chi ci governa di prendere decisioni sulla base dei fatti. Un test diffuso su un campione di popolazione rappresentativo consentirebbe di misurare il numero effettivo di infetti. L’indagine a livello di sistemi locali del lavoro sull’efficacia delle misure di blocco potrebbe consentire di individuare aree del paese dove allentare prima le misure restrittive e condurre un test pilota, che dovrebbe guidare la successiva ripresa dell’attività nel resto del paese.

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Decessi da Covid-19, cosa ci dice il campione Istat

  1. Grazie per l’interessante articolo. Aggiungiamo che questa crisi sta facendo la fortuna dei Compro-Vendo oro e dei Monti di Pietà. Ultima spiaggia prima degli usurai o del fallimento, obbligano i clienti a dare garanzie pari a 2 o 4 volte la somma prestata, cui applicano anche interessi legali dall’8 al 12%.

    È giusto tutto questo? Il loro rischio di impresa è zero poiché l’oro è sia al massimo della sua domanda che del suo prezzo storico. Lo smobilizzo della garanzia è immediato e certo, anche se l’asta andasse deserta. Il creditore farebbe infatti fondere i gioielli in lingotti punzonati, di facile vendita.

    Pensiamo ad un ipoteca per un mutuo fondiario. La banca chiede una garanzia il cui valore di mercato sia l’80-100% della somma. Certamente, mai un multiplo. Il pignoramento ha un esito incerto, è costoso e richiede tempo. Eppure fra Euribor e spread non si arriva mai oltre il 5% di tasso.

    Ora, è possibile non applicare interessi aurei dell’1-2% fisso nel lungo termine?

    Chi presta denaro contro oro ha interesse al fallimento del debitore, per poter lucrare sulla vendita di una garanzia che vale due o tre volte il debito non riscosso. Per non parlare del rischio di accordi presi sottobanco con gli offerenti, per ottenete due dimezzamenti consecutivi della base d’asta, lasciandola andare deserta.

  2. QualeWelfare

    iniziamo magari a prendere i dati giusti e cioè i “nuovi positivi” ? il dato sull’incremento giornaliero dei positivi non ha alcun senso giacchè dipende dal numero dei morti, che non ha nulla a che vedere con la “dinamica dei contagi”….

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