Nel garantire liquidità agli operatori colpiti dalla crisi, il sistema bancario ha un ruolo ancor più centrale. Restano però immutate alcune norme che allungano le procedure. Così come non tutti gli istituti sono pronti a rispondere alle nuove richieste.

Cambiano le regole

La lungimiranza ha prevalso: la Banca centrale europea e l’European Banking Autority hanno concesso importanti deroghe alle regole di vigilanza e anche la Commissione europea, il 28 aprile, ha varato un pacchetto di misure per permettere l’erogazione di credito a famiglie e imprese sino a 450 miliardi di euro aggiuntivi. Il fine è consentire alle banche di svolgere nel modo migliore il loro ruolo di trait d’union fra politica monetaria ed economia reale (per approfondimenti si veda il recente Rapporto sulla stabilità finanziaria). Mai come in questo momento la proporzionalità è necessaria, non tanto in relazione alle dimensioni delle banche, bensì della minaccia.

Difficile immaginare un epilogo diverso data la velocità e imponenza dello shock economico. L’Istat ha appena attestato un calo del 4,7 per cento per il Pil italiano nel 1° trimestre 2020 mentre le previsioni per l’intero anno sono cupe: -9,5 per cento per la Commissione Ue e -8 per cento per il nostro ministero dell’Economia e delle Finanze, con ripresa solo parziale nel 2021.

Il real estate è una rilevante componente del Pil (circa Il 18 per cento) nonché una delle più importanti industrie di riferimento per il settore bancario. Proprio qui si è già visto un rallentamento nel 1° trimestre 2020, mentre sull’anno si stima un calo dei volumi sino al 20 per cento delle compravendite residenziali e il rischio di una spirale fra domanda in discesa e calo dei prezzi è concreto. In aggiunta, è probabile che il prolungato lockdown modifichi prassi e abitudini delle persone con potenziali risvolti sulla configurazione delle varie asset class immobiliari, basta pensare all’evoluzione degli uffici dopo il prolungato smart working di milioni di persone.

Decreti e sistema bancario

Per attutire i contraccolpi della crisi sanitaria sull’economia, a inizio aprile il governo ha varato il cosiddetto decreto legge “liquidità” finalizzato a una rapida trasmissione del denaro a quegli operatori bloccati da misure eccezionali di salute pubblica. Il provvedimento è incentrato sulla concessione del credito bancario, legandone il conseguimento a una garanzia parziale o totale dello stato e, contrariamente a quanto auspicato da Banca d’Italia oltre che dall’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, non ha previsto trasferimenti a fondo perduto. L’impianto – concepito per massimizzare il beneficio delle risorse pubbliche destinate, minimizzando al contempo le cifre da iscrivere a bilancio – è stato reso possibile dall’ottima prova di affidabilità data, durante il lockdown, dal sistema bancario, che ha garantito il capillare presidio territoriale mediante le filiali e assicurato i servizi bancari essenziali (per esempio, sistema dei pagamenti, erogazione del credito). Pertanto, il governo ha attribuito all’industria bancaria un ruolo ancora più centrale, rendendola di fatto una sorta di longa manus pubblica nell’attuazione del decreto.

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Tra il dire e il fare

Tra il dire e il fare, tuttavia, il passaggio non è affatto scontato e i numeri sono decisamente inferiori alle aspettative: secondo l’Abi, solo per quanto riguarda i crediti sino a 25 mila euro – concepiti per dare fiato immediato a professionisti e micro imprese – fino al 10 maggio erano stati erogati circa 2,2 miliardi, con soddisfacimento di circa 117 mila richieste. Il fatto che la platea potenziale fosse nell’ordine dei 2-2,5 milioni è un dato che fa riflettere. Come mai? Difficile dare una risposta certa, in ogni caso si possono focalizzare due elementi.

Il primo, esterno al sistema bancario, riguarda il fatto che le misure governative introducono regole nuove, ma senza modificare le esistenti. E qui sorge il problema: in un contesto di forte difficoltà economica, le banche non sono state messe al riparo dalla responsabilità penale nella concessione di credito a operatori vicini all’insolvenza. Pertanto, alla prova dei fatti, anche per i crediti sino a 25 mila euro viene meno l’auspicata facilità e immediatezza, in quanto occorre una (minima) valutazione del merito di credito per scongiurare una successiva – e paradossale – responsabilità penale nei confronti del garante pubblico. Il punto non è per nulla banale ed è stato rilevato anche da Banca d’Italia in audizione alla Camera. È stato anche notato (da Franco Bassanini, Claudio De Vincenti e Marcello Messori) come il decreto dell’8 aprile crei di fatto un incentivo per le banche a fissare i tassi alla soglia massima compatibile con la norma. Ma la pandemia ha schiacciato verso il basso la redditività delle imprese, la cui sopravvivenza potrebbe essere a rischio a dispetto delle garanzie offerte e delle migliori intenzioni del governo.

L’elemento interno al sistema bancario riguarda il numero di richieste finora presentate (circa 300-350 mila) che comportano lavorazioni a livello formale (verifica della documentazione trasmessa e della corretta compilazione delle domande) oltre che sostanziale (valutazione creditizia del richiedente) non indifferenti. Il corollario di ciò è un iter lento, con significativo intasamento nel gestire una tale mole di lavoro. Questo in un momento in cui le banche, con i medesimi organici e infrastruttura tecnologica stanno parallelamente affrontando lo tsunami di richieste di moratoria. È evidente che gli istituti che avevano già investito nella digitalizzazione dei processi di credito (digital lending) emergono come i vincitori di questa inaspettata prova di tenuta.

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Svolta tecnologica e regole più snelle

Le crisi globali spingono a cambiare le regole e modificano i modelli di business. Nel mutato scenario, il distanziamento sociale potrà costituire il volano per la diffusione di un nuovo paradigma basato su una (irrimandabile) svolta tecnologica. Solo in tal modo le banche potranno avere un primario ruolo nella ripresa e saranno preparate per le sfide future, impreviste e imprevedibili.

Allo stesso tempo è urgente lo snellimento delle regole relative al credito e alle garanzie, l’accelerazione delle procedure per la concessione delle garanzie, l’alleggerimento dei controlli a priori, rendendo invece più severi e pervasivi quelli a posteriori e facendo affidamento sulla responsabilità dei prenditori, sollevando i dirigenti delle banche da potenziali, paralizzanti azioni di responsabilità. Magari temporaneamente, ma si potrebbe anche scoprire che il nuovo bilanciamento tra esigenze di rapidità dell’intervento e quelle dei controlli di efficacia e di legalità funziona davvero bene…

* L’articolo riflette le opinioni esclusivamente personali degli autori e non impegna o comporta la responsabilità per le aziende di appartenenza.

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