Prima ha goduto di un diffuso consenso nel paese, poi – con l’acuirsi della pandemia – il premier conservatore ha accusato un calo di popolarità. La minaccia politica al governo dovrebbe arrivare dal nuovo leader laburista Starmer. Che però sta incollando i pezzi del partito.
Il paese rimane in quarentena ed è vicino al limite della pazienza. La stoica rassegnazione e l’ottimismo solare della stragrande maggioranza della popolazione inglese hanno fatto finora sì che i pessimi dati su ricoveri e decessi vengano visti dall’opinione pubblica e dai media, compresi quelli più antigovernativi, nella miglior luce possibile.
Tutti insieme appassionatamente
In situazioni di crisi, gli inglesi tendono a farsi coraggio e commuoversi. Gli ultimi mesi non hanno fatto eccezione: la nazione è passata dal messaggio televisivo della regina del 4 aprile (il quinto in 68 anni di regno), all’applauso settimanale ai dipendenti del servizio sanitario nazionale, alla raccolta fondi del capitano Tom Moore, la cui figlia ha scritto al giornale locale per pubblicizzare la sua intenzione di celebrare il centesimo compleanno e raccogliere fondi per medici e infermieri camminando cento volte su e giù nel suo giardino, e che, colta l’attenzione della Bbc e dei social è diventato una stella nazionale, raccogliendo 92 milioni di sterline e guadagnandosi anche la promozione a colonnello, fino alla solidarietà per Boris Johnson durante la sua ammissione in terapia intensiva e alle congratulazioni per l’arrivo del quinto (o sesto?) figlio.
Perfino la Bbc sembra rinunciare al suo ruolo di infaticabile critica governativa: i cattivi direbbero che le minacce di abolizone del canone di abbonamento abbiano convinto la dirigenza a tenere a cuccia i commentatori più ringhiosi; e a pensar male si fa peccato, ma spesso si ha ragione, viste le arrampicate sugli specchi che appaiono regolarmente sul sito web.
Il fatto che il Regno Unito abbia ora, dopo gli Stati Uniti il più alto numeri di decessi nel mondo sta però cominciando a incrinare l’unità nazionale e la fiducia nel governo, che fino ad oggi ha goduto di sondaggi d’opinione stabilmente sopra il 50 per cento, e in Johnson in particolare, nonostante le incertezze iniziali (vere, anche se esagerate dalla stampa italiana): i primi ministri delle altre tre nazioni che compongono il Regno prendono le distanze. In Scozia il messaggio rimane “io resto a casa” e non verrà diffuso il nuovo slogan “io sto attento” che invece riceveranno gli inglesi.
Keir Starmer a capo dell’opposizione
Questo forse potrà permettere al nuovo leader dei laburisti, Keir Starmer, di diventare più efficace. Fino a ieri non sembrava nemmeno scalfire l’immagine del governo: Johnson poteva, in un parlamento semivuoto e virtuale, semplicemente ignorare la domanda di Starmer di come potesse sostenere che il paese fosse un successo internazionale quando i numeri lo smentivano di grosso. Eletto in modo decisivo al primo turno, ha cominciato subito a fare piazza pulita dei corbinisti, limitandosi solo a mantenere la promessa di nominare nel governo ombra entrambe le sue due rivali nella campagna per la leadership, ma affidando l’istruzione a Rebecca Long-Bailey, la candidata dei corbinisti di Momentum, un ruolo di minor prestigio e influenza rispetto a quello di ministro ombra degli esteri dato a Lisa Nandy, anche lei, come Starmer, dimessasi dal governo ombra di Jeremy Corbyin come protesta alle sue posizioni pro-Brexit. E, in una recente intervista al Financial Times, assegna a Corbyn, come avevo fatto io subito dopo le elezioni, la colpa principale della disfatta elettorale di dicembre. Figlio di un’infermiera e di un operaio, che l’hanno chiamato come il primo leader dei laburisti, Keir Hardie, il 19mo leader è entrato in Parlamento nel 2015, dopo una brillante carriera che lo ha portato dalle facoltà di legge delle università di Leeds e Oxford a una della massime cariche legali del Regno, il capo del ramo inquirente della magistratura (il Crown Prosecution Service, agenzia pubblica il cui compito è decidere se perseguire un imputato sulla base delle indagini della polizia o della guardia di finanza).
Laburisti: un partito da rimettere insieme
Ora il compito che ha Starmer davanti a sé è durissimo: per ottenere una maggioranza i laburisti devono aggiungere 124 seggi agli attuali 202. A parte Tony Blair che nel 1997 aumentò il totale di 145, in nessuna elezione del dopoguerra un partito ha mai guadagnato più di 100 seggi. Ma Blair non solo aveva di fronte i tory che si sfaldavano come neve al sole, ma guidava anche un partito unito, che i suoi predecessori Neil Kinnock e John Smith avevano organizzato per diventare un’efficace macchina di governo, depurandolo dai trotzkisti, e aprendo la via per la decisione imposta da Blair di modificare l’iconico quarto comma dello statuto che stabiliva come fine del partito la “proprietà comune dei mezzi di produzione distribuzione e scambio”. Il partito ereditato da Starmer è invece profondamente diviso: due ali che si detestano apertamente, da un lato i sostenitori di Corbyn, ancora in possesso di molte posizioni rilevanti, dall’altro l’ala più pragmatica che esce dall’esilio forzato. Simbolica cartina di tornasole potrà essere la riammissione di Alastair Campbell, il feroce addetto stampa di Blair, espulso dal partito per aver votato lib-dem alle europee del 2019. Starmer sembra aver cominciato in modo deciso, invitando nel governo ombra sia deputati che erano stati al governo con Blair e Gordon Brown (David Lammy, l’ex leader Ed Milliband, e il veterano Nick Brown) sia giovani “centristi” promettenti (Anneliese Dodds, Rachel Reeves). Quello che non lascia dubbi è che un avvocato di successo, con molta attenzione ai dettagli, sta cominciando a contrattacare Boris Johnson e il suo governo in modo ben più incisivo del suo predecessore.
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Paola
Sempre chiarissimo ed incisivo. Un grande saluto p.
Fabrizio Bigioni
Jeremy Corbin, tra le varie colpe che lo contraddistinguono, per me la principale e per la quale spero sia ricordato con infamia nei libri di storia, è di essere stato nella sostanza un cripto – brexiter (in quanto l’Unione Europea secondo lui non assomigliava abbastanza al Comecon)