È stato un innovatore in molti campi. Dai contributi per una macroeconomia più attenta alle distorsioni politiche fino all’analisi dell’importanza di aspetti culturali e ideologici nei risultati economici, il suo percorso di ricerca è stato eccezionale.
Un professore coinvolgente
Da sempre, tutte le volte che uno studente entra per la prima volta nel mio ufficio, ripenso a Alberto Alesina e al suo ufficio. “Vieni, vieni, ma quale professor Alesina. Chiamami Alberto”. Non sono esattamente le prime parole che uno studente, specialmente italiano, si aspetti da un luminare dell’università di Harvard. Eppure, furono le prime parole che Alberto Alesina mi rivolse nell’estate del 2000. Segnarono l’inizio di un percorso di ricerca nel campo di analisi economica e sociale aperto e approfondito da Alberto, la Political Economy. In quell’area, concentrata sulle distorsioni politiche sul sistema economico, Alberto Alesina era destinato a ricevere il premio Nobel per l’economia per i suoi contributi scientifici, se non fosse scomparso prematuramente sabato scorso a Boston.
Nell’ufficio di Alberto Alesina al Littauer Center a Cambridge in Massachussetts il sottinteso di una parità intellettuale era subito esplicito. Darsi del “tu” era automatico. Alberto era pronto a ascoltare tutti noi studenti, non solo alcuni, e senza alcuna forma di discriminazione. Le idee di ricerca e le nostre domande erano l’unica cosa importante. Con la sua caratteristica umiltà – anche nella sua ultima corrispondenza con me di pochi giorni fa si dava dell’“incompetente” per una quisquilia amministrativa col National Bureau of Economic Research – a noi studenti di dottorato diceva spesso “imparo più io da voi che voi da me”: con tutto il rispetto, era una sciocchezza.
Alberto vedeva cose che nessuno di noi vedeva. Non ci fu una volta che fossi uscito da quell’ufficio senza un’idea nuova in mente. Intere coorti di studenti di dottorato di Harvard, oggi molti dei quali professori ordinari nei più importanti atenei del mondo, hanno sviluppato il nocciolo intellettuale della propria ricerca in quell’ufficio. Non è un’esagerazione: Mit, Berkeley, Chicago, Ucla, ma anche la nostra università Bocconi, un’istituzione che amava. La lista è davvero troppo lunga.
La ricerca tra gli anni Ottanta e Novanta
La ricerca di Alberto Alesina partì dai problemi di interazione delle politiche fiscali con le dinamiche elettorali alla fine degli anni Ottanta. L’analisi delle corrispondenze politiche in problemi macroeconomici era stata a lungo ignorata per la difficoltà nel riconciliare principi di razionalità degli elettori in contesti sufficientemente realistici dal punto di visto empirico. In due lavori fondamentali, risolse il problema dei “cicli elettorali” e aprì la strada per una macroeconomia più attenta agli shock e alle distorsioni politiche. Lavori nodali con Guido Tabellini, un altro dei giganti in quest’area, sono anch’essi di questo periodo.
Allo stesso tempo mise le basi per una maggior attenzione alle dimensioni economiche nelle scienze politiche e per molti anni fu parte sia del dipartimento di Economia che di quello di Scienze politiche a Harvard. È suo un contributo fondamentale allo studio del “Divided Government” con Howard Rosenthal, uno scienziato politico di fama internazionale.
Nei nostri incontri Alberto trasmetteva un’urgenza intellettuale, un desiderio di spingere la frontiera sui fronti dove si potesse guadagnare di più in termini di benessere collettivo. Nessun tecnicismo inutile –Alberto odiava l’algebra fine a se stessa e, come per Paul Samuelson, per lui l’eleganza era un concetto per stilisti, non per economisti. Alberto cercava di andare al cuore del problema e di vedere la “big picture”. I suoi lavori sui ritardi strategici nella realizzazione delle riforme fiscali con Alan Drazen all’università del Maryland nei primi anni Novanta rimangono dei classici nell’aiutarci a capire da dove possano provenire sia i default argentini che le impasse politiche americane.
Non era solo un macroeconomista. L’animale politico di Aristotele era il paradigma, per Alberto, più dell’homo oeconomicus. Alla fine degli anni Novanta, il suo interesse alle divisioni etniche negli Stati Uniti e in Africa aprì intere aree di ricerca nelle scienze delle finanze a livello locale negli Usa, nell’economia urbana, nell’economia dello sviluppo. I temi della disuguaglianza, delle opportunità e della crescita appaiono in lavori fondamentali di quegli anni, come il suo classico lavoro sulla redistribuzione economica con Dani Rodrik. Il tema delle divisioni e il conflitto tra gruppi e all’interno di gruppi di individui nelle decisioni di politica economica affascinava Alberto: la sua ricerca produsse progressi fondamentali rispetto alle aree di social choice and public choice, che in economia avevano trattato temi simili e garantito il premio Nobel a Kenneth Arrow e James Buchanan.
I modelli microeconomici di Alberto sulle partizioni sociali e la coesione delle nazioni rimangono paradigmi di semplicità e intuizione. In quel periodo, molti dottorandi ebbero la fortuna di partecipare a questi progetti: Eliana La Ferrara, Romain Wacziarg, Enrico Spolaore, che oggi sono economisti europei tra i più citati nel mondo. Io stesso fui uno dei molti in quell’ufficio pieno di libri che avrei dovuto leggere e di piccozze da alpinista: “gente del Nord”, pensavo.
I lavori degli anni Duemila
“Le migliori idee mi vengono sciando” mi disse Alberto agli inizi degli anni Duemila. Non era vero. Gli venivano anche a cena, come nel caso dei suoi lavori con Marios Angeletos. Ero presente a quella cena: Alberto aveva presentato un nostro articolo al Mit, c’era anche Olivier Blanchard, mentre Marios era stato suo studente pochi anni prima; il loro lavoro su redistribuzione e equità iniziò proprio con una domanda fatta quella sera.
Le idee migliori venivano ad Alberto quando e dove capitava. E capitava spesso.
Nella seconda metà degli anni Duemila e dopo la crisi finanziaria del 2008, Alberto produsse contributi fondamentali ancora in un’altra area esterna alla macroeconomia vera e prioria: economia della famiglia. E attraverso il suo mentoring e il suo gruppo di Political Economy al National Bureau of Economic Research – Cultural Economics, iniziò a lavorare sull’economia dell’evoluzione culturale. Temi di antropologia culturale, sociologia, psicologia appaiono frequentemente sia nei suoi articoli di questo periodo che nei seminari a Cambridge. Si parla di intere aree di ricerca su discriminazioni di genere ed equità di opportunità per gli individui, ben oltre il valore limitato delle critiche all’austerità fiscale che si leggevano in quel periodo, anche sui social media.
Negli ultimi tempi, l’attenzione che Alberto aveva dedicato all’analisi dei valori culturali e alle divisioni ideologiche appariva estremamente attuale. Fino a pochi giorni fa, Alberto Alesina ha spinto avanti la frontiera intellettuale in queste aree.
Il suo ricordo, le sue idee e la sua generosità rimarranno indimenticabili per tutti noi.
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Carlo Pardini
Capisco che i defunti alimentino il suono dei violini, ma almeno una parola andrebbe detta sul famoso (famigerato?) studio sulla c.d. austerità espansiva, rivelatosi totalmente errato a livello teorico e pratico, e preso a modello dai falchi che hanno contribuito in tutti questi anni alla crescita dei populismi in Europa.
Dario Francesco Massel
Buonasera,
Attendo anch’io con curiosità almeno un accenno alla confutazione della ‘austerità espansiva’ alla quale il professor Alesina ha legato indissolubilmente il suo nome. Professor Trebbi, al di là di giusto riconoscimenti ad Alesina per i suoi studi, almeno un accenno al problema è d’obbligo.
Grazie