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Contagio come un infortunio sul lavoro? Dipende*

Il contagio da coronavirus è stato equiparato all’infortunio sul lavoro. Ma sarebbe stato meglio esplicitare che ciò vale solo ai fini del trattamento assicurativo, senza alcuna presunzione di responsabilità, civile o penale, del datore di lavoro.

Il contagio come un infortunio sul lavoro

In Italia è difficile fare impresa, per esempio a causa della durata della risoluzione giudiziale delle controversie e di molto altro (vedi rapporto Doing Business), ma anche a causa di normative complesse e poco coerenti.

Ora una nuova disposizione, emanata a seguito della pandemia da Covid-19, sembra complicare ulteriormente il quadro per i datori di lavoro-imprenditori: il decreto “Cura Italia” (articolo 42, comma 2, decreto legge n. 18/2020 convertito in legge n. 27/2020) ha equiparato il contagio da coronavirus all’infortunio sul lavoro, con relativa erogazione delle prestazioni Inail (senza che ciò comunque influisca sulla misura del premio assicurativo).

La norma intende favorire il lavoratore infettato con un trattamento più vantaggioso rispetto a quello della “malattia”. La disciplina è integrata dalla circolare Inail n. 13 del 3 aprile scorso: “la causa virulenta è equiparata a quella violenta”, come già previsto in una circolare del 1995, e vi è ora ricompresa pure la “infezione da nuovo coronavirus”. La circolare distingue tra “operatori sanitari” e soggetti impiegati in “altre attività̀ lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza”, i quali si reputano “esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico”, con la conseguenza che esso si “presume” avvenuto “in occasione di lavoro”; e altre categorie di lavoratori, per i quali serve invece un accertamento medico-legale da svolgere sul piano “epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale”.

L’epidemia e la responsabilità del datore di lavoro

Le fonti citate non trattano profili di responsabilità del datore di lavoro, che però viene comunque in rilievo, essendo il contagio da Covid-19 rubricato come infortunio sul lavoro. Peraltro, come per ogni infortunio, quando la prognosi superi i 40 giorni ne va data comunicazione all’autorità giudiziaria. Qualora si riscontri l’inadempienza di uno dei molti obblighi in materia di sicurezza che gravano sul datore di lavoro e un nesso di causalità tra il contagio e quell’inadempienza, potrebbe scaturirne un processo a suo carico. Dunque, la sua responsabilità non è automatica, come ribadito dallo stesso Inail anche con una circolare, ma nemmeno è un’ipotesi remota, ove si consideri il contesto giuridico entro cui si svolge l’attività di impresa, reso ancora più complesso dal profluvio di regole emergenziali emanate per il Covid-19, a livello centrale e regionale.

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Oggi il datore di lavoro-imprenditore – tenuto a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro (art. 2087 codice civile) – oltre ad assolvere quanto previsto dal cosiddetto Testo unico in materia di salute e sicurezza (decreto legislativo n. 81/2008), deve adempiere pure agli obblighi sanciti da una serie di disposizioni per l’epidemia (tra queste, il protocollo del 24/4/2020 fra governo e parti sociali, protocolli e misure per settori specifici, il Dpcm del 17/5/2020 con linee guida condivise fra stato e Conferenza delle regioni, ordinanze regionali, linee guida Inail). Inoltre, a norma del Testo unico, l’imprenditore deve esercitare una costante sorveglianza volta a garantire che ogni prescrizione sia puntualmente rispettata dai singoli lavoratori. Dunque, le regole vigenti sono così numerose, affastellate, mutevoli e opinabili in sede di interpretazione e applicazione da rendere elevato il rischio che, per una qualche inosservanza o per la difficoltà di dimostrarne la rigorosa osservanza, il datore di lavoro-imprenditore possa essere ritenuto responsabile anche penalmente per il contagio da coronavirus sul luogo di lavoro (lesioni personali gravi o gravissime ex art. 590 codice penale, con aggravante specifica ex art. 590, c. 3, cp; omicidio colposo ex art. 589 cp, se al contagio è seguita la morte). Peraltro, la giurisprudenza tende a ravvisare una sua responsabilità anche per non aver previsto e impedito l’eventuale violazione da parte del lavoratore delle regole prescritte.

Osservanza dei protocolli e vigilanza

Proprio per chiarire alcuni dubbi sulla responsabilità del datore di lavoro-imprenditore, a seguito della norma del “Cura Italia”, un emendamento al “decreto liquidità” dispone che “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Sars-Cov-2”, il datore di lavoro-imprenditore è tenuto al rispetto delle misure prescritte nei relativi protocolli. La nuova disposizione parrebbe ribadire un principio cardine: nessuno può essere condannato se osserva ogni misura precauzionale. Resterebbe il problema della congerie e della mutevolezza delle regole in materia, con la difficoltà di dimostrarne il preciso adempimento. E non verrebbero dissipate perplessità circa il rischio di responsabilità del datore di lavoro se, nonostante la sua ottemperanza ai protocolli di sicurezza, fosse reputata non idonea la sua vigilanza sul loro rispetto da parte dei lavoratori. Peraltro, la nuova norma non eviterebbe l’avvio di indagini anche per imprenditori “virtuosi”, con possibili conseguenze sulla loro attività. Pertanto, quest’intervento del legislatore non sembra decisivo e lascia margini di incertezza.

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Meglio sarebbe stato esplicitare in via normativa che la qualificazione come infortunio sul lavoro dell’infezione da coronavirus rileva solo ai fini del trattamento assicurativo, ma non comporta alcuna presunzione di responsabilità, né civile né penale, del datore di lavoro.

* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente dell’autore e non coinvolgono l’istituzione per cui lavora.

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Il Punto

  1. Firmin

    Ho un sogno: sogno che i testi delle leggi siano tracciabili come gli infetti di covid19. Così chi ha inserito certe mostruosità giuridiche potrebbe essere isolato dalla comunità umana per un adeguato periodo di tempo. Invece scommetto che per questa ed altre “sviste” pagherà solo qualche imprenditore che ha pensato a lavorare invece di tutelarsi dietro una montagna di carte. Immagino che tra i beneficiari del trattamento Inail ci saranno anche quelli che si sono presi il covid19 per uno spritz di troppo e non certo sul lavoro.

    • Marcello

      se uno deve andare a lavorare e stare 8 ore con la mascherina a giugno e luglio rischiando la pelle per quattro lire, forse ha diritto poi la sera di andare a dimenticare il suo essere schiavo annebbiandosi il cervello con uno spritz

  2. Marcello Pezzuto

    meglio sarebbe favorire enormemente lo smartworking, anzichè baloccarsi con l’effetto monica lewinsky

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