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Il diritto del lavoro nell’epoca di internet*

La nuova frontiera del diritto del lavoro non è in un radicale ridisegno della disciplina inderogabile del rapporto di lavoro tradizionale. Ma è nella costruzione di un diritto soggettivo al sostegno efficace nella transizione da vecchio a nuovo lavoro.

Garantire la continuità del reddito

Il nostro sistema di protezione del lavoro si è strutturato nel secolo scorso in relazione a un tessuto produttivo e a un mercato del lavoro molto diversi rispetto a quelli con cui il sistema delle relazioni industriali dovrà confrontarsi nel prossimo futuro.

Nella relazione presentata al convegno dell’Associazione dei giuslavoristi italiani, che si è svolto a Torino nei giorni scorsi, mi sono proposto di mostrare come un tratto che accomuna una parte rilevante dei mutamenti in atto sia costituito dalla drastica riduzione dei costi di transazione conseguente agli sviluppi dell’informatica e della telematica.

Dove l’abbattimento dei costi dell’incontro tra domanda e offerta avviene attraverso le piattaforme digitali, la disintermediazione consente ai lavoratori di offrire i propri servizi direttamente, senza la necessità di un imprenditore che ne organizzi la commercializzazione. Viene meno, così, quella che Ronald Coase indicava nel secolo scorso come ragion d’essere essenziale del rapporto di lavoro nell’impresa, cioè l’esigenza dell’imprenditore di abbattere i costi di transazione sostituendo con un solo contratto una miriade di contratti, altrimenti necessari per conformare di volta in volta la prestazione lavorativa alle esigenze nuove.

Questa forma di organizzazione del lavoro, da un lato, favorisce l’accesso degli outsider al mercato; e consente alle persone che lavorano un recupero del controllo sull’uso del proprio tempo. Dall’altro lato, però, determina una destrutturazione totale delle forme di protezione del lavoro tradizionali: più precisamente, si assiste a una sostituzione massiva di lavoro subordinato con lavoro giuridicamente qualificato come autonomo. Dove questo accade si rende necessario un nuovo ordinamento protettivo, che favorisca forme di recupero di una continuità del reddito con strumenti mutualistici che già oggi vengono attivati da organizzazioni costituite espressamente per questo scopo (le cosiddette umbrella companies, che fungono da fondo mutualistico per i platform workers). Dove questi strumenti non siano disponibili, o i lavoratori interessati non intendano avvalersene, si può pensare a una norma che imponga il pagamento dei compensi per mezzo della stessa piattaforma Inps istituita per il lavoro occasionale (decreto legge n. 50/2017, art. 54-bis), in modo da assicurare il rispetto di uno standard retributivo minimo e il versamento di un contributo per le assicurazioni previdenziali essenziali per infortuni sul lavoro, invalidità e vecchiaia.

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Il diritto alla formazione

Dove l’attività lavorativa conserva, invece, il carattere della continuità, al servizio di un unico committente, informatica e telematica producono l’effetto di un coordinamento più facile della prestazione lavorativa individuale con il resto dell’organizzazione aziendale, anche senza necessità di un suo assoggettamento a coordinamento spazio-temporale. Se ciononostante il rapporto conserva la forma del contratto di lavoro subordinato, l’assoggettamento a coordinamento informatico-telematico può avere l’effetto di una erosione dell’efficacia delle tecniche protettive tradizionali. Più specificamente:

– l’emancipazione della prestazione lavorativa dal vincolo dell’orario di lavoro rende necessario introdurre e regolare adeguatamente un “diritto alla disconnessione”; ma resta aperto il problema di una prestazione lavorativa di cui non è più possibile porre un limite quantitativo massimo;

– la più immediata e più penetrante visibilità dei livelli di produttività delle prestazioni lavorative individuali svolte in collegamento telematico con l’organizzazione aziendale espone i lavoratori a uno “stress da esame” più intenso e continuo;

– il ritmo più rapido di obsolescenza delle tecniche applicate, dei materiali e degli stessi prodotti vanifica qualsiasi difesa statica della professionalità del lavoratore e rende indispensabile una tutela dinamica fondata su servizi efficaci di formazione e riqualificazione permanente;

– una più intensa concorrenza tra lavoratori, anche (ma non solo) residenti in paesi molto distanti tra loro erode l’efficacia alle tecniche di protezione sulle quali si è fondato l’ordinamento giuslavoristico nell’ultimo secolo, ponendo a rischio la “parte bassa” o “metà inferiore” di ciascuna categoria professionale e aumentando le disuguaglianze di reddito.

Per converso, la globalizzazione promossa dalle nuove tecnologie amplia la possibilità per i lavoratori di cercare, sia individualmente sia collettivamente, l’imprenditore più capace di valorizzare il loro lavoro: donde una concorrenza più intensa nel mercato sul lato della domanda, dalla quale può conseguire un rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori. Donde anche un nuovo mestiere che il sindacato deve imparare a svolgere in tutte le situazioni di crisi occupazionale: quello di guidare i lavoratori nella valutazione degli imprenditori disponibili su scala mondiale, dei piani industriali che propongono, e poi – nella negoziazione con quello considerato migliore – la scommessa comune sulla nuova impresa.

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L’evoluzione tecnologica più rapida richiederà comunque un drastico miglioramento dell’efficienza dei servizi di istruzione e formazione mirata alle nuove esigenze; in particolare un’accelerazione dei tempi di riconversione delle persone coinvolte nel cambiamento. Terreno, questo, sul quale il nostro paese accusa un ritardo grave: basti pensare al suo stanziamento per l’assegno di ricollocazione pari a un centesimo di quanto si stanzia per mantenere fittiziamente in vita rapporti di lavoro senza futuro mediante la cassa integrazione straordinaria.

Probabilmente la nuova frontiera del diritto del lavoro del ventunesimo secolo si colloca qui: non tanto in un radicale ridisegno della disciplina inderogabile del rapporto di lavoro tradizionale, quanto nella costruzione di un diritto soggettivo al sostegno efficace nella transizione dal vecchio al nuovo lavoro. Che è essenzialmente il diritto alla formazione e alla riqualificazione continua e congrua in relazione all’evoluzione delle esigenze del tessuto produttivo.

*Pietro Ichino è Senatore del Partito Democratico.

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  1. Savino

    Se il lavoro sta cambiando, perchè si continuano solo ad assumere solo over 55?
    Penso che, sia il mondo dell’impresa che quello delle maestranze, abbiamo timore di questo mutamento, perchè esso mette in evidenza i fattori produttività e meritocrazia, cioè mette in moto, nel mondo del lavoro, i macro fattori della serietà e delle capacità professionali, che non vanno a genio al sistema produttivo italiano, basato sulla generica e fantasiosa “creatività”, inconciliabile con i parametri dell’economia globale.

    • diana

      @Savino:

      che buffo, a sentire gli over 55 sembra che vengano assunti solo giovani perché hanno il vantaggio dei minori oneri contributivi (anche su lavoce hanno puntato l’attenzione sull’effetto della demografia delle coorti di impiegati; non è detto che vi siano davvero più lavortori over 55, è che molti babyboomer ci sono entrati ora arrivando dalla fascia di età inferiore)

  2. giuli 44

    Chiarissimo Professore. approfitto dell’occasione non già per commentare il Suo articolo: non ne ha bisogno per la Sua chiarezza e conoscenza della materia che son a tutti ben note, ma per sottoporLe una mia proposta. Visto che le nuove tecnologie hanno, fra l’altro, la caratteristica di richiedere un minore impiego di mano d’opera non sarebbe più opportuno ricorrere, anziché a forme assistenziali, ad una sorta di “contratto di solidarietà” esteso a tutti con taglio delle ore-lavoro individuali? Sarei veramente lieto di sapere un Suo parere in proposito.

  3. Marcomassimo

    Vedremo se sarà l’avvento delle sorti magnifiche e progressive del ventunesimo secolo oppure il dignitoso ritorno alla miseria dell’ottocento in forma non agricola ma digitalizzata

  4. Michele

    Nulla di buono ci si può attendere dalla gig economy, specialmente per i lavoratori. Si vende l’idea del super professionista che seleziona i propri committenti. La realtà è fondamentalmente opposta: lavoratori che nella impossibilità ad avere un posto fisso, con un minimo di certezze, accettano qualunque lavoretto sottopagato pur di sopravvivere. Quello che serve non sono umbrella company, ma sindacati. Non la vaucherizzazione dei rapporti di lavoro, ma contratti collettivi. Ben pochi sono i professionisti (figuriamoci i lavoratori) che sono nella condizione di “valutare gli imprenditori disponibili su scala mondiale”. Non abbiamo bisogno di carrozzoni (fonti solo di profitti privati) dediti alla pseudo “formazione e riqualificazione permanente”. Abbiamo bisogno invece di più investimenti nella scuola pubblica. L’idea che il mercato sia l’unico strumento che possa regolare i rapporti, ci porta al caos, ad un aumento dei costi totali. Quando chiamo un taxi, non voglio condurre un’asta sul costo del servizio. Voglio un servizio semplice, garantito dal comune, a un costo noto in anticipo.

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