Lavoce.info

Dietro lo schermo del Pc i problemi della nostra scuola

Le difficoltà della didattica a distanza riflettono i problemi di sistema della scuola italiana. Agli insegnanti dovrebbe essere garantita una formazione continua. E agli studenti la personalizzazione o la differenziazione di contenuti e obiettivi.

Studenti a casa

L’Italia, con quasi 7 milioni di studenti delle primarie e secondarie confinati in casa, è stato uno dei primi paesi a chiudere le scuole e probabilmente sarà uno degli ultimi a riaprirle.

È un fatto particolarmente preoccupante se si considera la situazione critica che già caratterizza il panorama educativo italiano. La crisi generata dalla pandemia di Covid-19 intensifica infatti le disparità Anche perché la didattica a distanza (Dad) utilizzata nell’emergenza raggiunge gli studenti soltanto in modo parziale. Nel Regno Unito, una nota del Sutton Trust rileva che solo il 30 per cento degli studenti della classe media e il 16 per cento di quelli che appartengono ad ambienti svantaggiati sono raggiunti dai loro insegnanti attraverso la didattica a distanza. In Italia si stima che il 20 per cento degli studenti risulterebbe escluso dalla Dad.

Quali sono i problemi sistemici della scuola italiana e come si manifestano nella didattica a distanza in modalità emergenziale? I più preoccupanti sono due: (1) l’assenza di linee di indirizzo nazionali basate su indicazioni di esperti, in grado di raggiungere capillarmente le scuole, nelle quali vengano comunicate con semplicità e linguaggio pedagogico le modalità di insegnamento e di valutazione da considerare; (2) la grande variabilità di pratiche locali, perlopiù poco coese o coerenti, che fanno leva in maniera eccessiva sull’autonomia del docente, spesso intesa e praticata con poco collaborazione e coerenza a livello di scuola. La didattica a distanza, anche quando c’è, riproduce con ogni probabilità alcune forti limitazioni della scuola italiana, con ricadute sull’apprendimento, nonché sul benessere dello studente.

Scuola autonoma, ma senza coerenza

Prima dell’inizio della pandemia di Covid-19, solo il 20 per cento dei docenti aveva seguito corsi di formazione di alfabetizzazione digitale. Secondo un recente rapporto Ocse, anche quando gli insegnanti hanno a disposizione risorse professionali per l’utilizzo di dispositivi digitali, non dispongono né delle competenze tecniche e pedagogiche necessarie per integrare i dispositivi nell’insegnamento, né del tempo necessario per preparare lezioni che ne prevedano l’uso.

La crisi attuale solleva dunque questioni fondamentali sulla necessità di garantire maggiori investimenti nella formazione professionale dei docenti. Nonostante molti insegnanti e dirigenti scolastici abbiano ottenuto aiuto concreto nell’insegnamento a distanza, grazie anche al sostegno offerto da Indire la formazione che hanno ricevuto per affrontare la situazione d’emergenza non è stata uniforme. Non sono mancati gli esperti che hanno dato sostegno in una logica bottom up di disseminazione e di “terza missione” (per esempio, Roberto Trinchero, Monica Mincu; Anna Granata e Maurizio Allasia; Anna Granata). Ma la trasformazione digitale della scuola a causa dell’emergenza avrebbe bisogno di un approccio sistemico, viste le implicazioni pedagogiche, organizzative e di governance che saranno da approfondire nel dopo crisi.

Leggi anche:  La Dad non è stata uguale per tutti*

Manca ora e più in generale, la possibilità di governare il sistema scolastico in maniera soft per mezzo di sapere esperto. L’assenza di politiche educative più ampie, nazionali o regionali o locali, in grado di promuovere nuovi modelli e forme di coerenza a sostegno del lavoro collegiale, risulta un chiaro ostacolo di natura strutturale. Ciò che in molti paesi del mondo a forte autonomia scolastica (Regno Unito, Nord Europa, Canada, Australia, Cina, Stati Uniti) si configura come “politica d’istituto”, vissuta nel quotidiano delle azioni e nella materialità dei messaggi educativi, può rappresentare un modello per il piano di offerta formativa triennale delle scuole italiane. Inoltre, la collegialità non può essere il mero esito di dinamiche interpersonali ma deve essere caratteristica principale di un tipo di organizzazione scolastica, basata sulla formazione continua e su una efficace leadership – d’istituto e intermedia – composta da insegnanti esperti.

Dai dati Talis 2018 emerge un quadro contrastante della situazione degli insegnanti italiani se la si confronta con quella di colleghi di altri paesi: la più ampia autonomia docente e la possibilità di incidere in via teorica sul curricolo e sulle politiche d’istituto si associano, infatti, a esiti inferiori alla media Ocse in termini di giorni di formazione continua e a una assenza di pratiche di mentoring tra docenti.

Ma ci sono altri limiti che riguardano il modello scolastico italiano, sia in presenza che online: debole coordinamento relativo alla quantità e al tipo di compiti, alla valutazione e all’uso del voto, alla sua frequenza e significato; debole interpretazione di un curricolo per competenze (più per certi insegnamenti e gradi di scuola), poche opportunità di lavoro tra pari o in gruppo per gli studenti.

Manca la personalizzazione per gli studenti

La personalizzazione o la differenziazione dei contenuti e degli obiettivi per tutti gli studenti è emblematicamente debole, perfino in confronto con paesi vicini come la Francia, dove l’idea di “personalizzazione pedagogica” ricorre nei discorsi politici (per esempio, il ministro dell’Educazione, Jean-Michel Blanquer). In Italia, l’insegnamento oggi non è pensato per rispondere alle esigenze specifiche dei singoli studenti: solo due insegnanti su dieci propongono attività in un certo senso differenziate per i propri alunni. Strettamente collegata è la modalità di riscontri personali o di “verifiche” nel senso più classico: nella didattica a distanza dovrebbero tener conto anche della possibilità di connessione e dei vari strumenti a disposizione.

Leggi anche:  L'alternanza scuola-lavoro? A volte porta all'università

La differenziazione è un modo significativo – se non il principale – per coinvolgere attivamente e interamente lo studente, per restituirgli “la sua voce” e il controllo rispetto al proprio apprendimento. Si tratta in sostanza di una questione di motivazione e di benessere personale, oltre a essere un modo efficace per apprendere, che si tratti di interazione in presenza oppure online.

L’uso di dispositivi online rischia di intensificare alcune importanti limitazioni strutturali radicate nel sistema educativo italiano: la non-interattività dell’insegnamento e la preponderanza della valutazione sommativa a discapito di quella formativa. Approcci all’insegna dell’equità per tutti, non solo per i più deboli, necessitano in una situazione emergenziale di una pedagogia che in Italia sarebbe da considerare perlopiù innovativa: quantità e rilevanza di contenuti proposti in relazione alle competenze attese, tipi di valutazione che producano apprendimento e non fiscalizzazione numerica, modalità differenziate e possibilità di ricupero futuro delle competenze perse.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Parità di genere: dov'è il collo di bottiglia nella carriera universitaria

Precedente

Il Punto

Successivo

Scelte consapevoli in tempi di incertezza*

  1. ELENA SCARDINO

    Sono una preside in pensione dal 1992, dopo 13 anni di impegno diretto a modificare in meglio le più inefficaci modalità tradizionali degli insegnanti. Condivido tutte le osservazioni critiche e le proposte di interventi, ma non vedo nella dirigenza politica attuale capacità e volontà di cominciare a affrontare questa situazione di abbandono .

    • MONICA ELENA MINCU

      I dirigenti hanno le armi spuntate e possono usare perlopiù il carisma e la relazione per indirizzare la didattica. Però il contesto rende difficile perfino poter proporre formazione in alcune scuole, o suggerire modalità concordate di lavoro. La valutazione – solo uno degli aspetti più critici. La ringrazio e concordo: è un problema politico (e sapere esperto).

  2. Norberto Bottani

    D’accordo. Occorrerebbe in primo luogo chiedersi se l’insegnamento a distanza con le nuove tecnologie sia da gestire centralmente oppure se sia una faccenda decentralizzata. In questo caso la ricchezza delle iniziative locali non è da scartare anche se non fa sistema. Data la debolezza italica della ricerca scientifica sull’istruzione forse non è tanto male.

    • Monica Mincu

      La ringrazio molto per il suo commento. Più che un problema di tecnologia, si tratta di uno legato all’insegnamento. Occorre in effetti una scuola più autonoma (vale a dire anche coesa). Purtroppo si manifesta solo in forme molto deboli (concordare una piattaforma comune è stata un’impresa in alcune scuole). Il periodo ha messo in luce la stessa anarchia circa la valutazione, carico di compiti non concordato, uso del registro molto discordante perfino nella nella stessa scuola. Per es segnalando difficoltà di connessione come volontà di sottrarsi alle interrogazioni.

    • bob

      “In questo caso la ricchezza delle iniziative locali non è da scartare anche se non fa sistema..” A parte la contraddizione in termini. Alcuni geni, nelle zone con più alto numero di analfabeti, un pò di anni fa proposero il dialetto nelle scuole. Concordando, come tutti sottolineano preside compreso, che il problema è solo politico, il Paese senza memoria dimentica che quei geni hanno imperversato e imperversano tuttora nella “politica italiana” . La cultura per il potere è come l’aglio per i vampiri

      • Monica Mincu

        Le iniziative locali sono utilissime, a patto che ci sia poi una memoria, che “facciano sistema” all’interno della scuola. Che ci sia collaborazione tra docenti come “sistema” dentro la scuola.

        • bob

          mi perdoni professoressa non si può relegare un comparto vitale come l’istruzione alla speranza che ci sia ” collaborazione tra docenti” . Non possono non esserci linee guida e programmi in prospettiva che facciano e creano un sistema. Altrimenti come adesso ognun per se e quello che definiamo ” sistema” diventa nella maggior parte dei casi “combriccole da paesetto”

  3. mggatti

    Differenziare i percorsi per ciascun alunno è molto impegnativo – e si deve salvaguardare anche il momento di condivisione con il gruppo intero, per una vera efficacia di scuola pubblica che educhi alla cittadinanza

  4. Monica Mincu

    Concordo sulla difficoltà, é vero, sia di soluzioni reali, sia culturale. La pedagogia a misura di ciascuno è questa nel mondo ed è fattibile. La classe può essere fatta da più gruppi che si compongono e ricompongono. Si può lavorare con precisione a livello di ciascuno senza bocciare ne lasciare indietro e misurare il progresso personale.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén