Il Rapporto annuale Istat si occupa anche delle azioni intraprese a livello individuale dagli italiani per far fronte al cambiamento climatico. Ne emerge un quadro che lascia ampi margini di miglioramento. Ma prima è necessario un cambio di mentalità.
Il peso delle famiglie nella produzione di emissioni
Il 3 luglio è stato pubblicato il Rapporto annuale Istat, che racconta la situazione del paese ed esamina gli effetti dell’emergenza sanitaria. Tra i vari aspetti della vita dei cittadini descritti, ci sono la percezione della crisi climatica e le azioni intraprese a livello individuale dagli italiani per farvi fronte.
Secondo il Rapporto, tra il 2008 e il 2017 in Italia si è registrato un calo del 19,2 per cento degli impieghi di energia rilevanti per le emissioni, in parte dovuto alla riduzione dell’utilizzo di fonti fossili: i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia mostrano che dal 2008 al 2018 la percentuale di petrolio sul totale dell’approvvigionamento in energia primaria è diminuita del 6 per cento, quella di gas naturale è salita dell’1 per cento, ma si è ridotta leggermente in termini assoluti, e quella di carbone è passata dall’8,8 al 5,7 per cento.
Il contributo delle famiglie alle emissioni di gas serra è tutt’altro che modesto. Quasi un terzo degli impieghi di energia rilevanti per le emissioni è dovuto a loro, principalmente per attività di trasporto e riscaldamento. Nonostante le emissioni delle famiglie nel periodo tra il 2008 e il 2018 si siano ridotte in maniera significativa (-13 per cento), la diminuzione è minore rispetto a quella totale di quelle climalteranti (che sono scese del 23 per cento) e il loro apporto alla produzione di gas serra rimane il 26 per cento del totale. Le famiglie sono responsabili di quasi la metà delle emissioni da trasporto, che rappresentano il 28 per cento di quelle totali: il trasporto privato nel 2018 causava più di metà delle emissioni familiari, ma è anche la componente scesa di più dal 2008 (-17 per cento).
Il Covid ha frenato il movimento ambientalista
Questo quadro, che descrive solamente le emissioni di gas serra, è sufficiente per evidenziare l’importanza dei comportamenti familiari e individuali per il rispetto dell’ambiente, ed è indicativo di quanto un impegno concreto dei singoli possa portare a un cambiamento significativo.
Nei mesi precedenti la pandemia, in tutto il mondo il clima aveva ricevuto una attenzione mediatica senza precedenti. Con Fridays for Future era sorto un movimento di opinione e di protesta che sembrava aver finalmente focalizzato l’attenzione delle istituzioni nazionali e internazionali sul problema del cambiamento climatico. Sembrava fosse impossibile affievolirne l’impeto. La speranza era che la 26ª conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop26), che si sarebbe dovuta tenere a Glasgow nel novembre 2020, fosse il luogo in cui le richieste di questo movimento popolare potessero concretizzarsi, con la presentazione dei veri piani dei governi nazionali per ridurre le proprie emissioni entro il 2030 (una forma più severa dei piani volontari presentati a Parigi).
A causa della pandemia, la Cop26 è stata però rimandata al 2021 e l’emergenza sanitaria sembra aver smorzato il discorso sul clima.
Cosa fanno gli italiani per il clima
In realtà, i dati dell’Eurobarometro sul cambiamento climatico indicano che già prima dello scoppio della pandemia la maggior parte degli italiani riteneva che il singolo problema più grave che il mondo si trova ad affrontare fosse la situazione economica (30 per cento). Il cambiamento climatico era stato indicato dal 19 per cento, ben undici punti percentuali in meno.
Ora, il Rapporto dell’Istat fornisce alcune informazioni riguardo le azioni intraprese a livello individuale dagli italiani per salvaguardare l’ambiente.
La preoccupazione per i cambiamenti climatici tocca il 55,6 per cento dei cittadini e sembra riflettersi nei loro comportamenti. L’attenzione agli sprechi di energia riguarda il 67 per cento della popolazione, che cala al 64,7 per cento per quelli d’acqua. Ciò nonostante, però, le persone che scelgono mezzi di trasporto alternativi all’auto sono solamente il 18,7 per cento, e quelle che acquistano prodotti biologici il 12,7 per cento. I dati mostrano che il livello di istruzione incide sulla consapevolezza ambientale e i differenziali tra i titoli di studio sono particolarmente elevati per ciò che riguarda le tematiche della produzione e dello smaltimento dei rifiuti, dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento delle acque. Anche l’età è un fattore che influenza la sensibilità ai temi ambientali: le fasce di popolazione tra i 45 e i 59 anni e tra i 60 e i 74 sembrano essere quelle più attente alle problematiche ambientali, mentre, sorprendentemente, i ragazzi tra i 14 e i 24 anni sembrano quelli meno coinvolti. Solo nella scelta di mezzi di trasporto alternativi i giovani si distinguono, con un differenziale di partecipazione rispetto alla media di più di 10 per cento.
A confermare quanto scritto nel Rapporto Istat sono ancora le rilevazioni Eurobarometro: ad aprile 2019, l’88 per cento del campione intervistato compiva almeno una azione specifica legata al clima. Se paragonato alla media Ue del 93 per cento, però, il dato risulta quasi deludente. Lo stesso si può dire della maggior parte delle azioni compiute a livello individuale per ridurre la propria impronta ecologica: gli italiani si preoccupano del clima meno della media degli europei. Ad esempio, coloro che cercano di ridurre il consumo di articoli “usa e getta” sono solo il 44 per cento, il 18 per cento in meno della media europea. Gli unici aspetti in cui gli italiani vanno meglio o alla pari degli europei sono l’acquisto di auto elettriche e l’installazione di pannelli solari nella propria abitazione, ma le percentuali in questi casi sono limitate: rispettivamente, 2 per cento e 6 per cento (in Europa: 1 per cento e 6 per cento).
I dati mostrano che c’è un grande margine di miglioramento. La prima cosa da mutare, però, è la mentalità: quasi metà degli italiani ritiene che del problema del cambiamento climatico si debbano occupare principalmente il governo, le imprese e l’Unione europea; solamente un quinto si sente personalmente responsabile. Inoltre, mentre l’Unione europea, a dicembre, ha ribadito l’obiettivo di diventare il primo continente climate-neutral entro il 2050, il nostro governo sembra aver accolto con freddezza le proposte in tema di ambiente contenute nel piano Colao. In attesa di una risposta forte sul piano nazionale e su quello internazionale, le azioni che si possono compiere individualmente sono tante.
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bob
la sensibilità ambientale è direttamente proporzionale al livello di cultura di un Paese. Il problema di questo Paese non è il Covid, la crisi di mercato o finanziaria è la paurosa crisi culturale in cui è caduto da 40 anni a questa parte. Un baratro pauroso da cui, presumo, nessuno sa come uscire in breve tempo. Saranno sacrificate almeno due generazioni di giovani prima che se ne esca