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L’inclusività aiuta a crescere

I territori più inclusivi sono anche quelli più ricchi, in Italia come in Europa. Lo conferma uno studio sui Sistemi locali del lavoro. Una ragione di più per apprezzare misure come la proposta di legge di Zan contro l’omotransfobia approvata alla Camera.

Inclusività e sviluppo locale

L’approvazione alla Camera del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo segna un passo avanti nel processo di maggiore inclusione di categorie spesso discriminate per ragioni legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere. La legge non costituisce un vezzo meramente giuridico, né tanto meno ideologico: a cogliere i benefici di una maggiore inclusività non sono solo i soggetti direttamente coinvolti, ma più in generale le collettività cui appartengono. La qualità delle relazioni, infatti, ha effetti positivi sul benessere degli individui, ne alimenta la fiducia e consolida il capitale sociale, incidendo positivamente sulla crescita di quel territorio (Yann Algan e Pierre Cahuc cfr. qui). Vi è dunque uno stretto legame fra fiducia, capitale sociale e crescita, di cui la discussione su inclusione Lgbti+ è una parte importante.

Il caso italiano

In una recente analisi, noi di Tortuga abbiamo aggiornato i risultati dello studio di Irene Tinagli e Richard Florida (qui) sull’Italia apportando due sostanziali variazioni:

  • sviluppo di un nuovo indice, l’indice di inclusività: partendo dai dati Istat per gli anni 2016 e 2017, abbiamo utilizzato le variazioni delle unioni civili (per mille abitanti) sul territorio quale misura del grado di accettazione verso la comunità Lgbti+.
  • arricchimento delle unità di analisi, a livello geografico, tramite l’utilizzo dei Sistemi locali del lavoro (Sll) definiti da Istat. Riteniamo infatti che l’inclusività vada misurata in base alle relazioni professionali e personali della popolazione di riferimento e non secondo le logiche dell’articolazione amministrativa delle province.

Figura 1 – Distribuzione unioni civili (2016-17) – Sistemi locali del lavoro

La figura 1 riporta il numero di unioni civili per mille abitanti nei 611 Sistemi locali del lavoro in Italia. La distribuzione è fortemente disomogenea, con una più alta concentrazione nelle aree urbane, nel Nord-Ovest e in alcune zone del Centro. Vi è inoltre eterogeneità all’interno di aree limitrofe, a conferma di una maggiore capacità degli Sll, rispetto alle province, di catturare il fenomeno.

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L’analisi correlazionale e dei residui

La nostra analisi si è articolata in due fasi: nella prima abbiamo analizzato la correlazione fra le unioni civili (anni 2016 e 2017) e alcune variabili di sviluppo socio-economico; nella seconda fase abbiamo isolato la componente dell’attrattività di un territorio non mediata da fattori economici o di fornitura di beni pubblici.

L’analisi correlazionale suggerisce un forte legame fra inclusività e le componenti reddituali o legate al mondo del lavoro: aree economicamente più ricche, con minore disoccupazione o minore disuguaglianze sono anche più inclusive. Risultano invece meno accentuate le correlazioni con le variabili socio-demografiche.

La nostra analisi non ci permette di individuare un nesso di causalità unidirezionale. Tuttavia, isolando la componente residuale dell’attrattività di un territorio e correlandola con l’indice di inclusività, abbiamo ottenuto una relazione positiva. Trasformando i numeri in un ragionamento economico, abbiamo stabilito che passare da Sll meno inclusivi al territorio più inclusivo comporta un premio di 0,65 per cento iscritti in più al Sll non mediati da fondamentali economici e di amministrazione locale.

Il contesto europeo

Sfruttando i dati European Social Survey abbiamo costruito un indice di inclusività e mappato l’inclusività delle regioni in Europa (figura 2).

Figura 2 – Distribuzione dell’indice di inclusività in Europa (2016)

Le aree più scure sono le più tolleranti. Spiccano, fra queste, Spagna, Inghilterra, Francia, Germania e Benelux, mentre le regioni italiane, portoghesi, baltiche e dell’Est Europa presentano statistiche meno rassicuranti.

Correlando l’indice di inclusività per le regioni europee con alcune variabili di benessere e sviluppo, quali ad esempio Pil pro-capite, tasso di migrazione netta e rapporto ricercatori/totale lavoratori, abbiamo ottenuto correlazioni sempre positive. Pur non potendo stabilire alcun nesso di causalità, è evidente come, anche a livello europeo, le regioni più ricche siano anche quelle con il grado di inclusione più alto.

Sfruttando infine la dimensione longitudinale dei dati europei abbiamo sviluppato un modello di correlazione tra Pil pro-capite e inclusività per il periodo 2008-2016, considerando effetti fissi temporali e geografici. Il coefficiente risulta ancora una volta positivo, mostrando come inclusione e benessere economico in Europa sono legati anche nella finestra temporale 2008-2016.

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Misure necessarie

La nostra analisi non permette di definire una relazione di causalità fra la presenza di unioni civili e le dimensioni di sviluppo economico e sociale. Tuttavia, siamo riusciti a evidenziare una forte correlazione fra l’inclusione di Lgbti+ e gli indici di sviluppo a livello locale in Italia. Il legame appare verificato anche in Europa, dove l’Italia risulta fra i paesi con più basso livello di inclusione.

Il meccanismo che può portare a un maggiore benessere economico partendo da una maggiore inclusione è quello indicato all’inizio: più inclusione comporta un aumento della fiducia tra gli individui che fanno parte dello stesso tessuto sociale. La maggiore fiducia promuove comportamenti di cooperazione, facilita lo scambio mutualmente vantaggioso tra individui. Ciò, a sua volta, favorisce lo sviluppo socio-economico di un territorio e della rete sociale che lo abita.

Dalla nostra analisi derivano dunque riflessioni sulla auspicabilità, oltre che necessità, di interventi politici (vedi qui alcune proposte) a favore dell’inclusività Lgbti+: investire in inclusività non solo ci restituisce una società e un tessuto sociale più giusti, ma è anche un’importante leva per lo sviluppo economico dei territori.

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  1. Enrico Motta

    L’ipotesi che la maggiore inclusività faccia aumentare la ricchezza di un paese mi sembra priva di logica, e non mi meraviglia che non avete trovato una relazione di causa tra questi due fattori. Compito di una ricerca è anche individuare quelle che sono coincidenze, in questo caso di luogo, e distinguerle dai rapporti di causa- effetto. Perché non esaminate l’ipotesi opposta, cioè che nelle società opulente certi comportamenti sono più tollerati, e quindi più diffusi, che nei paesi poveri?

  2. Jorge

    Il titolo afferma: “L’inclusività aiuta a crescere”. Testate per favore, per le diverse regioni d’Europa, il legame tra inclusività e tasso di crescita medio degli ultimi 10, o 20, anni. Troverete che sono cresciute di più le regioni a minore inclusività (dell’est europeo). Quindi: la inclusività aumenta o riduce la crescita?

    • Pa

      Ma che ragionamento é ? Le regioni dell’Est Europa partivano da dati economici molto inferiori, per cui é facile avere aumenti molto sostanziosi. E’ come dire che la Cina, che non é tollerante, ha tassi di sviluppo superiori a tutti… Suvvia ! Se guardiamo al caso americano invece possiamo notare che il ragionamento dell’articolo ha una sua logica : le coste East e West (New York, Boston, la California) sono sicuramente le più tolleranti e, guarda caso, le più sviluppate ed innovative.

      • Jorge

        Appunto, Mi sembra molto più probabile quanto segue: prima arriva la crescita, poi arriva l’inclusività, come “bene di lusso” che diventa rilevante quando altre esigenze priorità sono state soddisfatte. Un legame causale diverso da quello ipotizzato nell’articolo.

  3. Gianluca

    Manca la controanalisi di correlazione inclusività – eventi sfavorevoli della qualità della vita, e non solo del PIL, (tipo suicidi e simili), per poterne abbozzare qualche tipo di conclusione.

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