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Dove e come intervenire sul reddito di cittadinanza*

Il reddito di cittadinanza potrebbe raggiungere chi è realmente sotto la soglia di povertà e discriminare meno extra-comunitari e famiglie numerose. E potrebbe incentivare la ricerca di lavoro e l’emersione del nero. Una proposta di riforma.

I limiti del reddito di cittadinanza

In un precedente articolo abbiamo visto come le distorsioni derivanti dall’evasione degli autonomi e dal sommerso dei dipendenti siano un problema che non può essere risolto dall’impianto normativo del reddito di cittadinanza. Dove sembra invece possibile, e necessario, intervenire è sull’assegno che non arriva alla maggioranza dei poveri; sul disincentivo a lavorare o a far emergere i relativi redditi; sulla scarsa considerazione del reddito figurativo di mercato da abitazione e altri fabbricati a disposizione nel definire il reddito o la capacità contributiva di un nucleo familiare.

Un’ipotesi di riforma

Proviamo a delineare qui una ipotesi di riforma ispirata dall’attenuazione di alcuni limiti e fondata su alcuni punti:

– Avvicinamento tra nozione di beneficiario reddito di cittadinanza e povero, attraverso l’abolizione dei diversi requisiti patrimoniali (compreso l’Isee che tramite l’abnorme ruolo del patrimonio – più che discriminare tra evasori e non – a parità di reddito sfavorisce il risparmiatore), ma con contestuale piena considerazione del reddito da patrimonio (quantificabile figurativamente nel 5 per cento dei valori finanziari) e dei redditi immobiliari di mercato, abitazione di proprietà compresa, quantificabili in dieci volte la ormai obsoleta rendita catastale, quanto mai bisognosa di revisione.

– Superamento della suddivisione dell’assegno in due quote, conseguente al pieno computo del reddito di mercato delle abitazioni nel reddito-soglia (a partire dal quale calcolare per differenza l’assegno spettante). In sostanza il reddito familiare dei proprietari comprenderebbe pienamente i redditi da patrimonio e si eliminerebbe l’attuale “compensazione” per gli inquilini costituita dal rimborso (con tetto differenziato) del canone.

– Nell’ambito dell’estensione dei beneficiari e della riduzione dell’importo medio fruito, il valore soglia del reddito, e quindi dell’assegno, andrebbe limitato a 6 mila euro equivalenti, ma calcolati con una scala di equivalenza collegata a effettive economie di scala intrafamiliari e perciò più generosa e non discriminatoria verso le famiglie numerose (la scala potrebbe essere quella in uso per l’Isee).

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– In caso di incremento di redditi, da nuovi lavori o da emersione, il loro computo per il reddito familiare di riferimento avverrebbe al 50 per cento per un triennio, onde attenuare drasticamente e per un periodo congruo il disincentivo vigente all’emersione e al lavoro.

– Allentamento dei vincoli per i residenti extracomunitari, da avvicinare o equiparare a quelli vigenti per il reddito di inclusione.

Una simulazione degli effetti

Questo impianto avrebbe anche il pregio di semplificare la complessa regolamentazione odierna e allentare la pressione di specifiche norme di tipo workfare. Con lo stesso modello e uguale definizione di povero relativo è stato simulato l’impatto della revisione, con risultati in gran parte (ma non sempre) prevedibili.

In primo luogo, l’estensione dei beneficiari a oltre 3,3 milioni (conseguente allo sfoltimento dei requisiti) e la riduzione dell’importo medio massimo a 500 euro mensili equivalenti (più vicino ad altri interventi anti-povertà, quali pensione sociale e minima) comporterebbero un aumento del costo di 2,2 miliardi annui rispetto alle previsioni pre-Covid, non lontano (9,8 miliardi complessivi) da quella che potrebbe essere la tendenza in seguito alla prolungata emergenza sanitaria.

Gli indici di concentrazione dei redditi e di povertà (frequenza e intensità) scenderebbero tutti rispetto a quelli attuali, come si osserva nella tabella 1.

L’intensità della povertà si ridurrebbe in modo più netto, con un assegno distribuito a quasi 500 mila beneficiari in più. Nel primo decimo (i più poveri) si concentrerebbero i maggiori benefici.

Infine, si osserverebbe un percepibile miglioramento dei “paradossi” allocativi, come si osserva nella tabella 2 (cfr. tabella 1 del precedente articolo).

Nell’ambito di un numero di beneficiari che aumenterebbe di oltre 455 mila persone, quelli poveri salirebbero del 57 per cento, mentre i beneficiari non poveri scenderebbero di un terzo, collocandosi a un più accettabile quarto del totale.

In termini di aliquota marginale massima, per costruzione ci sarebbe un dimezzamento, con reazioni in termini di offerta di lavoro ed emersione nelle direzioni auspicate.

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* Le opinioni espresse nell’articolo sono da attribuire esclusivamente all’autore.

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10 commenti

  1. L’articolo è rigoroso e non sembra influenzato da appartenenze ideologiche. Merita di essere preso seriamente in considerazione

    • Gaetano Proto

      Sono d’accordo sulla logica della riforma proposta e su alcune sue componenti essenziali, come l’adeguamento alla scala di equivalenza dell’ISEE e il superamento della bislacca suddivisione dell’assegno in due quote (la prima a integrazione del reddito e la seconda a rimborso dell’affitto), due riforme che tra gli altri avevo proposto più di un anno fa qui su lavoce.info (https://www.lavoce.info/archives/59045/59045/ e https://www.lavoce.info/archives/59791/). E’ in teoria condivisibile anche il trattamento adeguato della componente patrimoniale, ma in pratica si tratta di una questione che va ben oltre il RdC e andrebbe impostata seriamente altrove, innanzitutto attraverso la riforma del catasto da attuare in tempi tassativi e non sine die come è stato finora. Nelle more, come si dice, l’ISEE nella sua forma attuale non dovrebbe essere nel complesso troppo distorsivo, almeno per il patrimonio immobiliare, dato che compensa grosso modo la sua sottovalutazione con un parametro elevato di valorizzazione ai fini dell’ISE (20%). Ricorrere a uno strumento già esistente come l’ISEE renderebbe più praticabile una riforma del RdC, mentre tentare di introdurre “in corsa” attraverso la riforma del RdC nuovi meccanismi di valutazione della situazione economica, pur in sé condivisibili, la rende più difficile da realizzare. Non dobbiamo dimenticare che sono quasi due anni che conviviamo con uno strumento mal disegnato: la sua riforma a questo punto è della massima urgenza.

  2. Alberto Scattolin

    Il reddito di cittadinanza deve essere destinato ha chi ha bisogno. Ma, ancora più importante, deve essere utilizzato per ciò di cui c’è bisogno. Per tale motivo, forse, non si deve gestire tramite erogazioni di liquidità, ma tramite erogazioni di disponibilità economice da spendere in specifici acquisti. Non reddito di cittadinanza, ma welafare di cittadinanza, emulando quanto già viene realizzato nell’ambito del welfare aziendale.

  3. Giuseppe GB Cattaneo

    Invece di arrampicarsi sugli specchi per modificare spezzoni di leggi che modificano spezzoni di altre leggi perché non si comincia a pensare in modo razionale a come implementare un reddito universale di base, una riforma fiscale basata su un sistema di tassazioni complementari dei redditi, dei trasferimenti di valore, e del possesso di beni e una corretta riforma del sistema pensionistico.

    • gianpaolo tessari

      Non mi sono chiare le sue proposte in tema di tasse e pensioni. Il reddito di base universale è troppo complicato per un paese di 60 milioni di abitanti che non sa nemmeno riparare fogne ed acquedotti. Concordo con l’autore su un RDC meno generoso ma più diffuso, al fine di consentire a tutti una vita dignitosa ma non disincentivare il lavoro

  4. Enrico D'Elia

    Finalmente una proposta di revisione dei sussidi sociali fondata su dati obiettivi e non su posizioni politiche preconcette. L’unico punto debole è l’aspirazione a far coincidere la platea dei beneficiari con quella dei “veri poveri” individuati in base a criteri empirici. Purtroppo la composizione delle famiglie, che è un criterio essenziale per quantificare i sussidi spettanti, può essere facilmente alterata per massimizzare i sussidi attraverso aggregazioni e divisioni fittizie, assai difficili da verificare e perseguire. Lo stesso vale per l’intestazione di alcuni redditi e di molti asset patrimoniali. Ciò può determinare una rincorsa tra le evidenze empiriche su cui si basa l’identificazione dei “veri poveri” e la definizione dei criteri per l’erogazione dei sussidi. E non è certo che questo processo converga verso una combinazione stabile di criteri. Temo quindi che avremo sempre poveri senza sussidi e sussidi dati a chi non ne avrebbe bisogno.

    • Fernando Di Nicola

      Condivido l’alterazione per via “anagrafica” del beneficio RdC e qualora avessi la chance di partecipare ad una revisione segnalarei la necessità di accompagnare ogni riforma da vincoli di coerenza anagrafica, validi peraltro per migliorare l’equità applicativa in tanti altri contesti.

  5. Enrico D'Elia

    Una riforma che stimoli l’offerta di lavoro è economicamente e socialmente sostenibile solo se questa può essere assorbita da un corrispondente aumento della domanda di manodopera. In caso contrario la riforma produrrebbe solo un travaso puramente statistico tra “inattivi” e “disoccupati” oppure un abbassamento dei salari reali, che oggi aggraverebbe una spirale deflazionistica già latente. Da questo punto di vista, la proposta di mantenere temporaneamente un sussidio anche per chi trova un lavoro mi sembra promettente, a patto che preveda un abbattimento iniziale e una riduzione nel tempo. Da un lato, ciò impedirebbe di accettare un lavoro talmente squalificato da garantire, a regime, solo una retribuzione inferiore al reddito di cittadinanza, dall’altro non scoraggerebbe la ricerca di una occupazione regolare, che aumenterebbe le entrate complessive e darebbe migliori prospettive per il futuro. Resta il rischio che chi percepisce un sussidio preferisca lavorare in nero, ma questo è un problema di ordine pubblico e di controlli fiscali, non un difetto del sistema di sussidi.

  6. bob

    le riforme sociali devono nascere da progetti politici lungimiranti e con prospettive nel tempo. L’ Italia seria del dopoguerra lo ha ampiamente insegnato. Quando è una mera operazione di “marketing politico elettorale” questi sono i risultati. Il reddito di cittadinanza ha raggiunto un solo obiettivo per lo scopo con cui è stato progettato: far vincere le elezioni!

  7. Iva

    Vorrei tanto sapere se c’è modo di mettersi in contatto con chi vuole portare avanti queste proposte. Infatti molte persone (per esempio professionisti del turismo) hanno fatturato quasi 0 euro quest’anno causa covid, e non possono accedere al reddito di cittadinanza per una grande ingiustizia: l’isee. E’ un parametro assurdo in quanto coloro che stavano mettendo da parte soldi, magari perché non hanno una casa e volevano acquistarla, adesso devono vivere coi risparmi sudati con fatica, e vedono cadersi la vita tra le mani, sogni e risparmi che volano via come fumo perché lo stato considera il patrimonio mobiliare nell’isee. Vorrei davvero chiedere al governo l’abolizione di questo parametro ma non so come.

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