La Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia perché non rispetta le norme sulla qualità dell’aria. Ma dagli anni Settanta l’inquinamento si è molto ridotto e solo pagando un prezzo alto si sarebbe potuto fare di più. È la regolazione che va ripensata.
La cattiva qualità della informazione
La Corte di giustizia della Unione europea ha condannato l’Italia per il mancato rispetto della normativa sulla qualità dell’aria. Dagli anni Settanta l’inquinamento si è molto ridotto, ma quasi nessuno lo sa. Si poteva fare di più? Solo pagando un prezzo molto alto come nel periodo del lockdown.
La regolazione attuale è stata adottata considerando i benefici, ma non i costi da sostenere per conseguirli: andrebbe dunque rivista?
Nel novembre dello scorso anno Eurobarometro ha pubblicato uno Special Report che raccoglie le opinioni dei cittadini europei sul tema della qualità dell’aria. Tra le varie domande, vi è questa: “Ritiene che negli ultimi dieci anni la qualità dell’aria sia peggiorata, rimasta invariata o che sia migliorata?”. Il 58 per cento degli intervistati ha risposto che vi è stato un peggioramento, il 28 per cento che non vi sono state variazioni e il 4 per cento non sa rispondere. Solo una persona su dieci pensa che vi sia stato un miglioramento.
Nel caso dell’Italia, su 100 intervistati, 74 affermano che l’inquinamento atmosferico è aumentato, 21 che è immutato e 2 non si esprimono. Solo una piccola minoranza, il 3 per cento di coloro che hanno partecipato al sondaggio, sostiene che la qualità dell’aria sia migliorata.
L’opinione largamente prevalente tra i cittadini europei sembra riflettere quanto comunicato dai mezzi di informazione: “aria sempre più irrespirabile” ed “emergenza smog” sono titoli che ricorrono spesso negli articoli dedicati all’argomento.
Un miglioramento in atto da molti anni
Titoli che però non riflettono accuratamente la realtà. Si dovrebbe dire, anzi, che ne forniscono una rappresentazione fortemente distorta.
A leggere gli annuali “Rapporti sulla qualità dell’aria” delle Agenzie per la protezione dell’ambiente risulta evidente come, fatta eccezione per il “dispettoso” ozono, la concentrazione in atmosfera di tutti i principali inquinanti si sia ridotta.
In Lombardia, ad esempio, tra il 2016 e il 2019 la concentrazione media di PM2.5 è diminuita da 37 a 20 µg/m3.
Figura 1 – Andamento delle concentrazioni medie annuali di PM2.5 della Regione Lombardia confrontato con il trend della città Metropolitana di Milano (stazioni del programma di valutazione)
Fonte: Arpa Lombardia. Rapporto sulla qualità dell’aria della Città Metropolitana di Milano Anno 2019
Ma il miglioramento non è relativo solo agli ultimi anni, la tendenza è in atto da molti decenni.
Negli anni Settanta a Torino e Milano la concentrazione del PM10, l’inquinante cui vengono attribuiti all’incirca l’80-85 per cento degli impatti, si attestava su valori superiori ai 100 µg/m3.
Figura 2 – Concentrazioni medie annue di particolato totale sospeso, stazioni di Torino (1980-2019)
Fonte: Arpa Piemonte. Uno sguardo all’aria 2019
Frugali ma condannati
Nonostante il radicale miglioramento della qualità dell’aria, per l’Italia è arrivata la condanna della Corte di giustizia della Ue. Il mancato rispetto dalla normativa europea si registra prevalentemente nelle regioni del Nord. Eppure, i dati relativi alle emissioni di sostanze inquinanti ci dicono come le aree del bacino padano siano relativamente “frugali”.
Per la maggior parte degli inquinanti, le emissioni pro-capite sono significativamente al di sotto della media europea; l’eccezione più rilevante è rappresentata dall’ammoniaca (NH3), le cui emissioni sono pressoché interamente riconducibili al settore agricolo.
Il divario con la media europea è più ampio qualora si rapportino le emissioni alla ricchezza prodotta.
Effetto lockdown: crolla il traffico ma non le polveri
Avremmo potuto fare di più? E sarebbe stato auspicabile? Una chiara indicazione sembra si possa trarre dall’esperienza vissuta nel 2020, quando siamo stati costretti a sperimentare uno scenario di significativa riduzione delle attività produttive e della mobilità. Durante il primo lockdown le percorrenze in auto si sono ridotte di circa l’85 per cento e quelle dei veicoli merci si sono pressappoco dimezzate.
Figura 3
Fonte: Apple. Trend di mobilità
Il Sistema nazionale protezione ambiente ha da poco pubblicato un Rapporto sulla “Qualità dell’aria in Italia durante il lockdown”. I suoi dati evidenziano come nelle regioni della Pianura Padana la concentrazione delle polveri sottili sia rimasta sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti, mentre si è registrato un netto calo per il biossido di azoto, il secondo principale inquinante.
Figura 4 – PM10 e NO2 nei mesi di marzo e aprile a Milano
Fonte: Snpa. Qualità dell’aria in Italia durante il lockdown
In base al controfattuale costruito da Francesco Granella, Lara Aleluia Reis, Valentina Bosetti e Massimo Tavoni. in Lombardia la concentrazione di PM2.5 si è ridotta del 20 per cento rispetto allo scenario in assenza di lockdown e l’NO2 del 30 per cento.
Neppure adottando misure assai radicali e con evidenti ricadute economiche negative (che avranno verosimilmente anche effetti negativi indiretti sulla salute nel medio termine) risulta dunque possibile assicurare il rispetto in Pianura Padana delle norme europee. Il problema forse è a monte e consiste nell’aver definito gli obiettivi senza tener conto dei costi necessari per conseguirli.
I progressi tecnologici dei veicoli
Se, in ipotesi, un identico provvedimento di lockdown fosse stato adottato trenta anni fa gli effetti sarebbero stati assai più rilevanti: poiché le emissioni unitarie dei veicoli erano molto più elevate rispetto a quelle dei mezzi oggi circolanti, la riduzione delle emissioni complessive sarebbe stata proporzionalmente più elevata. Simmetricamente, l’efficacia dei provvedimenti volti a diminuire il traffico stradale diverrà ancor più ristretta nei prossimi anni poiché il rinnovo del parco veicolare determinerà un’ulteriore contrazione dei benefici. Una recente valutazione prodotta dalla società di ricerca Ricardo per conto della Federazione europea per il trasporto e l’ambiente mostra come le più recenti autovetture a gasolio abbiano emissioni inferiori, in alcuni casi con ampio margine, ai pur già assai stringenti standard Euro 6.
I veicoli oggi commercializzati hanno emissioni di ossidi di azoto pari a circa 1/20 di quelli coinvolti nello “scandalo Volkswagen” e intorno a 1/100 di quelli degli anni Ottanta.
L’agricoltura: inquinante e sussidiata
Peraltro, sembrano essere inefficienti anche provvedimenti che limitano la circolazione dei veicoli che rispondono ai precedenti standard Euro 4 e Euro 5. In base ai risultati di una recente analisi costi-benefici, l’adozione di una “zona a basse emissioni” a Stoccolma comporterebbe benefici conseguenti al miglioramento della qualità dell’aria pari a meno di un decimo dei costi da sopportare.
È forse ora di focalizzare di più l’attenzione sui due settori che hanno il maggiore impatto sulla qualità dell’aria: il riscaldamento e l’agricoltura. Quest’ultima è stata responsabile nel periodo del lockdown del 39 per cento della concentrazione di polveri sottili nella città di Milano. Senza dimenticare che mentre i trasporti sono soggetti nella grande maggioranza dei casi a un livello di prelievo fiscale più elevato dei costi esterni ambientali generati, il settore agricolo è sussidiato paradossalmente con risorse che provengono da quella stessa Ue che ora ci condanna per non avere compiuto una missione impossibile.
Ed è forse ora di riflettere sull’opportunità di avere una regolamentazione ambientale uniforme a livello europeo che non tiene nella debita considerazione l’ampia variabilità dei costi da sostenere per conseguire identici risultati in termini di qualità dell’aria: le controindicazioni sembrano analoghe a quella di una contrattazione centralizzata applicata ad aree diverse e tra le quali vi sono ampi divari di produttività.
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davide445
Arriva alla fine ma il messaggio che aspettavo c’è, certo non bisogna abbassare la guardia sui veicoli privati, ma è ora di dare una seria verifica e adeguare le emissioni da altre fonti, spesso oppure opportunamente dimenticate in sede di regolamentazione efficace e controllo altrettanto necessario.
Sergio51
Ciò che scrive davide445 è esattissimo: l’accanimento contro il trasporto privato nasconde (parlo per Torino ma temo che sia la stessa cosa anche altrove) una colpevole inerzia contro caldaie non a norma che sono più “fastidiose” da verificare e punire, anziché limitarsi a fermare in strada l’auto di chi non può permettersi l’ultimo modello.
Marco
L’articolo però non risponde ad una semplice domanda: i livelli attuali di inquinamento sono pericolosi oppure no? Guardare solo al miglioramento è come fissare il dito e non la luna.
Francesco Ramella
Permangono tuttora, seppur molto ridimensionati rispetto al passato (https://www.lavoce.info/archives/26526/la-risposta-ai-commenti-124/), impatti negativi sulla salute dell’inquinamento atmosferico.
Si tratta di comprendere quali politiche di riduzione di tali effetti comportino benefici superiori ai costi.
Andrea Zatti
Gran parte delle argomentazioni sono condivisibili (soprattutto quelle sui diversi costi di abbattimento degli inquinanti nelle diverse realtà territoriali), anche se focalizzate solamente sul tema dell’inquinamento atmosferico. Il problema del traffico automobilistico privato è però più ampio e coinvolge diverse altre esternalità, ormai predominanti rispetto a quelle legate alla qualità dell’aria. Le auto, in Italia, vanno limitate soprattutto perchè hanno invaso le città, sottraendo spazio ad altri usi e alimentando forme di pianificazione poco razionali (uso di suolo, amplificazione dei costi di altri servizi, etc.). Mi pare che questi aspetti vengano completamente omessi dall’analisi, che affida al solo progresso tecnologico (‘improve’) la risoluzione dei problemi. Prospettiva necessaria, ma non sufficiente e, per certi versi, pericolosa, perchè allontana la necessità di intervenire anche sulle politiche ‘avoid’ e ‘shift’.
Fabio Donati
Buongiorno.
Ho provato a cercare in internet ‘l’importo delle sanzioni UE alla Lombardia (o anche all’Italia) per aver superato i valori limite applicabili alle concentrazioni di inquinanti atmosferici. Non lo ho trovato. L’EEA europea riporta la situazione dell’inquinamento dei paesi europei ma per l’Italia no in quanto non vengono forniti i dati (salvo rare eccezioni). Mi chiedo, la Lombardia è una delle zone più inquinate d’Europa, possibile che non vi sia un dibattito sulle misure per affrontare questo problema anche in considerazione delle risorse economiche eccezionali che arriveranno grazie al piano next generation. “Il Conseil d’État ha condannato lo Stato francese a pagare una storica multa di 10 milioni di euro per il mancato rispetto delle norme europee sull’inquinamento atmosferico. Il governo francese è stato ritenuto responsabile di non aver ancora soddisfatto gli standard di qualità dell’aria in diverse città. La stessa situazione italiana, solo che da noi, in particolare in Pianura Padana, è ancora peggio” (greenreport.it) Legambiente non capisco dove sia finita. Lei che ne pensa? Qui nessuno si muove! Grazie